Lettera da un coordinatore di campo durante il G8

Grazie a Franco, attivista, volontario, amico e coordinatore SCI Italia, per questa bella testimonianza, sotto forma di lettera, della sua esperienza, durante il G8 a Genova, mentre era coordinatore di campo.
Buona lettura.

– SCI Italia


 

Buongiorno a tutti, in particolare a chi mi conosce costì a Roma.

Scrivo perché il ricordare in radio, tv e giornali il ventesimo anniversario del G8 mi ha fatto venire in mente che c’ero anch’io. Che, anzi, c’era anche lo S.C.I. con un suo cartello, una piccola delegazione romana e con quasi inconsapevoli volontari internazionali. Ve ne parlo qui di seguito. Leggete se avete voglia, se a qualcuno interessa. Una strana modesta storia di un campo S.C.I. Anzi, di due.

Quei giorni, senza relazione col G8, si svolgevano vicino Genova ed in strana prossimità tra loro tre campi dello S.C.I., con inizio sfalsato di un solo giorno: di venerdì, sabato e domenica, e, per necessità (penuria di coordinatori disponibili), un solo coordinatore per tutti e tre. Io.

Sistemato il venerdì in qualche modo il primo, di soli 7 volontari, posizionato troppo distante dagli altri due, trovando lì un partecipante che poteva gestire con serietà e capacità la situazione, già sabato mattina lo lasciai e nei due giorni successivi avviai separatamente gli altri due campi, entrambi sulle colline dietro Genova, uno a Savignone, l’altro itinerante, favore del recupero agricolo di terreni abbandonati e di tre agricoltori volenterosi e squattrinati che se ne occupavano, a non troppi ma neppure pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro e da Savignone. I due campi erano assai numerosi e con problematiche di relazione con l’esterno all’inizio soprattutto non semplici e completamente diversi tra loro. Li gestii alla meglio spostandomi con la mia auto fra i due.

Non ho nella mente chiarissimi tutti i dettagli cronologici di quei giorni, tranne gli essenziali, soprattutto nel rapporto del G8 con noi.

Fu durante il secondo fine settimana che si svolse tutto. Cominciò il giovedì pomeriggio sul lungomare di Genova con un concerto di Manu Chao, allora famoso, cui andai con entrambi i campi e che già aveva attratto in anticipo numerosi giovani. Quasi nessuno dei volontari S.C.I. aveva se ben rammento una chiara idea di cosa fosse il G8, fui io ad attivare il loro interesse, e non quello di tutti. Interessato con me era al completo il campo itinerante, solo una metà scarsa dell’altro. I due gruppi, anche in questo, erano assai come tali differenti. In comune solo che tutti erano molto giovani. Decidemmo di andare a Genova il giorno dopo, venerdì, con uno solo dei due gruppi e con alcuni dell’altro, che restò affidato ai promotori locali, come sempre in mia assenza). Sapevamo della manifestazione, ma non me l’aspettavo gigantesca come fu: occupò almeno un paio di chilometri dell’ampio lungomare di Genova est, località credo Boccadasse. Eravamo in tutto oltre venti, metà ragazzi e metà ragazze, tutti curiosi ed alcuni un po’ timorosi dell’esperienza nuova e forestiera. Ero l’unico italiano e forse l’unico che avesse già partecipato ad altre manifestazioni.

Da contatti telefonici con Roma sapevo che sarebbe giunta una delegazione dello S.C.I., con un paio di persone che conoscevo, e grazie a vaghe indicazioni topografiche e ad un cartellone con la scritta S.C.I. riuscimmo a incontrarci. In seguito però, dopo una lunga attesa che il corteo partisse e dopo un’ora e più di lento confuso avanzamento finimmo involontariamente per perderci di vistai. Noi ci mescolammo, restando uniti, alle migliaia di altri partecipanti del corteo (si parlò poi sui giornali di 350.000), il più numerosamente partecipato cui mi sia capitato di partecipare o solo assistere. Non rincontrammo più nessuno della delegazione romana.

L’enorme corteo avanzava a cento o duecento metri l’ora, con soste incomprensibili, crescendo e poi svanendo la speranza di arrivare alla meta, vagamente posizionata assai più avanti, e non sapevamo quanto, in fondo allo stradone dritto.

Ad un certo momento ci fu rumore di spari lontani, voci arrivavano incerte, niente informazioni. Ci bloccammo tutti, poi dopo un po’ ancora spari e confusione crescente e non si avanzò più, anzi ci fu una dispersione confusa all’indietro, con vaghe notizie di scontri, incontrollabili. Con difficoltà eravamo rimasti uniti, ma presto nella ritirata finimmo per disperderci anche noi, con mia preoccupazione. Con me rimasero soprattutto alcune delle ragazze più smarrite ed inquiete, gli altri c’erano mossi con più intraprendenza e sperai che le informazioni preventivamente e precauzionalmente date a tutti su come comunque tornare al campo risultassero sufficienti nonostante il loro misero Italiano. Dovevamo raggiungere la stazione di una linea ferroviaria secondaria: da lì con con un trenino periferico arrivare a Busalla, poi con un autobus (se reperibile, altrimenti con qualche chilometro a piedi).

Avevamo (non tutti) il cellulare ma non prendeva. Rammento che ad un bivio, col mio gruppetto, per un dubbio della mia, comunque per fortuna abbastanza buona memoria, chiesi informazioni ad un paio di poliziotti, soli e inquieti anche loro in quel posto, e sgarbati: non sapevano o non volevano però aiutarci. Con altri azzeccammo la strada giusta e lunga, fino alla stazioncina capolinea, poco prima della partenza dell’ultimo per noi e strapieno treno. All’arrivo, come con timore speravo, scoprii che c’erano tutti. E poi, stanchi, a piedi per un lungo tratto, arrivammo sfiniti al campo.

Fu solo dopo la fine del campo, già tornato a casa, ricostruendo il percorso di quel ritorno nella memoria, confrontandolo con le notizie scritte sui giornali ed una mappa di Genova, che scoprii che eravamo passati a piedi davanti alla caserma Diaz, e naturalmente in treno da Bolzaneto, i luoghi di quella sciagurata notte del pestaggio e delle torture che vi avvennero. Ancora in gran parte e per sempre impunite.

Il giorno dopo, il sabato, anziché il pacifico corteo cui avevamo partecipato con altre migliaia di persone (e senza raggiunger alcuna meta), erano in programma contestazioni diffuse del G8 in città, con temute violenze . Ne avemmo qualche vaga anticipazione di quelle già avvenute in città nelle ore del corteo dalla giovane contadina per cui si lavorava quella settimana. (Il nome, non rammento il suo nome! eppure ho memoria precisa di lei per tutto il resto. Credo, insicuro, Susanna). Il suo era un terreno impervio a mezza costa, ci si arrivava con duecento metri di arrampicata su di una ripidissima stradina sassosa o con lei nella sua Panda sgangherata (ma una volta sola ci salii io, spaventato dopo dalla pendenza).

Non presi in considerazione l’idea di tornare a Genova con il campo, immaginandone i troppi rischi. Per la maggior parte i volontari erano anche confusi e timorosi dopo la strana, complicata e stressante giornata vissuta. Non un ragazzo spagnolo (anche per lui il nome, un nome comune e tipico del suo paese, non mi viene alla mente). Lui mi chiese correttamente ma deciso il permesso di farlo. Glielo diedi, era maggiorenne e affidabile, e comunque determinato andarci, incuriosito ed interessato da un colloquio con la contadina, che pure sarebbe andata a partecipare, anche per non lasciare sola la sorella più giovane che abitava in città e che ci sarebbe stata.

Quel giorno dopo, quel sabato di piazza Alimonda, noi al campo lavorammo, chilometri lontani da Genova, da soli, senza la contadina. Lo spagnolo era partito con lei presto la mattina. C’eravamo accordati per la prudenza e, possibilmente, per contatti telefonici ripetuti, che poi, oggettivamente difficili, non ci furono tranne un paio indiretto e assai tardi, che ci dava la notizia, per voce raccolta, di una vittima. Tornò avventurosamente e tardi a dormire al campo, a piedi, non riuscendo a contattarmi per andarlo a prendere. Non aveva più chiare informazioni da darci, descrivendo a chi con me ancora sveglio la confusione e la violenza in città per come l’aveva vissuta. La contadina tornò solo la mattina dopo, con la sua Panda, arrabbiata e disperata e confusa, a prendere alcune cose e poi andò di nuovo via, dopo poche frasi scambiate con me. Dicevano che la vittima, Carlo Giuliani, era il fidanzato di sua sorella.

Non la vedemmo più, non l’ho rivista più. Ci ritrovammo emotivamente coinvolti e confusi. E’ tutto, per quel che riguarda il campo. Dal giorno dopo ci traferimmo in un paesino praticamente disabitato, a lavorare per l’unico giovanissimo abitante, Emanuele. Si lavorava ad una casa diroccata ed a sistemare un sentiero spaccando pietre (ma solo io, allora robusto, ed un giovane biondo gigante belga che ne spaccava il doppio di me). E fu un altra storia. Genova e il G8 confusamente lontani. Il sabato i due campi finirono.

Dopo il campo, anzi: dopo i due campi, tornai a casa, a Pisa, con un paio di volontari che viaggiarono con me e che ospitai. Nei giorni successivi una ventina di altri volontari dei due campi venne alla spicciolata a visitare a Pisa e la Toscana, dormendo accampati da me, coi miei figli abituati agli ospiti (ma non a così tanti assieme!) prolungandomi in qualche modo i due campi per un’altra settimana e più. Mentre radio e tv raccontavano ancora, in tanti modi differenti e contrari, di piazza Alimonda, della Diaz, di Bolzaneto, di Carlo Giuliani, del soldato che aveva sparato.

Quanto al G8, tutto qui. Per la mia esperienza diretta. Per il resto, se ne parla ancora questi giorni, e l’Italia, meno intensamente, si divide ancora. Certo un po’ meno. Comunque volevo rammentare per me, e testimoniare, che al G8 anche lo S.C.I. c’era.

Un paio di settimane dopo la fine dei campi, anche gli ospiti ormai lontani, intendo, cominciai a pensare e poi a scrivere un racconto, che forse doveva assumere il respiro di un romanzo, legato a quelle tre settimane. Solo indirettamente però al G8, che sarebbe rimasto sullo sfondo, scena parziale fisica ed emotiva. Una storia d’amore giovanile nata davvero al campo, tra lo spagnolo (il nome, devo ritrovare il nome!) ed una ragazza del campo vicino. Ho tralasciato di dire che gli ultimi due o tre giorni, per motivi organizzativi, i due campi si congiunsero parzialmente nel casale della prima settimana di lavoro. La storia d’amore era nata in quegli ultimi giorni, con l’intensità drammatica di un sentimento cosciente di non poter avere un futuro, lei nordica, lui mediterraneo. Lei volle chiuse la storia prima di partire, lui disperato. Lui passò da casa mia, lei no. Di quello che fu il loro improbabile futuro comunque non so niente. Ma nel mio raccontare la storia si complicava, intendendo intrecciarla al G8 ed alle sue problematiche ideologiche quelle di cui in qualche modo in questi giorni si torna a parlare, ed esistenziali, per i tanti che c’erano, lo S.C.I. compreso. Ma non lo portai avanti a lungo. Un giorno, un tranquillo pomeriggio domestico, ero al computer a scriverne qualche pagina, sempre più deciso a renderlo complesso, a intrecciare passioni, idee e situazioni. Mia figlia ed una sua amica erano di là, guardavano un film alla televisione. Mi chiamarono, che le raggiungessi davanti alla televisione. Era l’11 settembre.

Capii in un istante che il mondo era improvvisamente già cambiato. Che del racconto o romanzo non avrei saputo scrivere più. Credo rimangano sul computer le non tante pagine già scritte di una storia apparsami in un momento insignificante. Quell’inverno lo S.C.I. italiano indisse una specie di concorso, in qualche modo auto promozionale per un testo che parlasse di un campo (premio, che toccò a me, l’iscrizione gratuita ad un futuro campo dell’estate 2002). Volli scrivere di quel campo, in realtà solo di quell’ultima e settimana di cui sopra appena si accenna, e del mio successivo viaggio a trovare Emanuele. Fu pubblicato e in un successivo incontro primaverile dello S.C.I. in Toscana incontrai tanti che l’avevano letto. Vi si parlava di Emanuele e del suo paesino disabitato, di un cavallo e di un mulo, di me sul mulo e della luna fra i castagni. Poco o niente di quel che era successo di troppo più grande e drammatico di noi al G8. Dubito che chi è oggi dentro lo S.C.I. compreso l’amico presidente bolognese, abbiano avuto occasione di leggerlo. Se volete, lo ritrovate in un Centofiori del 2002, credo.

Di nuovo un saluto a chi legge ed a chi mi conosce costì. Per un eventuale mio campo sto studiando ancora, cercandone, se davvero c’è, uno adatto a me, alla mia età ed alle mie conseguenti possibilità. Se lo trovo vi scrivo. Intanto, per l’ottimismo del desiderio, pagherò una quota campo. In caso di vostra improbabile estrema necessità, dò una disponibilità (con riserva di valutazione) a svolgere il ruolo di coordinatore, come fatto più volte in passato, laddove ne abbiate carenza. Ma solo per agosto inoltrato, settembre od ottobre. Adesso son in vacanza dai figli e nipotini, tutti a Berlino.

Arrivederci. Mi scuso se vi ho annoiato, Franco Melani.
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