Tre blindati dell’esercito ci passano affianco, dietro un gruppo di ragazzini lancia pietre sui mezzi militari, dal cui interno parte qualche lacrimogeno. Benvenuti a Nabi Saleh.
La storia di questo villaggio potrebbe iniziare con un C’era un volta un villaggio chiamato Nabi Saleh. I suoi abitanti erano gente pacifica e felice, senza voler strafare tiravano avanti. Gli abitanti erano tutti imparentati tra loro, arrivati secoli fa su questa collina da una terra lontana, si chiamavano tutti Tamimi. La vita tra alti bassi, matrimoni e funerali, nuove nascite e dispiaceri, scorreva. Un giorno arrivarono dei signori arroganti che con i loro sgherri gli tolsero la terra, recintandola. Mentre le piante dei nuovi arrivati crescevano rigogliose sulle ceneri di piante secolari, le terre dei Tamimi si seccavano, si aprivano crepe nella terra diventata arida: assieme alla terra gli avevano rubato anche l’acqua.
Ma questa non è una favola e non è ambientata in una terra e in un tempo lontani lontani. Siamo in Palestina, più precisamente nei territori occupati, a qualche decina di chilometri a nord-ovest di Ramallah. E’ vero però che da questa parte si chiamano tutti Tamimi e la loro battaglia è diventata uno dei simboli della resistenza popolare all’occupazione, grazie all’ostinazione di questa grande famiglia che non ha nessuna intenzione di rinunciare ai propri diritti, pagando la propria caparbietà con due giovani uccisi dalle pallottole dell’esercito, Rushdie nel 2012 e Mustafa del 2011, centinaia di arresti e violenze quotidiane.
Tre colline e una strada che passa sotto. Uno di fronte all’altro Nabi Saleh e la colonia di Halamish, poco più in là Deir Nizam, altro villaggio dove tutti si chiamano Tamimi. Dalla cima della collina Mohammad, un giovane attivista del comitato di resistenza, ci mostra dall’alto il motivo di questa battaglia trentennale: dal 1977, quando la colonia è nata, questa si è costantemente allargata, confiscando metro dopo metro le terre agli abitanti di Nabi Saleh, fino ad arrivare nel 2008 alla sorgente d’acqua di Ein Al-Qaws, risorsa indispensabile per i 550 abitanti del villaggio palestinese. “Noi non ce l’abbiamo con gli ebrei in quanto tali – spiega Mohammed, che ha passato diversi mesi a Roma ospite della Città dell’Utopia come volontario – ce l’abbiamo con chi ci non ci permette di vivere una vita normale. Ce l’abbiamo con i sionisti, conosciamo tanti israeliani che vengono qua e lottano con noi contro l’occupazione”.
Ogni venerdì gli abitanti di Nabi Saleh provano ad andare alla fonte d’acqua. Alle volte riescono ad arrivare vicino, finché gli spari e le minacce dei coloni sostenuti dall’esercito non li ricacciano indietro. Altre volte neanche riescono a scendere dalla loro collina. Le pendici di Halamish sono rigogliose e ordinate, sulle ceneri delle piante dei palestinesi bruciate e sradicate dai coloni le nuove culture. Dal versante di Nabi Saleh segni di terreno bruciato ovunque: “sono i lacrimogeni, ce ne lanciano decine, a volte anche centinaia, incendiando tutto comprese le case – spiega Mohammed – vedete? Alcune case hanno le reti alle finestre per evitare che i lacrimogeni incendino tutto”.
Nel salotto della sua casa, tra il tè e il caffè di rito, Naji, il coordinatore del comitato locale, ci racconta la storia del Comitato di lotta popolare di Nabi Saleh. Con la seconda intifada ancora in corso cominciano ad organizzarsi i comitati popolari, le proteste a Nabi Saleh arrivano in ritardo rispetto al resto della Cisgiordania, ma dal 2004 ad oggi è rimasto uno dei più vitali ed ostinati. Naji è stato arrestato durante una manifestazione, scontando un anno e mezzo di carcere, la sua casa è stata crivellata di colpi ma “per fortuna non c’era nessuno”. La forza e la longevità della resistenza in un villaggio di 550 persone l’ha reso uno dei simboli della resistenza, che è possibile seguire sulla pagina Facebook Tamimi Press da cui sono tratte anche le immagini che accompagnano questo articolo.
Ein El Kaws è lì da qualche parte, nascosta dalla vegetazione. Anche domani cartelli e bandiere in mano dalla collina di Nabi Saleh proveranno a raggiungerla. Forse arriveranno lacrimogeni e spari, forse voleranno pietre. Intanto l’acqua manca, e i soldati, nelle quotidiane perlustrazioni condite da provocazioni e prepotenze, non mancano di sparare alle cisterne sulle case.
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Per seguire la delegazione sul web:
Hashatag
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