Micaela è stata una delle partecipanti del campo di volontariato svolto a Val Codera (Lombardia) “Environmental resistance and traditional mountain values” a luglio 2021. Qua ci racconta la sua esperienza durante quella settimana.
La prima cosa che ho fatto, quando ho letto di questo progetto, è stata cercare sulla mappa dove si trovasse Codera, un paese in provincia di Sondrio, 824 metri sul livello del mare.
Due ore di cammino a piedi. Ok, è fattibile, ho pensato, sono sempre stata una buona camminatrice.
Peccato che non avessi calcolato che si trattava di una mulattiera gradinata con scalini ripidissimi che ho maledetto per tutta la durata della salita. (Ora si spiega perché gli abitanti di Novate mi guardassero con un misto tra simpatia e incredulità, quando mi hanno vista arrivare stracarica al paese chiedendo indicazioni per quelli che chiamano “i gradini del diavolo”, o qualcosa del genere.)
E la salita si fa sentire tutta, quando inizi a camminare alle tre del pomeriggio sotto il sole cocente con uno zaino di 10 kili troppo pesante (sì, tipico errore da principiante), ma mai tanto quanto il peso dei pensieri che portavo con me dopo un anno di pandemia.
Onestamente? Penso che se avessi iniziato il cammino da sola a metà strada mi avrebbero data per dispersa. Ma per fortuna non ero sola, ed è questo il bello dei campi Sci. Cristoph, il coordinatore del campo, è venuto a recuperarci alla stazione di Novate Mezzòla, e siamo saliti insieme. Non vi dico quanto ci ho messo, invece delle preventivate due ore, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.
E dopo tanta fatica, mi sono trovata di fronte ad uno spettacolo sensazionale, un panorama senza fine sul lago di Mezzòla, mentre salivamo, e una vallata di case di granito, abbarbicate sulle montagne, appena giunta a destinazione: vicoli di ciottoli e pietra, le sponde che avremmo dovuto falciare, orti coltivati sostenuti da muretti a secco: un paesaggio terrazzato, al tempo stesso antropizzato eppure così incontaminato, incorniciato dalle Alpi Lombarde.
Dopo una prima tappa a Codera, siamo andati a Salina, a 45 minuti di distanza, per iniziare il nostro lavoro: falciare e rastrellare le sponde del paese, per arginare l’avanzare del bosco e salvaguardare le tracce umane delle persone che hanno abitato quelle montagne negli anni, segnandone la storia.
Siamo stati accolti con calore dalle persone del posto, con una cordialità e una disponibilità che, a una ragazza come me che veniva dalla grande città, sono sembrate quasi magiche, come se non fosse possibile contenere tanta umanità in unico luogo. Ma Paolo e Daniela ne avevano e come, di umanità, tanta da distribuirne a palate. Ci hanno accolti a casa loro, hanno cucinato per noi le specialità del posto (gnocchi, pizzoccheri, patate e carne alla piotta), e ci hanno trattati come figli, senza chiedere nulla in cambio.
La storia della valle è una storia di resilienza, una di quelle parole che da qualche anno vanno così di moda, ma che trovano la loro compiuta realizzazione nell’anima di queste montagne, e delle persone che le abitano.
Persone che da anni, pur non essendo collegata come le altre valli da una strada, affrontano la salita e la discesa da Codera, zaino in spalla, di buona lena, saltellando senza fatica tra le rocce come agili caprioli di tutte le età. (Emblematica la storia di Alfonsina, 90 e rotti anni, che è nata a Codera e ci è tornata, da sola, a piedi, dopo tanti anni in pianura).
Realtà che combattono l’abbandono del paese creando rifugi come L’Osteria Alpina, un punto di ristoro per i viaggiatori, dove mangiare un buon piatto di gnocchi di castagne in compagnia e sentire le storie della valle ammirandola in tutto il suo splendore.
Associazioni, comex, che ogni anno organizzano giornate collettive di falciatura per prendersi cura del paese e far conoscere la bellezza di queste montagne ai volontari che vengono da tutto il mondo. Per fare in modo che il tempo, l’incuria e l’abbandono non abbiano la meglio su un luogo così misterioso e vivo, eterno, come questo paese appollaiato sulle montagne che resiste al correre frenetico del mondo.
Qui il tempo ha un’altra dimensione, e riscopri il piacere di stare insieme, di lavorare e farti venire i calli sulle mani, di non pensare ad altro se non alla terra sotto di te, da falciare, rastrellare e far tornare al suo antico splendore, e al cielo sopra di te, da contemplare nelle notti senza luna come fosse una specchio in cui vedere il riflesso del mondo.
Marco, Roberto, Elena, Bruno e tutti gli amici dell’associazione ci hanno fatto conoscere le storie di questa valle, le difficoltà, i piaceri, le lotte, le grandi sfide di un paese che resiste allo spopolamento con tutte le sue forze. I volontari dell’associazione WWoof Italia, che come noi sono venuti a dare una mano ai valligiani, ci hanno permesso di scoprire un movimento mondiale che mette in relazione volontari e progetti rurali naturali per costruire comunità globali sostenibili.
In 10 giorni ho incontrato delle persone magnifiche, piene di sogni, desideri, aspirazioni, profonde come la valle, alla ricerca di se stesse e di un posto tutto loro nel mondo, che condividevano con me la voglia di cambiarlo, di cambiarsi, di renderlo e rendersi migliori, un pezzetto alla volta, un gradino alla volta.
Alla fine non so dire chi o cosa mi abbia donato di più, in questo viaggio, se le persone o la montagna. In entrambe ho trovato una profondità, un’ampiezza di vedute e di orizzonti, una bellezza che non riesco neanche a descrivere, tanto potente è stata l’impressione che ha esercitato in me questo incontro.
So però cosa rispondere a chi mi chiede cosa ci trovi di così interessante in questi workcamp di volontariato: mi sono innamorata, perdutamente, del messaggio che trasmettono associazioni come lo Sci Italia, un messaggio di pace, comunione, amore. Un esempio di cittadinanza attiva, cambiamento dal basso, un modello alternativo di società civile da costruire insieme.
In questi workcamp io vedo, vivo e sperimento esempi di comunità e solidarietà, che sono l’immagine stessa di ciò che vorrei incontrare nel mondo e di ciò per cui lotto ogni giorno.
– Micaela Mauro