Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza di Rainer Maria Baratti, volontario che, la scorsa estate, ha partecipato ad un campo di volontariato in Perù a tematica ambientale. La sua testimonianza è stata pubblicata integralmente su europeanaffairs.it. Noi siamo felici di riprenderla e pubblicarla in tre parti.
Leggi qui la prima e la seconda parte del racconto.
Dopo l’addio dei francesi abbiamo portato avanti le giornate nelle scuole per sensibilizzare rispetto alla questione ambientale. Vi erano bambini tra gli 8 e gli 11 anni. Tanti bambini. Le scuole sono spaziose e con molto verde, con animali e un orto. Il problema è che spesso c’è molta spazzatura e delle volte bruciano porzioni di prato per eliminare l’immondizia. Abbiamo presentato in nostri paesi, il nostro lavoro, abbiamo parlato dell’importanza di prendersi cura della natura ma soprattutto ci siamo messi tanto in ridicolo. Spesso e volentieri le domande erano semplici come “cosa mangiate?” o “che lingua parlate o preferite?” ma la più terribile di tutte era “qual è il vostro ballo tipico?”. La parte terribile non era magari non sapere quale fosse il ballo ma dover ballare qualcosa. Eppure, lo facevi e cercavi anche di farli ridere. Dopo abbiamo fatto dei gruppi divisi per materiale da riciclare e i bambini hanno cominciato a correre per tutta la scuola a raccogliere l’immondizia e a fare la raccolta differenziata. Era impossibile fermarli e quando era ora di fare un altro gioco con loro, era come se non volessero. Quando hanno visto la sciarpa di Wayne fatta in Pile e capito che veniva dalla plastica riciclata, i bambini hanno visto questa magia e capito perché può essere utile riciclare. La passavano e tutti volevano toccarla, era magia. Prima di andare via abbiamo avuto modo di giocare senza pensieri e di dividere succhi e caramelle. Alcuni dei bambini era stregati dai tatuaggi di Marta e le facevano le domande a riguardo. Avremmo voluto più esperienze sociali come queste perché è importante per rendere efficace il nostro lavoro al fiume, andarsene era difficile e una delle bambine mi ha abbracciato alla vita. Una delle cose che mi è rimasta impressa era lo stupore di Humberto mentre parlava del paesaggio naturale che avevamo intorno. Ho potuto capirlo solo quando ho soggiornato una settimana a Lima. Lì, nella capitale, per la maggior parte del tempo c’è una interminabile distesa bianca. Non è possibile tante volte riconoscere la differenza tra cielo e mare, non c’è sole, non piove, nevica o grandina. Una guida mi ha raccontato che la prima volta che ha visto la pioggia è stata a 12 anni quando era andata a Cusco. È stato il momento più bello della sua vita, ha detto di essere scoppiata in lacrime. È una sensazione che ho potuto comprendere quando, tornato a Roma, ho sentito un rullo di tamburi dal cielo notturno che si illuminava di flash. Annunciava la pioggia, preceduta da quel vento che porta odore di acqua e erba. A questa si aggiungeva la consapevolezza che quel cielo, tutto celato, prima o poi mostrerà quelle poche stelle che il cielo di Roma concede e quella Luna con la sua linea verticale. La potenza della natura pronta ad essere rilasciata e la nostra preoccupazione di essa. Preoccupati che qualche strada sia inagibile per tutto il giorno seguente. Preoccupati che ci sia il solito traffico incredibile per questa occasione. Preoccupati che ci crolli il terreno da sotto i piedi.
Quella sensazione di magnificenza posso paragonarla solo alla seconda parte del campeggio, che nel frattempo avevamo cambiato la sua destinazione al Lago Antacocha, dato che ha Llaca era impossibile introdurre fuochi. Siamo arrivati a ridosso del campeggio risparmiando il possibile sul budget, che però era stato probabilmente messo in crisi dall’addio dei francesi che hanno pagato solo i 10 giorni di alloggio e cibo e che probabilmente non hanno pagato la quota associativa. A Michael avevamo chiesto di mettere da parte i soldi dell’alloggio e per i mezzi. È successo che Michael non lo ha fatto e ha comprato altro da mangiare come due sacchi di zucchero da un kg e un sacco di patate. Era un campeggio ed era difficile cucinare le patate. Le sue scelte hanno suscitato numerosi interrogativi. Avevamo noleggiato una tenda grande da 11 per poter dormire tutti insieme e scaldarci così. Il problema consisteva soprattutto per chi dormiva a ridosso della porta. La mattina si stava bene ma la notte era davvero fredda. Abbiamo dormito praticamente in riva al lago. Il lago era di color giada ed era come uno specchio. Riusciva a riflettere le montagne della Cordillera Blanca. La notte il cielo stellato svelava la Via Lattea e tutte le stelle che ci sono negate nelle nostre città. Si poteva vedere anche la luna che assomigliava ad un occhio socchiuso. La luna è diversa, la sua linea scura è orizzontale. All’alba il vento è forte e fischia tra le montagne creando un’atmosfera surreale. La notte, in quel paese così lontano da noi, regala un numero enorme di stelle cadenti. In quel paese dai mille contrasti c’è un ampio spazio per i desideri. Il lago di Antacocha è protagonista di mille leggende che spaziano dai tesori inca alle storie che narrano di figure mitiche che rapiscono le persone. Purtroppo, in quella zona sono numerose le persone scomparse. Mentre aspettavamo al sole è arrivata una madre scortata dalla polizia. Ci hanno mostrato le foto, stava cercando il suo figlio bipolare. Le abbiamo donato delle foglie di coca in modo che lei potesse fare la sua offerta al lago ed esprimere il suo desiderio di ricongiungersi al figlio. Nel frattempo, si è avvicinata a noi una cagnolina selvatica che nella nostra permanenza ci ha mostrato i sentieri durante i nostri trekking nella zona. L’abbiamo chiamata Budget e mentre ci allontanavamo sulla parte posteriore di un pick-up in direzione Huaraz lei ci ha inseguito. Quella notte, al nostro ritorno in hotel abbiamo parlato ancora di soldi e del fatto che dovevamo pagare parte dell’alloggio per l’ultimo giorno. Michael non aveva capito cosa gli avessimo detto ma ormai poco importava, era difficile fargli capire le informazioni sia in inglese che in spagnolo. Oramai di quei 10 che erano partiti con il progetto, 6 hanno stabilito di essere una famiglia. Ci siamo messi a dormire tutti nello stesso letto e a vedere un film.
Alla fine vi è solo una domanda che apre e chiude questa storia: Cosa è il volontariato? Una sera Humberto ha raccontato una storia. C’era un ragazzo che incomincia a fare avanti e indietro per la montagna. Ogni volta saliva e scendeva. Lo faceva senza utilizzare le scorciatoie, senza usare i tunnel che venivano costruiti man mano con il tempo. Lo fa per anni fino a che non invecchia e i suoi figli non iniziano a farlo con lui. Lo fa fino a che non può più farlo e che la generazione successiva va da sola. Quando gli chiedono perché avesse fatto tutto questo per una vita, la risposta è “ho seminato l’idea”. Questo è il volontariato probabilmente, un atto di fede. Lavori tutti i giorni che sei lì e magari sei lì che inizi la scalata, non vedrai mai la cima. Sei lì, magari proprio alla prima esperienza del progetto, e hai il primo compito di trovare i problemi e risolverli. Magari offrire nuove idee per i progetti futuri. Perché è il tuo gruppo fa il primo passo, mentre il secondo passo aspetta a un altro gruppo come il terzo passo spetta al terzo gruppo e così via. È un’esperienza che ti fa mettere in pratica l’esperienza del gruppo e del cercare di abbattere più pregiudizi e stereotipi possibili. È un’esperienza che ti porta a provare cosa vuol dire che esistono 9 possibilità di non intendersi.
Il volontariato è molto di più probabilmente e posso raccontare qualche esperienza nella speranza di farlo solo trapelare. Avevamo deciso di fare un trekking in direzione Churup e alla fine eravamo rimasti io e Luis. Siamo partiti senza fare colazione e biscotti in spalla, il trekking però era lungo e più complicato degli altri. Aveva delle parti che consistevano in scalata su roccia con funi. Dopo l’ultima salita impegnativa si presenta a noi la vista del lago dall’acqua blu turchese. Cercando un punto per le foto abbiamo incontrato una ragazza americana che si stava facendo fare foto di nudo e ci abbiamo fatto amicizia. Le chiediamo di farci un video. Io e Luis ci siamo guardati negli occhi e abbiamo deciso. Camminiamo intorno al lago fino a trovare una roccia più vicina e sicura all’acqua. Ci spogliamo fino a rimanere in mutande, fissiamo l’acqua. Facciamo il nostro respiro profondo mentre la gente sul picco in alto di fronte a noi osserva. Ci tuffiamo. Ci tuffiamo in quel lago a più di 4000 m con la nostra pelle e un paio di mutande. Il gelo ti prende il corpo, vuole portarti con sé. Vuole portarti giù. Nella tua testa c’è il silenzio e vorresti sentire la sospensione dell’acqua ma una voce si fa insistente: “Devi andare! Risali! È ora di uscire da qui!”. Muovi il tuo corpo in direzione di quella roccia tiepida che avevi lasciato, cerchi un appiglio in quella roccia ora scivolosa. Alla fine ci riesci, sei fuori e senti il corpo completamente tuo mentre il cuore batte forte. Senti una sensazione di benessere. Senti la gente che ora applaude, riconosce qualcosa, riconosce un gesto di follia. Prima ti prende in giro, sei solo un esibizionista che si spoglia su una montagna. Poi guarda incredula quel gesto di coraggio. Ma alla fine applaude per qualcosa di più che è solo una percezione. Sei lì, in mutande su una montagna delle Ande e respiri quell’aria che ora ti sembra forte. Senti come il primo respiro di quanto sei nato. Senti la vita. Senti la fratellanza con quella persona che ha avuto il coraggio di fare quella follia con te dopo manco due settimane di conoscenza. Le americane pensano che siamo parenti. Vedono qualcosa di comune tra di noi, forse sono io che ho qualcosa di Messicano o lui che ha qualcosa di Italiano. O semplicemente vedono la semplice comunanza che abbiamo solo essendo esseri umani. È un patto, un battesimo che durerà per sempre. C’è chi dice “è stato emozionante poter assistere”. Bevi, fumi e ridi. Ti senti in sintonia con qualcosa o con la natura. Dopo è accaduta un’altra magia quando siamo saliti nel Combi. Il Perù è maestoso, bello e problematico. Ogni istante mi ha ricordato la mia casa, il mio paese. Si parla di corruzione, povertà e violenza ma li ho potuto vedere la solidarietà e l’aiuto reciproco. Lì la lotta per la sopravvivenza riesce a diventare un progetto di aiuto per vivere. Un aiuto che passa da persona a persona ma anche da persona ad animale. Certo, tu rimarrai sempre il Gringo. Sei il bianco, quello diverso che può fare i suoi comodi li. Sei il gringo che se ne può andare. Sei il discendente di quell’idea che ha colonizzato e continua a colonizzare il latino America. Sono solo cambiati i metodi. La comunità cercherà sempre di proteggere sé stessa ma, se vai in punta di piedi con umiltà a chiedere ospitalità in quel perenne cantiere, sarai accolto. Sarai accolto quando tendi la mano per reggere l’anziana signora sul combi, ti guarderà contenta. Ma sarai accolto anche dalla tenerezza, l’innocenza e il coraggio dei bambini. Non dimenticherò la magia creata da quel bambino peruviano dallo zuccotto blu che gioca con quel problematico gringo dentro il combi. Non dimenticherò quel suo gesto spontaneo, non canonico e contro gli stereotipi a cui tutti possiamo essere soggetti. Non dimenticherò quella mano che tocca la mia solo per giocare o condividere un biscotto.
Poi c’è un’altra esperienza che devo raccontare. Dopo giorni titubante nel decidere o meno se farlo, decidiamo tutti insieme di provare la nostra prima scalata in montagna. Mentre cercavamo il prezzo migliore, ho incontrato una guida che di nome Feliz che mi ha detto di aver vissuto per 7 anni a Roma. Quando gli ho chiesto come si fosse trovato la risposta in un perfetto italiano è stata “come vedi sono tornato qui, Roma è una bellissima città per fare turismo ma viverci è un inferno”. Continuiamo i nostri giri e alla fine troviamo la possibilità di fare tutto con una spese di 250 soles. Scegliamo di fare una cosa per principianti, il Nevado Mateo che ha il suo punto di arrivo a 5400m. La sveglia è alle 3 per poter fare le 2 ore di macchina che ci separano dall’inizio della scalata. Arrivati li mettiamo i rampini di ghiaccio e le scarpe da neve nello zaino. Subito dopo indossiamo le brache di sicurezza e impugniamo la piccozza. Cominciamo la salita sulla parte rocciosa, umida, scivolosa e con poco spazio dal dirupo e da una caduta misera. Ogni tanto ci sono gli sprazzi di neve misti al muschio. Durante la salita il freddo aumenta per le condizioni climatiche e le nubi sembrano volerci inghiottire con il loro movimento dall’alto verso il basso. Mentre cammino scivolo e mi bagno un guanto. Arriviamo alla base del ghiacciaio. Cambiamo i nostri strumenti prendendo dalla borsa quello che ci serve e mettendo da parte quello che ci servirà per il ritorno. Cambio il mio guanto ma la mano fa malissimo, la apro e la chiudo ma nulla cambia. Intorno tutto si fa più grigio e vedo delle piccole figure che ci precedono sparire nella nebbia. Ci leghiamo l’un l’altro e cominciamo a salire verso il picco. Devi capire il ritmo della tua squadra, ti muovi quasi in sincronia e il più lento detta il ritmo. Devi stare attento a non scivolare ma in ogni caso gli altri sono li per te. La tua squadra è li per aspettarti ed aiutarti. Il cammino non è lungo ma ci vuole tempo. La pazienza ne vale la fatica e mentre arrivi in cima esce il sole. Puoi vedere tutto sotto di te, puoi sederti e vedere il mondo. Il silenzio è quello delle montagne, senti qualcosa che ti smuove dentro. Ogni tanto quella stasi è interrotta dal canto del vento che si fa largo tra i picchi. Sei cosi vicino al cielo e lontano dal caos, tutto sotto continua a scorrere. Tutto passa eppure sei nello stesso mondo, quello stesso mondo su cui ora possiamo brindare con un liquore greco. Brindiamo tra di noi, alla nostra squadra e con la guida. Parliamo di quella meraviglia in cui viviamo e ora sogniamo quella montagna. Si perché ci sarà sempre quella montagna nascosta nei nostri sogni e li ci sarà sempre qualcuno ad aspettarci.
L’amore resiste più di quello che dura
Tutti noi abbiamo uno zaino in cui possiamo mettere tutto e possiamo togliere quello che vogliamo. È uno zaino fatto di ricordi, persone, cose che fanno male o meno male. Sono cose che forse qualcuno ne farebbe a meno, che vorrebbe buttare, o cose che forse certe volte ricordiamo quando ci fanno più comodo. Come se fosse un conforto. Ho sempre pensato che dimenticare o far passare il tempo affinché accada, come se le persone che incontriamo abbiano una data di scadenza, fosse una cosa orribile. Questo zaino è quello che fa di noi la persona ma che fa degli altri le persone che sono per noi. Fanno gli affetti, fanno la nostra forza e fanno la nostra esperienza. Diventano i nostri strumenti (infelice definizione) per scalare le nostre personali montagne. E il volontariato aiuta a capire questo zaino e a saperlo usare. Perché se vogliamo prenderci cura delle persone, di quelle che non conosciamo, dobbiamo prima di tutto imparare a prenderci cura delle persone che abbiamo accanto. Qui si aggiunge un’altra frase che abbiamo utilizzato negli ultimi giorni del nostro campo: “L’amore resiste più di quello che dura”. In molti la intendiamo come se quando qualcosa finisce, tu continui a provare lo stesso. Ma questo, per me, è molto soggettivo. Forse ci diventa più utile se pensiamo al fatto che quell’amore, da intendersi nella maniera più generale possibile, continua a vivere nei ricordi e nel tempo. Forse a volte e la nostra ombra, ma appunto la “nostra”. O forse continua semplicemente ad esistere. Forse qualcuno lontanissimo nello spazio può vedere quello che è successo al suo inizio o prima mentre nella nostra testa è stato catalogato come “passato”. Forse è un costante principio da cui esplode ogni cosa o forse è prima del movimento stesso o forse prima del sogno stesso. Perché spesso cominci a sognare cose che sono già accadute. In quello zaino entra tutto, è personalissimo come l’esperienza del volontario. In quello zaino hai la canzone che ascolti all’infinito e a cui leghi i ricordi; le mani di chi ami sul tuo petto mentre siete sdraiati al tramonto su un prato; un bacio in una sporca stazione romana poco prima dell’orario di chiusura dei mezzi; la volta in cui ti sentivi solo e camminavi sotto un sole di agosto; quella volta che stavi male e ti davano del falso; il buttarsi in un lago lontanissimo e veramente freddo a 4000 m di altezza con uno che conosci da poche settimane e sentirti profondamente connesso; i silenzi e le urla; tutte le volte in cui ti sei ubriacato fino a perdere i sensi; quando qualcuno che ami lascia questo mondo ma i ricordi rimangono; quando la notte sogni quello che è stato e immagini il futuro; tutti i fallimenti e le paure sorpassate; il dolore in tutta la sua presenza e il senso che cerchi di dargli; levarsi la maglietta in una piazza di notte con 4 gradi per brindare alle differenze e alle somiglianze; quando pensi che non raggiugerai mai il tuo obiettivo; quando vedi tutti i tuoi difetti ma li riconosci come parte di te; una corsa verso un traguardo dopo una lunga maratona tenendosi per mano; tutti i dolci e le birre condivise; le notti e i giorni passate intorno ad un tavolo a costruire un progetto in nome di un ideale; quei giorni in cui non vuoi parlare e non riesci a farti comprendere e dici solo stupidaggini; quando aspetti notizie delle persone che ami ovunque siano nel mondo; le sveglie difficili; i wurstel mangiati da ubriachi e di nascosto con un po’ di pane. Vi sono persone che ti porterai ovunque che costituiscono la tua famiglia biologica, la tua famiglia composta di amici e la tua famiglia internazionale. È come una melodia che senti nella testa ma che non conosci, la percepisci ed è profondamente tua. È un’esperienza che non ti costringe nessuno a farla e che è come un richiamo, è un’esperienza che non è difficile e che ne vale la pena. È un’esperienza che non richiede requisiti se non quelli legati all’età. Basta una conoscenza base della lingua e in molti saranno disposti ad aiutarti. Non c’è una grossa selezione, eccetto alcuni progetti che richiedono una lettera motivazionale, ed è principalmente ad esaurimento posti. Prima mandi la richiesta, meglio è! Anche per risparmiare sul biglietto aereo. Forse è difficile proprio raccontarla, non bastano 7500 parole per raccontarla, e l’unica frase che ti ricorre nella mente da quando hai lasciato la tela nera della notte di Huaraz è: “Sono le 22.22, esprimi un desiderio!”.