Pubblichiamo la testimonianza di Tijana Sladoje, una volontaria che ha preso parte a un campo di volontariato internazionale “Yoga as life style” a Roma la scorsa estate, presso La Città dell’Utopia.
Le due cose che mi interessano di più: l’utopia e le filosofie orientali. Quindi, quando ho visto il campo “Yoga as a lifestyle” in un posto che si chiama la Città dell’Utopia, sapevo che devo stare là. E non ho sbagliato. Questo campo, che aveva luogo dal 9 al 16 settembre 2017, è stato davvero una esperienza unica e molto speciale.
La cosa più bella che possiamo dare agli altri è accettarli come sono, farli sentirsi accettati ed amati. La cosa più importante che possiamo fare per noi stessi, dopo accettarsi ed amarsi, è aiutare e servire agli altri. In questo campo abbiamo fatto tutte e due. Noi dieci, dai diversi paesi, diverse culture, con personalità diverse, abbiamo toccato la sostanza dell’essere durante quei sette giorni. Lo abbiamo fatto con il grande aiuto e la direzione del nostro maestro di yoga (non solo di yoga, ma anche di vita) Salvatore Spataro. Lui ha fatto proprio questo, ci ha fatto sentire accettati ed amati, liberi ad essere noi stessi, senza costrizioni, senza aspettative, senza giudizi. Beh, forse non eravamo proprio tutti pronti per accettarlo, ma anche riconoscere di essere impreparati è stato importante – saper accettare di non accettare, dare tempo a se stessi. Insomma, il campo è stato un passo importantissimo per tutti noi, avanzato per alcuni, iniziale per gli altri, ma non importa, perché non siamo tutti uguali, né migliori, né peggiori: siamo semplicemente diversi.
Abbiamo esercitato una disciplina auto-imposta, grazie alle regole che Salvatore ci ha presentato; non è stato difficile seguirle perché ci ha dato anche gli strumenti per ragionare su di esse, per capire perché fosse importante seguirle. Ci ha aiutato a comprendere come il nostro comportamento e le nostre decisioni toccano gli altri, toccano tutto il gruppo. Quindi, non ci alzavamo alle 7:30 senza capire perché, semplicemente perché qualcuno ci aveva detto di farlo, ma perché era la cosa giusta nel quel momento. Anche il fatto che dovevamo cucinare e pulire da soli per tutto il gruppo, in turni, ha contribuito alla creazione di questo senso di responsabilità e solidarietà.
Ogni mattina ed ogni sera abbiamo praticato yoga, abbiamo imparato qualche nuova posizione, ma ancora più importante, abbiamo imparato qualcosa di noi stessi. Parlavamo molto, e questo mi è piaciuto tanto. Perché, come ci ha spiegato Salvatore, fare yoga non vuol dire solo fare le asane. Yoga è un modo di vivere, significa coscienza assoluta, consapevolezza d’ogni istante, del presente, dei propri pensieri, parole ed azioni, ma pure dei bisogni e del benessere degli altri. E una società piena di persone così consapevoli e riguardose può essere solo perfetta. O, se non altro, sarebbe sulla strada per diventarlo.
Abbiamo fatto anche diversi esercizi di respirazione e un po’ di meditazione, tutto questo con un unico obiettivo: conoscere se stessi, accettare se stessi ed esprimere tutto quello che siamo.
Inoltre, il bellissimo laboratorio di yoga e arte che abbiamo avuto con un altra giovane maestra di yoga, Laura, ci ha aiutato ad esprimerci meglio, a scoprire le cose dentro di noi, a mostrarle a noi stessi e agli altri. Perché tutto quello che abbiamo disegnato dopo aver praticato un po’ di yoga sembrava essere uscito proprio dal dentro di noi, da quella parte inconsapevole ed sconosciuta. Per me è stato molto emozionante, perché ho scoperto qualcosa nuovo su di me e ho avuto l’opportunità di conoscere meglio gli altri, di vedere una parte molto profonda ed intima delle loro anime, e mi ha commosso davvero.
Anch’io ho avuto l’opportunità di parlare di quello che mi interessa tanto e che ho trovato messo in pratica durante questo campo, ovvero il legame tra l’utopia e sviluppo personale, specialmente seguendo le filosofie e religioni orientali e le pratiche ad esse connesse. Ho quindi presentato brevemente la mia ricerca su questo legame, usando gli esempi dell’utopia letteraria nella letteratura anglosassone. Sono molto grata allo SCI per questa opportunità e la bellissima esperienza di aver potuto condividerla con gli altri.
Ogni giorno avevamo anche del tempo libero per vedere la città e l’abbiamo usato per visitare i posti turistici e passare del tempo insieme, conoscendoci meglio.
Ma questo campo non è stato solo visite, yoga, meditazione e contemplazione filosofica. Facevamo anche un po’ di lavoro fisico che ha perfettamente completato il lato spirituale di questa esperienza. Abbiamo cominciato a costruire il sentiero davanti al Casale. Non ci siamo riusciti a finirlo a causa del brutto tempo ad inizio settimana e mancanza di tempo alla fine, ma la cosa più importante è che abbiamo fatto qualcosa. Abbiamo contribuito a questo posto incredibile, (ri)costruito dallo sforzo comune di tante persone. Per me è stata una cosa importantissima (forse non tanto per quelli che dovevano finire il sentiero, scusate!).
L’ultimo giorno del campo, che per noi volontari era libero, mi ha lasciato una grandissima impressione: presso il Casale c’era quel giorno il mercatino e il pranzo comune. Noi non eravamo tenuti a fare nulla, ma potevamo dare una mano se volevamo, e infatti in molti abbiamo scelto di farlo. Io amo Roma, tanto. Mi sono innamorata di questa città. Cerco visitarla e girarla ad ogni occasione. Avevo un pomeriggio libero, potevo fare che volevo. Eppure, l’unica cosa che mi veniva da fare era stare nella cucina (e neanche mi piace cucinare) ed aiutare come potevo e sapevo. Semplicemente sentivo un grande desiderio d’aiutare, di far parte di quella comunità, e ancora lo sento. Mi sentivo viva, sentivo di aver un motivo, un obiettivo, di fare la cosa giusta, la cosa che finalmente ha un senso tra tutta l’assurdità dell’esistenza umana.
Semplicemente, mi sentivo ispirata dal quel posto che porta un messaggio forte di solidarietà, tolleranza, amore, servizio comune ed attivismo sociale; un posto che comunica questo messaggio non solo a parole, ma attraverso le azioni, dando un esempio vivo e una motivazione agli altri di fare la stessa cosa. E questo messaggio ancora risuona dentro di me e attraverso me, portandomi a fare tutto ciò che posso per aiutare e contribuire anche nel mio paese.
Perché utopia non è un posto immaginario, né un posto fisico. È un processo che avviene dentro ognuno di noi. Il nostro comportamento, le nostre decisioni, non sono solo nostri. Rappresentano un esempio per tutta la società. Per questo è importante curare se stessi, essere la migliore versione di se stessi e così aiutare il mondo a diventare un posto migliore. In questo campo abbiamo imparato dell’importanza del proprio benessere e il suo legame con il benessere sociale.
Forse i risultati e gli effetti materiali di questo campo non sono tanti (un paio del pallet fissati a terra come inizio di un sentiero); ma quello che abbiamo imparato e portato dentro sicuramente avrà effetti molto più visibili e durevoli. Al primo posto, rimane sicuramente bella amicizia nata tra alcuni di noi. E anche il fatto che tutti abbiamo cominciato o continuato a praticare un po’ di quello che abbiamo imparato, a vivere il messaggio di solidarietà, tolleranza, amore, consapevolezza, servizio comune, per vivere una vita significativa.
Perché utopia non si può imporre da fuori, deve venire dal dentro ognuno di noi. Si crea come un “torrent” si scarica da Internet: un po’ qua, un po’ la; e tutti noi siamo i suoi ambasciatori.