Nel bel mezzo del Kenya: racconto di un campo a Kiburanga

Il racconto di Samantha Scalvi della sua estate nel villaggio di Kiburanga, Kenya, durante un campo di volontariato SCI.

Basta un attimo, basta un solo attimo che la mia mente ritorna a 5 mesi fa…
Vedo i colori, lʼenergia, il sorriso dei bambini, i visi segnati, gli sguardi profondi, la musica, la convivenza, la semplicità, il calore delle persone, gli odori,il fuoco, la solidarietà, la povertà, la sofferenza…
Questo racchiude le tre settimane passate nel villaggio di Kiburanga.

Eravamo 15 volontari europei, ritrovatisi nel bel mezzo del Kenya. Ancora niente si conosceva, né di noi e né di quello che ci aspettava. Ospitati da una famiglia locale, che ci ha fatti sentire dal primo momento come se fossimo a casa, è stato lì che ci siamo resi conto, per quanto possibile, come si potesse vivere in condizioni di povertà e solidarietà. Lʼunica fonte dʼacqua era una piccola sorgente che si trovava nelle vicinanze e insieme, ogni mattina, ci dividevamo per andarla a raccogliere con i secchi; quella era lʼacqua che ci doveva bastare per lʼintera giornata.

Ricordo i miei risvegli con una grande necessità di bere, come se non bastasse mai quella che avevo, ma questa mancanza veniva ripagata con una grande colazione che ci aspettava ogni mattina, preparata da noi e dai volontari locali, ricca di frutta raccolta nei campi e the allʼinglese: era così, pieni di energia, che iniziavamo la nostra giornata!

Ogni giorno si percorreva quella stradina in mezzo alla campagna attraversata da mucche, capre, cani, galline, e famiglie che ci salutavano dalla loro porta di casa, che ci portava al campo dove avremmo incontrato i bambini e lavorato per la costruzione di una classe per una scuola elementare e la sistemazione del campo stesso. Le giornate le trascorrevamo principalmente con i bambini: disegnavamo, cantavamo, giocavamo a calcio, saltavamo la corda, facevamo teatro e altri giochi ricreativi e alla fine di ogni giornata concludevamo con una canzone per salutarci tutti insieme.
Ricordo i disegni fatti dai bambini che rappresentavano i loro sogni, come quello di avere una bella casa, avere il cibo a sufficienza e poter prendere lʼaereo. Li guardai molto commossa…

Ricordo come erano felici nel vederci e passare la giornata con noi a giocare. Erano semplici nel loro essere, ti guardavano e sorridevano, sempre! Mi trasmettevano la loro energia e nello stesso tempo me la esaurivano, erano sempre attivi e con voglia di fare, si inventavano giochi con semplici oggetti o canzoni. Sono stati loro, soprattutto, ad insegnarmi che nella vita bisogna accontentarsi di quello che si ha, che si può vivere senza quello che la società ormai ci impone di avere e che le cose bisogna guadagnarsele faticando, perché niente arriva da solo.

Dopo una sola settimana a Kiburanga, la maggior parte delle persone del villaggio ti conosceva e il saluto avveniva sempre con un: “Jambo” e una stretta di mano, sia con i bambini che con gli adulti. È così che in sole tre settimane ti sentivi parte integrante di un piccolo villaggio, con la sensazione di sentirsi accettata e non essere fuori posto. Ricordo quando comincia a camminare anch’io a piedi nudi niente più mi preoccupava dello sporco sulla mia pelle o di quello che avrei potuto calpestare – perché fu lì che mi resi conto di aver preso la consapevolezza di come stavo interiorizzando certe usanze di una cultura diversa dalla mia.

Ricordo che la sera quando tornavamo a casa, dopo lʼimbrunire, il villaggio era illuminato solo dalla luna e dalle stelle, lʼatmosfera era molto diversa, a volte pioveva, iniziava ad esserci più freddo, le famiglie rientravano tutte nelle loro case e noi volontari avevamo difficoltà a orientarci anche con le torce, a differenza degli altri ragazzi che essendo abituati al buio, si muovevano con famigliarità e agilità.

Ricordo gli odori molto forti durante le visite nelle case delle donne, momenti molto interessanti che ci hanno dato lʼopportunità di conoscere da vicino le loro storie. Anche le cene sono state occasione di scambio culturale, perché in base alle nostre nazionalità si cucinava qualcosa di tipico, così da poter conoscere nuovi sapori. Si concludeva la giornata con un bellissimo falò e canti, era il momento dove emergevano le nostre riflessioni, paure, dubbi, stati dʼanimo e punti di vista che venivano condivisi con tutti i volontari.

E ora, scrivo queste ultime righe sul treno, tratta Bergamo-Milano. Ho una famiglia africana seduta davanti a me, li guardo e mi fermo a ricordare I miei occhi si riempiono di nostalgia, i ricordi si fanno sempre più intensi e la voglia di ripartire e riabbracciare ancora tutti, è tanta!

Mai dimenticherò tutto ciò che mi hanno trasmesso, lʼarricchimento grazie a queste grandi diversità e il segno che hanno lasciato dentro il mio cuore.

A presto Kiburanga!

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