Il racconto è stato scritto dai volontari e dalle volontarie che hanno partecipato al campo di volontariato SCI “Shatila Refugee Camp”, a Beirut, Libano. Per quanto romanzato, si ispira a situazioni realmente vissute durante la loro permanenza nel campo profughi di Shatila.
Volantinaggio.
Quante volte ricorre questa parola nella vita di un giovane.
Il pensiero vola subito alle terse giornate di calura estiva, quando la tua fronte è esposta ad una solatio costante, e vagheggi nelle periferie della città nelle ore più improponibili, al fine di procacciarti qualche soldo per fronteggiare la retta universitaria.
Volantinaggio, per l’appunto.
Oppure viene in mente la rotazione itinerante dei venerdì sera, quando dinanzi al gazebo della tua associazione ti destreggi qua e là per cogliere lo sguardo di potenziali attivisti e attiviste da coinvolgere nel gruppo locale.
Ma a Beirut il volantinaggio è tutt’altra cosa. Chiamarlo così risulta persino riduttivo rispetto alle emozioni che noi volontari e volontarie stiamo provando in questi giorni.
Aggirarsi nel labirinto precario e precarizzante di Shatila per tentare di coinvolgere più persone possibile sembra di primo acchito un’impresa titanica. Vi è indubbiamente l’impressione di non essere all’altezza, o di risultare perfino arroganti nell’atto di distribuire volantini dopo aver percorso quasi 2.500 km in linea d’aria. Ma qui c’è un massacro da ricordare. Qui ci sono delle vittime cui rendere omaggio. Qui c’è una storia che non va in alcun modo affossata negli impervi meandri dell’oblio. Qui non si tratta di un semplice volantinaggio. C’è qualcosa di molto più profondo a cui aspirare.
E allora ci si mette in marcia, muniti di centinaia e centinaia di illustrazioni di Handala 1, personaggio che abbiamo imparato ad amare in anni ed anni di attivismo e militanza. Ci sono tre generazioni di palestinesi dinanzi ai nostri occhi e risulta quasi paradossale che ci siamo anche noi, un gruppo di volontari internazionali, a rievocare un massacro come quello di Sabra e Shatila, quasi con supponenza intellettuale. Eppure gli sguardi di uomini e donne palestinesi, segnati da rughe colme di frustrazione per il passato e inquietudine per il futuro, ci restituiscono compostezza e gratitudine. “Shukran” 2 è il minimo comune denominatore delle loro risposte, associate a un gentile sorriso. Nei loro occhi non si scorge solo la consapevolezza, si intravede anche il sentimento di non rassegnazione.
Si continua così a commemorare il massacro compiuto dalle Falangi cristiane libanesi, dall’Esercito del Libano del Sud e dalle forze dell’esercito israeliano nel 1982. Non dimenticare è l’imperativo categorico per conservare la propria identità, continuare a resistere e trasmettere tutto questo ai figli e alle figlie.
Parafrasando Pertini 3, “il modo migliore di pensare ai morti è pensare ai vivi”.
Alberto, Aran, Ilaria, Luca, Marcello, Maria e Martina
1) Handala: Personaggio creato dall’artista palestinese Naji al-Ali e diventato simbolo della diaspora palestinese.
2) Shukran: grazie in arabo.
3) Sandro Pertini: Presidente della Repubblica italiana dal 1978 al 1985.