L’articolo è stato scritto da Mattia Livraghi, coordinatore, nell’estate 2016, di due campi di volontariato presso il Villaggio Carovana di Castiadas, Sardegna.
La scorsa estate ho coordinato i primi due campi Summer at the Villaggio, siti al Villaggio Carovana, presso Castiadas, in Sardegna. Il Villaggio è una casa per ferie che accoglie, fra gli altri, anche ospiti speciali (come li chiamavamo in gergo affettuoso), ovvero portatori di qualche disabilità intellettiva. Ma sia chiaro, non si chiama Carovana di certo solo per quello: famiglie più o meno numerose, coppiette giovani e datate, i relativi bambini liberi di scorrazzare per il salone comune, in compagnia dei figli dei gestori del Villaggio. Persino ignari turisti che avevano prenotato una notte con formula bed and breakfast, per scoprire, a colazione, che non avevano scelto il solito albergo in Sardegna. Ma tutto questo lo sapevo già, perché due anni prima ero stato volontario nello stesso campo.
Essendomi trovato a mio agio in un ambiente così variopinto, avevo accolto con piacere l’invito del Villaggio a tornare, ma questa volta come coordinatore. Avevo anche frequentato la formazione coordinatori e mi ero fatto un’idea generale sul ruolo: interfacciarsi con l’associazione partner e assicurarsi che il gruppo dei volontari lavori in armonia. Oltre a questo, adempiere anche alle mansioni del volontario. Più facile a dirsi che a farsi, già starete pensando.
Giunto in Sardegna, il primo gruppo di volontari era composto da due ragazze catalane piuttosto spigliate, da una ragazza russa molto più introversa e dal sottoscritto. Nell’arco del primo giorno è stato evidente che la volontaria russa si sentiva fuori dal giro: la differenza linguistica non le permetteva di ridere delle battute a tavola, e la sua personalità nordica contrastava con il ben noto calore sardo e catalano. In più, la vicinanza tra italiano e catalano spesso rendeva l’inglese superfluo tra me e le altre due ragazze, fatto che accentuava il suo isolamento. In quanto coordinatore, sapevo di dover fare qualcosa.
Quella prima notte mi ero addormentato ponderando una soluzione. Non so in che sogno fossi quando, alle quattro del mattino, sono stato svegliato di soprassalto dalle urla delle tre ragazze, che avevano sentito dei rumori fuori dalla roulotte e avevano pensato a qualche maniaco serial killer. Ovviamente hanno insistito che andassi a controllare di persona che non ci fosse nessuno. La mattina dopo, mentre a colazione ci ribadivano che condividevamo la collina con dei cinghiali selvatici, non sempre silenziosi, le tre ragazze stavano parlando animatamente. Insieme avevamo riso e discusso dell’accaduto, e insieme ci preparavamo alla prima giornata di lavoro. Da quel momento in poi, tradurre tutte le nostre conversazioni in inglese è stato più piacevole e naturale; allo stesso tempo la volontaria russa ha iniziato ad aprirsi di più. In altri termini, il pericolo che si isolasse un membro del gruppo è stato scongiurato grazie ad un cinghiale notturno. Mica l’avevano menzionato questo, alla formazione coordinatori.
La morale è che il coordinatore non è onnisciente, e che non tutte le soluzioni possono, o devono, essere da lui dispensate. Da coordinatori vi potrete impegnare a mediare dispute, sforzarvi affinché tutti si sentano inclusi, organizzare giochi e attività, ma talvolta il vostro problema verrà risolto da un cinghiale selvatico. Oppure magari dall’idea brillante di un altro volontario o dell’associazione partner.
Certo, la pressione a cui vi sottoporrete per il buon esito del campo sarà elevata. Ma ricordate che non siete i primi assoluti, bensì i primi fra i pari. È questo l’unico vero fattore che vi contraddistingue dagli altri volontari: avete riflettuto di più su quella pala che spezza una spada nel logo dello SCI. Sapete cioè che è lavorando fianco a fianco, e non da soli, che potrete risolvere il problema.