8 agosto 2017, sgombero del Làbas: testimonianza di Serafina

Pubblichiamo la testimonianza di Serafina De Lonti, volontaria del campo di volontariato internazionale che si sarebbe dovuto tenere presso il progetto Accoglienza Degna con sede al Làbas di Bologna, dal 6 al 19 agosto, presente quindi durante lo sgombero avvenuto la mattina dell’8 agosto 2017.
SCI-Italia esprime piena solidarietà a tutti gli attivisti e alle attiviste di Làbas.
#RiapriamoLàbas

 

Non possono che esserci che parole di disgusto per descrivere quello che è successo ieri mattina a Bologna.

Sono arrivata a Làbas domenica pomeriggio insieme agli altri volontari del campo SCI che si sarebbe svolto nelle successive due settimane. Siamo in tutto una decina: ragazzi e ragazze dalla Spagna, dal Portogallo, dall’Albania. Incontriamo gli attivisti dello spazio che ci accolgono nell’ampio cortile. L’impressione è subito positiva e non può che migliorare dopo una risottata insieme. Gli attivisti ci hanno raccontato le numerose attività che animavano l’ex caserma e a cui avremmo avuto la possibilità di partecipare; in particolare, il progetto di Accoglienza Degna, uno spazio ospitante persone che necessitano di un tetto. Ci vuole poco per capire che Làbas è un esempio di realtà condivisa che funziona, con progetti sociali, culturali ed un clima di senso vero, difficile da trovare; un’isola felice nel centro di Bologna.

Arriva la seconda sera e con lei una notizia inaspettata: vogliono sgomberare lo spazio. Ma a tutti sembra una cosa così assurda che non è possibile crederci. L’idea si fa più concreta nel corso della nottata. Gli ospiti di Accoglienza Degna escono con le valigie; i ragazzi dello spazio cominciano a organizzarsi per resistere. È cosi strano pensare che fino a poche ore prima avevamo brindato insieme.

Si decide di organizzare una colazione di solidarietà davanti al cancello principale dello stabile; noi volontari portiamo fuori i nostri zaini e dopo poco ecco che la notizia si avvera. Arrivano le camionette della polizia e chiudono la strada da entrambe le entrate. Subito le loro intenzioni sono chiare e l’istinto consiglia di andarsene. Però la voglia di restare per difendere non solo il luogo fisico di Làbas, ma anche quello che rappresenta, è più forte. E mentre ci sediamo davanti al cancello per fare resistenza passiva penso ai ragazzi per il quale quel posto in quel momento era una casa, non solo in senso figurato ma concretamente. Cosa faranno adesso? Cosa dovrebbero fare? Poi il pensiero mi abbandona perché la polizia in tenuta antisommossa si avvicina e quando vedo la faccia dei poliziotti alla mia destra con il manganello ben impugnato, sale il terrore.

Subito quel manganello comincia a colpire e allora perdo ogni razionalità. Altri poliziotti ci trascinano, non perché siamo di intralcio alla loro entrata (perché sono già entrati sfondando altri accessi), ma perché siamo loro di intralcio per colpire gli attivisti dello spazio, che vedono come prede, come oggetti su cui provare i loro manganelli. Quando spaventata mi allontano dalla mischia la scena diventa ancora peggiore, perché la “seconda linea” di polizia è ben più aggressiva: afferrano e trascinano le persone in maniera brutale per metri. Vedo un ragazzo che si tiene la testa. Lo shock mi porta a piangere, a insultarli. Non posso tollerare questa violenza. Poi riprendo razionalità e vengo invitata ad allontanarmi definitivamente.

Bestie. Bestie fiere di esserlo. Sangue e ferite per cosa? Per distruggere uno spazio di cui per capirne l’importanza sono bastati solo due giorni a noi volontari. Oggi non possiamo fare altro se non esprimere la nostra solidarietà al Làbas e ai ragazzi di Accoglienza Degna e indignazione davanti allo scempio compiuto.