La testimonianza di Olga – Partecipante al training “The Power Behind Good Intentions”

“I volontari bianchi vogliono salvare il mondo”. Molti giovani in Europa si avvicinano alle organizzazioni di volontariato con dietro una sindrome di “white savior”: vogliono infatti “aiutare” il Sud del mondo praticando del volontariato nel Sud del mondo, spesso volendo lavorare con bambini e bambine. Tuttavia molto spesso non si percepiscono le relazioni di potere globali che stanno dietro le motivazioni: il colonialismo europeo per secoli ha sfruttato essero umani, animali, terre e risorse in Africa, Asia, Americhe e Oceania, e le conseguenze di ciò sono visibili.

Con questa premessa, e con la necessità di sviluppare consapevolezza tra i nuovi volontari e volontarie, è nato il training “The Power Behind good intentions”, finanziato dal programma Erasmus+ dell’Unione Europea e organizzato da SCI Austria, dove 30 giovani operatori, provenienti da tutto il mondo, hanno riflettuto sui legami tra colonialismo e volontariato dal 1 al 7 dicembre 2022 a Innsbruck, in Austria.

Olga, partecipante durante il training, ci racconta la sua esperienza durante quelli sette giorni:

 

Sono Olga, ricercatrice in sociologia all’Università di Padova, dove insegno anche.

Ho visto l’offerta su Salto-youth. Avevo già lavorato con lo SCI e ho trovato molto interessante discutere l’argomento, soprattutto perché la maggior parte dei seminari sono piuttosto chiusi allo scambio tra i partecipanti e gli organizzatori. Dal momento che sono più accademici o in un formato di corsi non sono così aperti agli operatori giovanili e ai non studenti. Non avevo mai visto un seminario sui temi del volontariato e del colonialismo messi insieme in questo modo.

L’anno scorso con la mia università, ho partecipato a letture post-coloniali e sono stati molto interessanti. Mi ha fatto venire voglia di saperne di più sull’argomento perché avevo conoscenze ma molto generali. Quando ho lavorato per diverse organizzazioni non governative, nessuno ha parlato di questa problematica e neanche quando abbiamo organizzato progetti in Libano e in Turchia. Oggi, mi sembra che avrebbe stato importante prepararsi su questo piano.

Durante il training ho imparato esempi specifici dalla storia del colonialismo. Non è possibile sapere tutto, quindi avere casi concreti è molto pertinente. Mi è piaciuta molto l’idea della mostra silenziosa perché ha permesso a tutti di esplorare le questioni relative al colonialismo che gli interessavano di più. La scelta è stata molto ampia. Mi ha anche arricchita lo scambio con i partecipanti originari di paesi colonizzati o colpiti dal razzismo per ascoltare il loro punto di vista su come, per esempio, essere un alleato.

 

Mi ha fatto venire voglia di approfondire questo argomento non solo per me come persona, ma anche come educatrice universitaria. Ora mi chiedo: come posso fare la differenza? Questo aspetto pratico della formazione mi è piaciuta perché, ad esempio, leggere libri, andare ai corsi è vantaggioso ma discutere cose pratiche che sono utili nella vita non è sempre fatto.

I volontari e le organizzazioni possono coinvolgersi nelle dinamiche del Sud Globale oltre ad andare direttamente lì. Per aiutare in questo, è importante rendersi conto che il colonialismo è ancora presente, non è finito e non appartiene solo al passato. È presente nella vita di tutti e tutte, in aspetti banali della vita normale, ma non lo vediamo. Inoltre, è importante che i volontari del Sud Globale vengono al Nord, aprendo così lo scambio. Poi ci sono anche le risorse umane ed educative disponibili per i diversi gruppi di volontari e uffici. Infine, queste dinamiche si possono trovare quando si tratta di tutte le attività di accoglienza dei migranti del “Global Sud”. È sempre complesso distinguere tra movimenti di solidarietà e “white savior complex“, quindi bisogna sempre essere attenti e non dimenticare la complessità delle cose.