Sport, lingua e arte a Shatila: voci oltre i confini

Questa testimonianza è di Clara Punzi, volontaria italiana che ha partecipato a un campo di volontariato nel campo profughi di Shatila, a Beirut, attraverso il progetto Baskets Beats Boards”, con cui SCI Italia collabora da alcuni anni. Realizzato lo scorso maggio a Roma, il progetto ha permesso alle ragazze del Real Palestine Youth F.C. di partire dal campo profughi di Shatila per affrontare un viaggio speciale, durante il quale hanno giocato con squadre di basket popolare romane come l’Atletico San Lorenzo, gli All Reds e le Les Bulles Fatales.

Al centro di Baskets Beats Boards c’è l’idea che lo sport, e in particolare il basket, possa essere uno straordinario veicolo di emancipazione personale, di educazione a uno stile di vita sano e positivo, ma anche un ponte per favorire il dialogo e l’incontro tra persone provenienti da culture e contesti completamente diversi. In questo racconto, Clara condivide le sue esperienze, emozioni e riflessioni, mettendo in luce la resilienza della comunità di Shatila e il potere trasformativo dello sport come strumento di crescita personale e sociale.


Quando ho lasciato Shatila per tornare in Italia, non potevo immaginare che, nel giro di poche settimane, questa comunità fragile ma vivace si sarebbe trovata nuovamente al centro di una rinnovata violenza. Sebbene ci fossero segnali di un conflitto imminente, come i sorvoli dell’esercito israeliano, i boati sonici e gli attacchi a Hezbollah in tutto il paese, la vita nel campo continuava con determinazione e perseveranza da parte dei suoi abitanti.

Sara insegna alle donne in una aula.

L’entusiasmo era palpabile, soprattutto all’interno della comunità palestinese di Coach Majdi. La palestra coperta del Shatila Community Sport Center, che avevamo contribuito a ristrutturare insieme ai lavoratori del campo, era pronta ad accogliere nuovi corsi di basket e pugilato. I giovani, ragazze e ragazzi, si preparavano per il nuovo anno scolastico, chi con entusiasmo, chi con un’ansia e un’incertezza quasi inevitabili. Un nuovo centro medico, gestito da un amico stretto di Majdi, stava per aprire proprio di fronte alla palestra, offrendo visite mediche gratuite alle famiglie di Shatila. I più giovani progettavano nuovi percorsi accademici e il futuro delle loro famiglie, intrecciati con l’aspirazione di costruire una vita dignitosa, possibilmente lontano dal campo. Tuttavia, pochi giorni dopo la mia partenza e quasi tragicamente in coincidenza con l’anniversario del massacro di Sabra e Shatila (1982), questi fili di vita quotidiana sono stati spezzati dall’invasione israeliana del Libano, segnata da bombardamenti incessanti nei sobborghi di Beirut che circondano Shatila. Ancora una volta, le vite dei palestinesi, siriani e libanesi a Shatila sono state messe alla prova in modo insopportabile e ingiustificato.

Riflettendo su quali azioni intraprendere al mio ritorno a casa per stare al loro fianco, i ricordi del tempo trascorso insieme si sono riaffacciati, ricordandomi le motivazioni che mi avevano spinto a intraprendere questo viaggio. All’inizio, ho faticato a trovare il mio ruolo nel campo di volontariato, incerto su come contribuire in modo significativo e rispettoso alla comunità. Quali erano le aspettative del partner locale e, soprattutto, delle ragazze e dei ragazzi con cui avrei trascorso il mio tempo a Shatila? Le sessioni di formazione organizzate da SCI prima della partenza sono state uno spazio prezioso per condividere queste incertezze ed esplorarle collettivamente. Discutere delle mie preoccupazioni con altri volontari e formatori mi ha aiutato a capire che non esistono risposte universali a queste domande, poiché ogni contesto è unico; e che, probabilmente, è proprio il fatto di porsi queste domande, rimanendo consapevoli e nutrendole con le realtà vissute a Shatila, a rendere significativa l’esperienza del campo sia per la comunità locale sia per me.

I volontari giocano a basket.

Sin dal mio arrivo, è stato chiaro che l’approccio più prezioso fosse immergermi nella vita del campo, cogliendone le sfumature attraverso le voci e le scene circostanti, lasciando che le persone del posto mi introducessero nella loro comunità. Gli abitanti, di ogni età, mi hanno accolto a braccia aperte, desiderosi di condividere le loro storie, presentarmi le loro famiglie e scambiare culture. La loro calorosa ospitalità ha creato un senso di connessione e protezione, facendomi sentire abbracciata dalla loro comunità. Fin dal primo giorno, l’entusiasmo dei bambini era tangibile mentre si radunavano per disegnare e giocare con noi, a prescindere dalle nostre diverse origini e lingue. Nonostante le evidenti differenze nelle nostre circostanze, la nostra comune umanità ci univa.

Ben presto, mi sono trovata completamente assorbita dalla vita a Shatila. Grazie al prezioso supporto di Coach Majdi e della sua famiglia, ho iniziato rapidamente a sentire e vivere la quotidianità del campo. Allo stesso tempo, Coach Majdi mi ha incoraggiata a partecipare alle attività del suo centro. Oltre alle lezioni sportive per ragazze e ragazzi, il Shatila Community Sport Center arricchisce la comunità offrendo anche corsi di lingua e arte guidati da insegnanti locali. Insieme a loro, abbiamo avviato uno scambio linguistico italiano-arabo-inglese, che però si è presto concentrato sull’italiano, dato l’entusiastico interesse mostrato dai partecipanti. La dedizione delle giovani ragazze e dei ragazzi era sorprendente. Per alcuni, era evidente che imparare l’italiano non fosse solo un passatempo estivo: nelle difficili condizioni in cui crescono, saper parlare italiano rappresentava una finestra su un mondo oltre i confini del campo. In quei momenti, la lingua è diventata per loro uno strumento di emancipazione, un salto immaginativo verso una vita non vincolata dall’oppressione.

Il nostro lavoro si è esteso anche al supporto dei programmi di arte e sport presso il centro. Durante una lezione di disegno, abbiamo creato insieme un’immagine di Handala, simbolo di identità e resistenza palestinese, che cammina accanto a una squadra di basket femminile. Quest’immagine ha incarnato lo spirito della missione di Coach Majdi per il suo centro: utilizzare lo sport e la creatività come strumenti di crescita personale e sociale, autodeterminazione, libertà, giustizia ed eguaglianza. Il programma di basket, guidato da Coach Majdi, si distingue per i risultati significativi già ottenuti. Oltre all’allenamento fisico, insegna valori come il lavoro di squadra e offre l’opportunità di uscire dal campo per allenarsi e competere con altre squadre locali. Negli ultimi anni, alcune ragazze hanno avuto anche la possibilità di viaggiare all’estero e incontrare squadre internazionali.

Sara scrive su una lavagna in classe.

Tra le tante esperienze e lezioni riportate da Shatila, una mi colpisce particolarmente: la consapevolezza che anni di conflitto privano le persone non solo delle risorse materiali ma, soprattutto, dei loro diritti fondamentali e della dignità. Questo campo di volontariato mi ha aperto gli occhi sul fatto che Shatila, soprattutto la sua comunità palestinese, è una testimonianza dello spirito indomito di chi rifiuta di essere cancellato. È un luogo dove la speranza esiste nonostante sfide inimmaginabili, dove anche i più piccoli atti di resistenza, come imparare una nuova lingua o praticare sport, assumono un peso politico profondo.

Per saperne di più visita la pagina Facebook del progetto.

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