“Stop all Genocide” Una riflessione su privilegio e potere

Fabrizio Astolfoni è attivista di SCI Italia dal 2018: ha iniziato la sua esperienza attraverso gli Interventi Civili di Pace, un progetto di interposizione nonviolenta per la raccolta delle olive a sostegno dei Comitati di Resistenza Popolare, che lo ha portato a viaggiare per un mese in Palestina. Dal 2020, fa parte dello staff di SCI Italia.


La scorsa settimana, SCI Italia ha ospitato un seminario chiamato “Stop All Genocide”, finanziato da Erasmus+. L’idea era quella di sensibilizzare i partecipanti riguardo ai genocidi attuali e passati e creare una forte rete di organizzazioni pacifiste e antimilitariste, lavorando in particolare con i giovani.

La preparazione e l’implementazione dell’attività, iniziata mesi fa, è stata per me un’importante opportunità per riflettere sull’impatto del “potere” che ho all’interno di SCI Italia: ciò è dovuto non soltanto al mio ruolo, ma anche al mio background, ai miei privilegi e alla mia posizionalità. Infatti, sebbene sia impossibile ignorare il forte e cruciale impatto che l’antropologia culturale ha avuto nella mia vita – avendola studiata per sette anni – continuo a sorprendermi di quanto, nella mia vita quotidiana, continui a sottovalutare questioni importanti come razza, genere, appartenenza, identità e produzioni culturali.

La ruota del privilegio aiuta a visualizzare lo spettro del potere, della cancellazione delle identità e delle comunità emarginate per esplorare l’intersezionalità.

Potrebbe sembrare illogico, ma le categorie che ho studiato così a fondo – presumo – durante il mio percorso accademico continuano a non essere pienamente incorporate nella mia forma mentis. Cosa mi ha insegnato l’antropologia per tutti questi anni? Fino a che punto questa scienza sociale è legata al potere e all’autorità razziale della società bianca? Come ho potuto ignorare la mia posizionalità durante i miei precedenti lavori sul campo o le esperienze lavorative nei diversi contesti in cui ho interagito, cercando di esercitare – nel miglior modo possibile – la mia “professione” di antropologo? Qual è la ripercussione del mio ruolo in una rete di volontariato come il Servizio Civile Internazionale, nata cento anni fa?

Tuttavia, ci sono stati diversi input, in questi giorni, che hanno avuto un impatto positivo, almeno credo. Le riflessioni di Fanon o Said hanno fortemente risuonato nella mia mente durante queste ultime settimane, mentre lavoravo e mi interfacciavo con la burocrazia per permettere adi alcuni partecipanti palestinesi di partecipare al progetto. Come ho menzionato prima, il titolo del progetto Erasmus+ è “Stop All Genocide”: considerando il fatto che ho dovuto omettere il titolo ad alcune ambasciate, per evitare problemi, ritardi, rimpalli e “scaricabarili” è ancora comprensibile la relazione ambivalente tra conoscenza e potere, più specificamente tra orientalismo e imperialismo, colonialismo e neocolonialismo.

Un esempio di lettera di supporto di SCI Italia per l’invito di un partecipante dalla Giordania: il titolo del seminario è stato omesso e sostituito con un generico “focus sulla prevenzione della violenza, lavoro con i giovani e educazione non formale”.

Ma la burocrazia è burocrazia, e la vita quotidiana è la vita quotidiana, specialmente cercando di riflettere, anche solo per pochi minuti, su cosa significa quest’ultima per un palestinese in Palestina. Senza entrare troppo nei dettagli,è fondamentale ripeterci che, se da un lato i palestinesi devono subire il conflitto in corso e l’occupazione militare, dall’altro sono vittime di una violenza sottile e strutturale: il muro di separazione, i blocchi, le aree militari, i posti di blocco, le zone di sicurezza, i checkpoint caratterizzano pienamente la vita quotidiana degli individui.

Due partecipanti dalla Palestina hanno condiviso, con una mappa e le loro voci, i diversi checkpoint che devono attraversare ogni giorno per raggiungere le città vicine.

Quando sono andato in Palestina cinque anni fa, e non sono più tornato, sono rimasto fortemente impressionato dai numerosi atti di solidarietà nonviolenta e non armata e di co-resistenza. La raccolta delle olive non hanno solo un significato economico per il reddito delle famiglie; è una tradizione millenaria, in cui famiglie e tutti i livelli della società palestinese partecipano attivamente alla raccolta, trasformando questa attività in una vera festa nazionale e tradizionale. Rappresentano la resistenza e la resilienza degli individui palestinesi, la loro continuità con la terra e una conoscenza intergenerazionale.

Un simbolo di resistenza e potere: per i palestinesi, raccogliere le olive è un evento nazionale che celebra il loro rapporto con la terra e la loro cultura.

Un importante significato socioculturale, un atto di resistenza contro l’espropriazione delle terre da parte dei coloni. Proprio domenica scorsa sono andato con alcuni palestinesi a una manifestazione di protesta per l’invasione del Libano. È stata impressionante la solidarietà delle persone verso ciò che sta accadendo in questi giorni: ma come ho visto diverse volte, anche nelle conversazioni informali di questi giorni, la vita e la resistenza palestinese sembrano prodotte da fonti illimitate, e dovremmo diffondere la loro voce il più possibile.

Foto della manifestazione del 28 settembre per il Libano a Roma.

Fabrizio Astolfoni, 4th October 2024, Rome (Italy)

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