Come Servizio Civile Internazionale Italia ci uniamo al grido collettivo di appello alla comunità internazionale per far cessare l’escalation di violenze che sta attraversando il territorio palestinese in questi giorni. Facciamo appello alla comunità internazionale per far cessare la violenza e per rimuovere tutti gli ostacoli che stanno impedendo le elezioni libere in Cisgiordania, a Gerusalemme Est e nella Striscia di Gaza.
A due giorni dall’anniversario della Nakba, ci uniamo al grido collettivo di denuncia dell’apartheid israeliano. Rifiutiamo la definizione di “conflitto”, troppo spesso usata dalla narrazione mediatica che parla di “violenza da entrambe le parti” e “guerra al terrorismo” perchè dietro a queste definizioni, dietro allo spazio dato soltanto ai razzi su Tel Aviv, si cela la cancellazione di un popolo, di biografie, di persone, e la giustificazione della violenza strutturale e sistemica sionista.
Denunciamo quello che sta succedendo oggi nel quartiere di Gerusalemme Est, a Sheikh Jarrah, l’espulsione di 200 palestinesi dalle loro case, chiaro esempio di 73 anni di politica coloniale israeliana, di sgomberi, di pulizia etnica e di abusi quotidiani che si iscrivono sui corpi palestinesi sotto il complice silenzio della comunità internazionale, dei media e delle nostre istituzioni.
Questa violenza, come ci insegna Ilan Pappe nel suo testo The Ethnic Cleansing of Palestine del 2006, non ha nulla a che fare con l’ebraismo, se non la sua strumentalizzazione come giustificazione della violenza sistemica di uno stato.
“Neither Palestinians nor Jews will be saved, from one another or from themselves, if the ideology that still drives the Israeli policy towards Palestinians is not correctly identified. The problem with Israel was never its Jewishness – Judaism has many faces and many of them provide a solid basis for peace and cohabitation; it is its ethnic Zionist character” (p.260).
Abbiamo bisogno di uscire dalla narrazione del “conflitto”, che, semplificando una situazione estremamente più complessa, non ci permette di analizzare quello che sta succedendo nel locale, come espressione di dinamiche globali, che ci richiedono una presa di posizione immediata. Per il pacifismo, l’internazionalismo e la nonviolenza, per una rivoluzione culturale profonda e permanente che ponga fine a tutti i tipi di oppressione e discriminazione, esprimiamo la nostra solidarietà nei confronti del popolo palestinese che (r)esiste.