Dal “secolo breve” al “secolo mobile”: i viaggi di chi non vuole fermarsi

Mi sono avvicinato al lavoro del giornalista Gabriele Del Grande ormai dieci anni fa, guardando il suo documentario Io sto con la sposa. Quel film è stato per me una rivelazione:  un viaggio reale di cinque rifugiati siriani e palestinesi che, travestiti da sposi e invitati ai un finto matrimonio, attraversano l’Europa da Milano a Stoccolma per sfuggire ai controlli di frontiera. Tra documentario e “favola politica”, il film è un vero e proprio atto di disobbedienza civile e un inno alla libertà di movimento. Da lì ho iniziato a studiare arabo all’università e a frequentare corsi di antropologia delle migrazioni, nel tentativo di capire più a fondo le storie e le vite che si muovono attraverso i confini del Mediterraneo. Chiaro che l’emozione è stata tanta nel momento in cui sabato 25 ottobre, Gabriele Del Grande ha portato il suo spettacolo Il secolo è mobile a “La Città dell’Utopia”, in occasione del No Border Festival, l’appuntamento promosso annualmente da SCI Italia, Laboratorio 53 e altre associazioni sulle questioni migratorie.

Con Il secolo è mobile, Del Grande torna a raccontare proprio quel mondo in movimento — un mondo dove la libertà di attraversare frontiere, che l’Europa ama considerare un valore fondativo, resta in realtà profondamente diseguale. Il titolo dello spettacolo dialoga con l’espressione di Eric Hobsbawm, il secolo breve, con cui lo storico definiva il Novecento: un’epoca iniziata nel 1914 con la Prima guerra mondiale e chiusa nel 1991 con la fine dell’Unione Sovietica. Quel secolo era stato dominato da grandi ideologie e da confini netti, politici e simbolici. Il secolo mobile di Del Grande, invece, è il nostro tempo: quello che doveva essere il secolo della libertà di movimento, ma che si è trasformato in un’epoca di confini mobili, disuguaglianze fisse e libertà selettive.

L’illusione della libera circolazione nasce proprio con la creazione dell’area Schengen, che nel 1995 avrebbe dovuto rendere l’Europa uno spazio di movimento e cooperazione. Ma mentre si aprivano le frontiere interne per i cittadini europei, si alzavano nuove barriere esterne per chi veniva da fuori. Il risultato è un continente attraversato da un paradosso: una mobilità piena per alcuni, e negata per molti altri. Del Grande mostra come le politiche dei visti, i respingimenti e la gestione securitaria delle frontiere abbiano trasformato il diritto di muoversi in un privilegio, creando nuove linee di divisione tra Nord e Sud, tra chi può scegliere e chi è costretto a fuggire. “Non c’è mai stato un secolo tanto mobile quanto il nostro” afferma Del Grande, “eppure la libertà di movimento non è mai stata così diseguale.”

Il secolo è mobile è costruito come una geografia emotiva delle migrazioni, un intreccio di storie vere, volti e voci raccolte lungo vent’anni di viaggi, guerre e rivoluzioni. Non parla solo di chi parte, ma anche di chi resta, di chi accoglie, di chi costruisce ponti invece di muri. È un viaggio dentro il nostro tempo, che interroga lo spettatore e lo invita a guardare il mondo da un’altra prospettiva, per riflettere — attraverso arte, attivismo e partecipazione — sul diritto alla libertà di movimento. 

L’impegno di SCI Italia – Servizio Civile Internazionale, che da oltre un secolo promuove volontariato e cooperazione tra persone e popoli, senza confini né barriere, risuona fortemente con i temi dello spettacolo. La libertà di movimento è infatti una forma di giustizia: il diritto di cercare una vita migliore, ma anche di restare nella propria terra in condizioni dignitose. È la stessa visione che attraversa Il secolo è mobile: la mobilità come esperienza umana universale, che chiede ascolto, riconoscimento e responsabilità. Lo spettacolo diventa così un atto politico e poetico, un esercizio di empatia che restituisce umanità a chi troppo spesso viene ridotto a numero. In un’epoca di muri e respingimenti, Il secolo è mobile ci ricorda che la libertà di movimento non è solo una questione di frontiere, ma di uguaglianza e dignità. Come dice Gabriele, la migrazione non si può fermare, ma si può solo difendere: e forse, il modo migliore per difenderla è continuare a muoversi — con i corpi, con le idee, e con le storie che scegliamo di ascoltare.

– Fabrizio Astolfoni, coordinatore SCI Italia

Torna in alto