Un’estate in Belgio tra speranza e solidarietà – Esperienza di Irene

Irene Citraro ha 21 anni ed è una studentessa italiana di Scienze Internazionali e Diplomatiche all’Università di Bologna. Nel luglio del 2024 ha deciso di fare il suo primo volontariato e partecipare a un campo di volontariato in Belgio. 

Un gruppo di sei donne in una stanza spaziosa e soleggiata, vestite con abiti colorati e foulard, sorridono e posano insieme.


Grazie al mio percorso accademico, ai miei interessi personali e ai valori che mi hanno accompagnata nella crescita, ho sempre sentito un forte richiamo verso il concetto di “bene comune”.

Una citazione che mi ispira profondamente in ogni scelta e azione della mia vita è: “Soprattutto siate sempre capaci di sentire nel profondo di voi stessi ogni ingiustizia commessa nei confronti di chiunque, in qualsiasi parte del mondo.” – Ernesto Che Guevara. 

Con questo spirito, nel luglio del 2024 ho deciso di intraprendere la mia prima esperienza di volontariato. 

Attraverso lo SCI (Servizio Civile Internazionale), ho partecipato a un progetto presso il centro rifugiati di Natoye, Namur, in Belgio, da fine giugno a fine luglio 2024. Insieme a volontari provenienti da tutto il mondo, ci siamo dedicati alla realizzazione di attività quotidiane di tipo sportivo, educativo e creativo per i ragazzi e le famiglie ospitate nel centro.

Ho scelto di partecipare a questo progetto perché ho sempre nutrito una profonda sensibilità nei confronti dei migranti. Ho cercato di immedesimarmi in coloro che sono costretti a lasciare il proprio paese a causa di guerre, catastrofi naturali o condizioni di estrema povertà. Il loro è un vero e proprio “viaggio di speranza”, alla ricerca di un luogo sicuro dove poter ricominciare da capo. 

Un bambino con una gonna rosa volteggia felice con un palloncino colorato, tenuto in mano da un adulto sorridente in un parco verde.

Questa esperienza mi ha permesso di entrare in contatto diretto con i rifugiati, non solo attraverso le attività quotidiane, ma soprattutto grazie ai momenti di dialogo e condivisione. I ricordi che porterò sempre con me sono proprio le lunghe conversazioni con i residenti del centro: istanti in cui, giorno dopo giorno, si è creato un legame di fiducia unico.

Molte delle storie che ho ascoltato erano strazianti, racconti di vite sospese tra la disperazione e la speranza. Ma più di tutto, erano storie di immensa forza, resistenza e coraggio.

Uno dei momenti più toccanti è stato l’amicizia che ho stretto con una donna e madre di cinque figli, proveniente da Trinidad e Tobago. Durante una delle nostre chiacchierate dopo cena, mi ha fatto un regalo inaspettato e prezioso: con un sorriso, mi ha chiesto “Vuoi vedere il mio volto senza il velo?”. Sorpresa ed emozionata, ho risposto di sì, onorata di quel gesto di fiducia. Dopo essersi assicurata che non ci fossero uomini nei paraggi, si è tolta il velo davanti a me. Era bellissima.

Non sono mancate le difficoltà, come la barriera linguistica: la maggior parte dei residenti parlava francese, una lingua che conosco poco. Tuttavia, questo ostacolo si è rivelato meno insormontabile del previsto. Attraverso le espressioni del viso, i gesti e qualche parola in inglese, sono riuscita a comprendere molto più di quanto potessero dire le parole.

Questa esperienza è stata una delle più belle della mia vita e mi ha arricchita profondamente. Ha rafforzato la mia determinazione a continuare su questa strada e a partecipare a molti altri progetti di volontariato con lo SCI.

Sono pronta per nuove sfide, nuovi incontri e nuove storie da ascoltare e condividere.

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