Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza di Rainer Maria Baratti, volontario che, la scorsa estate, ha partecipato ad un campo di volontariato in Perù a tematica ambientale. La sua testimonianza è stata pubblicata integralmente su europeanaffairs.it. Noi siamo felici di riprenderla e pubblicarla in tre parti.
Leggi qui la prima parte del racconto.
Il progetto
Ogni giorno ci svegliavamo e facevamo colazione sulla terrazza dell’alloggio. Lì consumavamo la maggior parte dei nostri pasti e passavamo molti momenti di riposo e svago. Da lì potevamo vedere la Cordillera Blanca e il parco dello Huascaràn alle prime luci del giorno, quando si svelava con il suo maestoso bianco e il cielo azzurro sullo sfondo. Potevamo vederlo al tramonto mentre i suoi picchi si coloravano di rosa e arancio. Potevamo vedere mentre lottava con le nuvole che cercavano di oltrepassarlo ma si bloccavano lì, lasciando il sole nella vallata. Anche la Cordillera negra bloccava le nuvole dall’altra parte e faceva si che la maggior parte della giornata fosse calda col sole. Durante la notte la temperatura si abbatteva e ti dovevi coprire, c’è chi usava le giacche e chi il poncho di alpaca comprato al mercato artigianale vicino la piazza centrale.
L’Infosheet è il primo approccio e contatto che si ha con il progetto. Arriva via e-mail circa un mese prima della partenza e dà le informazioni inerenti all’arrivo, a come raggiungere il posto, cosa occorre portarsi dietro e come dovrebbero essere strutturate le giornate. Molto spesso la realtà che ci si troverà davanti è abbastanza diversa dalle informazioni riportate, soprattutto per i progetti alla prima esperienza (come quello a cui ho partecipato io). Nella informativa a grandi linee era riportato che la mattina si sarebbero fatti i lavori al Rio Quillcay e che il pomeriggio ci sarebbero state attività sociali e workshop in relazione allo sviluppo ambientale. Verso la fine del progetto si sarebbe fatto un campeggio al Lago Llaca dove si sarebbero portate avanti attività di ecoturismo e pulizia ambientale. Per fare questo ci era stato detto di portare tutto ciò che era necessario per il campeggio come tenda, sacco a pelo, stuoino, occhiali da sole e così via. In caso si poteva anche noleggiare a Huaraz a propria spesa. Oltre al viaggio e la quota versata online al portale, i campi al sud del mondo possono prevedere una extrafee che varia da progetto in progetto. Per questo progetto erano richiesti 250 dollari americani da versare all’arrivo. Generalmente servono a garantire il sostentamento e il tenore di vita dei volontari.
Da qui si è aperta la questione che abbiamo chiamato “Budget” e su cui alla fine abbiamo scherzato molto, anche se spesso nella fase iniziale è stata causa di stress per alcuni. I primissimi momenti sono stati vissuti con assenza di carta igienica nell’alloggio dove dormivamo e l’impellente necessità di alcuni di avere dell’acqua in bottiglia (chi sentiva l’esigenza di una precauzione solitamente la bolliva). C’erano anche altre richieste come quella del pane. Solitamente quando versi la quota extra, questa è stata la testimonianza di chi aveva già partecipato ad altri workcamps del genere, non sai nulla e non ti chiedi nulla di come vengono spesi questi soldi. Ma lo stesso gruppo di poche persone che ha detto questo voleva maggiore trasparenza (in termini di oggetti comprati) dal momento che Michael, il nostro coordinatore, ha detto che occorreva risparmiare i soldi per poter fare la parte del progetto nel campeggio. Qui il problema era dovuto all’incongruenza per cui l’infosheet (mandata dalla sede centrale) chiedeva di portaci la nostra tenda ma il coordinatore voleva utilizzare parte dei soldi per noleggiare l’attrezzatura a chi non l’avesse. Oltre a questo aveva detto che tutto ciò che si sarebbe risparmiato, sarebbe tornato a noi (di solito non è previsto una specie di rimborso). Su questo punto a questa parte del gruppo non piaceva questo tipo di utilizzo del budget. Dopo questa apertura da parte del coordinatore si è aperto il caso che alcuni dei volontari, poiché impauriti dalle scarse informazioni sul campeggio, avevano cominciato ad avanzare la proposta di avere indietro la propria parte inerente al campeggio. Questo atteggiamento abbastanza confusionario ha alimentato sfiducia sicuramente verso il coordinatore, il cui problema effettivo era quello di essere stato lasciato solo dall’organizzazione, e in alcuni addirittura la sfiducia nel progetto e nella sua natura prevalentemente “Work in Progress”. Gran parte del problema probabilmente è stato costituito dal pensare all’extrafee come “soldi nostri” e non come “soldi dati all’organizzazione”. Aspetto divertente però è quello legato al fatto che chi si è lamentato maggiormente, chi era maggiormente poi stressato dalla situazione, era proprio chi non aveva dato la quota a inizio campo. A ciò si è poi aggiunta la questione stivali che lo stesso gruppo ha alzato come punto contro il progetto. Nell’Infosheet non era stato specificato di portarsi degli stivali da lavoro per poter pulire nel fiume e, per esigenza sia personale che oggettiva, abbiamo dovuto comprarli da soli. La spesa si aggirava per i 18 soles (circa 4 euro) e alla fine del progetto abbiamo ottenuto un rimborso della metà. Oltre a ciò durante il pomeriggio non vi era stata possibilità di organizzare le attività promesse nell’informativa e generalmente era libero. In definitiva il nostro tempo era scandito con la mattina il lavoro al fiume (circa 5 ore), il pomeriggio libero e al massimo due giorni liberi alla settimana. Nell’arco di tutto il progetto erano poi previste due giornate nelle scuole e il campeggio. Questa situazione iniziale ha fatto si che spesso i meeting iniziavano tesi, soprattutto per la stanchezza generale e la negatività e lo stress di pochi. Gli stessi pochi che poi sentivano fondamentalmente l’esigenza forte di un leader con autorità dato che Michael non stava spesso con noi, cosa che ha portato problemi alla gestione del “cosa comprare” dato che non conosceva le abitudini del gruppo.
Prima di iniziare il lavoro abbiamo avuto due giorni liberi per ambientarci, per conoscere la città e per conoscere i compagni del progetto. Il secondo giorno per fare questo si è deciso di fare un trekking di 6 km che va verso la Laguna Aguak. Le prime parole che sono entrate nella nostra testa sono state “Sii paziente!”. Questo perché dovevamo esserlo sia per aspettare il Combi, sia per rispettare il nostro fisico durante la scalata. In questo ambiente è importante saper conoscere il proprio corpo, respirare profondamente, prendere il tempo e riposare. Al terzo giorno è iniziato il vero lavoro, gli strumenti che avevamo a disposizione erano dei guanti, una mascherina e i sacchi dell’immondizia. I guanti del primo giorno erano usa e getta, completamente inutili per quello che avevamo di fronte, e abbiamo usato guanti più resistenti per i giorni successivi. Il fiume a prima vista è il risultato di come spesso non ci prendiamo cura della natura. Viene utilizzata sia come discarica a cielo aperto che per lavare auto o panni. In acqua è possibile trovare di tutto: pezzi di plastica e teli, teschi e ossa di animali, preservativi nuovi, pneumatici, lunotti posteriori delle auto, pannolini usati, insetti, bottiglie di plastica, corde, lamiere di alluminio e molto altro. Oltre a ciò l’acqua è contaminata dal detersivo per auto e per i panni. Sulla riva vi erano molti autolavaggi che tiravano su l’acqua dal fiume con una pompa e la ributtavano nel fiume. Questo è ciò che accade con la noncuranza dato che in molti passavano sui ponti e lanciavano i sacchi dell’immondizia o la cartaccia di quello che stavano consumando. Il fiume non viene percepito come un bene pubblico, in molti non si curano del fiume sia perché non c’è sensibilità riguardo a queste tematiche ma anche perché è percepito come una proprietà della miniera. Molti locali dicono “se la miniera devia parte delle acque e non si cura del fiume, perché dovrei farlo io?”.
Ognuno dei volontari contribuiva nella misura in cui se la sentiva nelle diverse parti del fiume e con diverse velocità. C’era chi lavorava con un’andatura costante, chi lavorava più veloce e si stancava, chi lavorava dentro l’acqua del fiume e chi lavorava solo nella parte in terra per non rischiare. Uno dei problemi sollevati dai ragazzi francesi, e che l’incoscienza di molti giovani partecipanti non sentiva, era quella della non presenza di un operatore sanitario nelle vicinanze in caso di infortunio. All’inizio del lavoro nel fiume l’unica precauzione data era “non fate cose pericolose e state attenti”. Succedeva però che in molti l’ideale era più forte della sensazione di sicurezza e spesso lavoravamo nella zona più centrale del fiume con la corrente più forte e dentro l’acqua gelata. Solo per il fatto che entravi in acqua, poteva accadere che sentivi i brividi e stavi KO per tutto il pomeriggio. Durante i lavori l’odore del fiume è terribile, insopportabile. L’odore di feci e spazzatura comincia a fare a pugni con te tutte quelle mattine non appena scendi dagli argini. Perché per arrivare lì l’accesso non è proprio facile e sicuro. Spesso dovevi scivolare con il fondoschiena dagli argini, fare una sorta di free climbing o trovare qualche terrazzamento naturale. Ancora più difficile era poi cercare di portare i sacchi da sotto fino a sopra. Ci siamo inventati vari metodi come quello delle scale di pneumatici o il mio recupero di una corda dal fiume. Solo recuperare la corda per me è stata un’emozione alla Mac Gyver. Ero seduto su una roccia con i piedi nell’acqua, c’era questa corda che in parte era sottoterra tra le rocce. Andava tagliata ma non avevamo un coltello e mi sono dovuto arrangiare con una roccia, una mattonella, un bastone di legno e tanta pazienza. Alla fine ci sono riuscito e mi sentivo come un uomo primitivo che cercava di creare i propri attrezzi, avevo una sensazione successiva di gioia nel cuore. Dopo quel recupero, o legavamo i sacchi alla corda e tiravamo oppure la usavamo per arrampicarci.
Il fiume rappresenta un microcosmo di morte e vita, amore e solidarietà. Durante le nostre pulizie trovavamo cuccioli morti di gatti, cani o conigli. Rimanevamo fermi, non sapevamo cosa fare anche volendo fare qualcosa. Quando accadeva rimanevamo istanti a fissarci negli occhi tra noi volontari, ci facevamo coraggio e proseguivamo il lavoro. In questo scenario è apparsa una cagna incinta che cercava cibo tra i rifiuti per poter sopravvivere. È normale a Huaraz. La città è popolata da tantissimi e bellissimi cani di strada che spesso camminano e giocano in gruppo. Alcuni di loro spesso ci accompagnavano ai nostri lavori al fiume. Tra i giorni al fiume non dimenticherò mai il giorno in cui abbiamo collaborato con le operatrici municipali. Tutte donne che la mattina si alzano presto per pulire la città fino a mezzogiorno. Mentre lavoravamo siamo andati sotto a uno dei parapetti che si affaccia sul fiume. Stavamo levando tutte le bottiglie di plastica e a mano a mano uscivano fuori diversi tipi di immondizia, patate e vestiti. Durante le operazioni vedo un cane che solleva la testa dall’immondizia. Comincia a fissarmi, penso al fatto che fosse la sua casa. Non potevo che sbagliarmi, in realtà era la casa di una donna che dorme per strada. Si è avvicinata con il suo zuccotto mimetico, le mancavano i denti e farfugliava qualche parola. Qualche istante prima l’avevo vista mentre trascinava delle scatole di legno legate ad uno spago. Ci fissava con terrore mentre spostavamo i sacchi dell’immondizia. Si è avvicinata e ha cominciato ad aprire i sacchi in cerca delle sue cose. Eravamo pietrificati e abbiamo solo potuto lasciare le bottiglie di plastica che lei poteva vendere e quel poco cibo che aveva. Nel frattempo tre cani l’hanno circondata come per proteggerla da noi e ci abbaiavano contro.
Oltre a questo ricorderò però un altro giorno. È il giorno in cui ho imparato che il lavoro, è un lavoro di squadra. Per un mese condividi paure, sogni, desideri, ricordi, gioie e lavoro. Diventi parte di uno stesso organismo e ridi, ridi tanto. Diventi anche un po’ incosciente. Mentre lavoravamo nel fiume io e Humberto ci siamo spinti verso la parte più pericolosa al centro. In quel punto l’acqua ha una corrente molto forte ed è più profonda. Cerca di buttarti giù i polpacci e avevamo preso dei bastoni per fare un terzo piede. Ci tenevamo il braccio l’un l’altro per poter arrivare a un gruppo di pneumatici e a un materasso. Per liberare le cose ci muovevamo in sincronia, io tiravo gli oggetti incastrati e lui tirava me per fare più forza. Poi quello che riuscivamo a liberare lo spostavamo con una catena umana fino a riva con gli altri. Mentre pulivamo intorno al materasso incastrato nella roccia tutti ci guardavano da sopra gli argini. Si era radunato un folto gruppo di uomini, donne e bambini che ci filmavano e facevano foto. In molti ci chiedevano perché lo facessimo e cosa stessimo facendo. Molti bambini scavalcano e volevano scendere ad aiutarci. In questa atmosfera noi eravamo lì con i piedi che perdevano sensibilità e la corrente che ci voleva portare via. Prendevamo tutto e lo passavamo. Improvvisamente urliamo insieme “un preservativo!” e, mentre tutti ci guardano, scoppiamo a ridere come degli idioti. È questa l’atmosfera che si crea, lavori tanto ma trovi spazio per ridere e creare dei tuoi simboli. Rimani stupefatto di trovare preservativi nuovi e imbustati, nel posto più improbabile, in un paese in cui molti hanno figli in giovane età e ci sono moltissime famiglie con 5 figli. Dopo l’idiozia ci siamo messi a liberare il materasso e a farlo scivolare verso la riva più vicina all’argine. Li poi abbiamo incominciato a levare la paglia e a mettere tutte le parti non naturali dentro i sacchi. Abbiamo poi legato la rete di metallo alla corda è tirato fino a alla strada. Allo stesso momento è sopraggiunta una anziana signora che lo ha preso per rivenderlo. Dopo questo cominciamo la solita corsa avanti e indietro con i sacchi della spazzatura, i pneumatici e altra immondizia recuperata per inseguire il camion della spazzatura. A Huaraz non ci sono i secchioni poiché in molti li rubano per rivendere il metallo e quando i camion passano occorre rincorrerli. In ogni caso non si fermano. Al massimo vanno un po’ più lenti ma continuano ad avanzare. Non facciamo neanche in tempo a buttare le cose che tornati nello stesso punto la situazione era perlomeno uguale a prima. La corrente aveva portato altri rifiuti. Ma ciò non era importante, molte persone ci avevano visto fare un primo passo verso la cura di quel fiume e in molti volevano aiutare. Insieme a noi ha lavorato anche la comunità politica che sta avviando un progetto di tutela per i prossimi due anni. Ha lavorato Avillo, il rappresentante e responsabile della municipalità di Indipendecia. Era li con noi mentre cercavamo di strappare l’immondizia dal lago e ti arrivavano gli schizzi di fango e terra. Era li con noi mentre i lavori ci massacravano mani e piedi. Quando spesso ti chiedevi come è successo? Potevi osservarti le mani vedere tagli o buchetti che sembravano crearsi, scomparire o spostarsi. Porgevi osservare i polpastrelli assumere disegni curiosi simili a disegni di terra secca. Era li con noi quando i giornalisti ci riprendevano e ci intervistavano alla presenza del sindaco. Era li con noi quando tornavamo, stanchi e stremati, verso l’alloggio con gli stivali pieni di acqua e i sassolini che facevano da carta vetrata sul piede. Questo però non basta a tutti e forse non tutti lo capiscono. Forse è difficile capire la potenza di piccole azioni o forse non ci si crede abbastanza. Dopo 10 giorni i nostri amici francesi hanno deciso di lasciare il campo. I problemi erano legati alla presenza non fissa di Michael, al fatto che non è pagato, che si deve divedere tra l’università, i problemi in famiglia e altro. Al fatto che non c’è la presenza di un leader con autorità. Al fatto che è tutto in progressione e non stabilito, al fatto che non hanno mai visto l’organizzazione con un presidente presentarsi ufficialmente (Wayne ha partecipato a un campo a Lima della stessa organizzazione e c’era stata questa modalità). La non presenza di un medico, la non presenza di una attrezzatura adeguata o che abbiamo dovuto pagare cose come le attività o il campeggio (cosa già annunciata dall’Infosheet). Altri punti erano l’apparenza di informalità e mancanza di cose come carta igienica e acqua (che erano state risolte durante il loro soggiorno). Insomma, hanno detto “ok che non siamo in Europa ma in Europa funziona così”, purtroppo è una citazione. Volevano sentire la musica europea.
Continua nella parte III.