A 18 anni dal G8 di Genova, evento che ha segnato indelebilmente la vita di molte e molti di noi (e in un certo senso di tutte e tutti), riprendiamo l’articolo di Caterina Amicucci in cui riemergono le testimonianze raccolte in quei giorni di quanto era accaduto e stava ancora accadendo.
L’articolo di Lorenzo Guadagnucci pubblicato l’altro giorno su Altraeconomia e Comune-info mi ha spinto, in quella che per me resterá sempre una giornata dedicata alla memoria, a scavare in un vecchio hard disk. Quello che io ricordo di Genova è inestricabilmente legato alla narrazione collettiva che tra il 23 luglio ed il 2 agosto costruimmo pubblicando tutte le testimonianze arrivate su Agenzia, il bolletino informativo del Servizio Civile Internazionale. Un fiume di parole: i racconti, le testimonianze, le emozioni, lo sconcerto, lo smarrimento, la rabbia, le paure di que giorni e di quelli immediatamente successivi. Un diario al contempo individuale e collettivo, intimo e pubblico. Rileggerlo a distanza di 18 anni mi riporta esattamente in quel punto, dove non abbiamo mai smesso di essere e continueremo a stare: dalla parte giusta della storia.
(Lo so, al posto delle lettere accentate ci sono dei punti interrogativi….ma è pur sempre un html di 18 anni fa) (Ci stiamo lavorando…)
Agenzia n. 132 del 24 luglio 2001
I seicentomila occhi di Genova
In due giorni siamo riusciti a raccogliere una quantità impressionante di testimonianze di chi, a Genova, c’è stato e ha assistito alla mattanza compiuta dalla polizia. Questo numero speciale di Agenzia è dedicato a tutti coloro che lottano contro il tentativo di oscurare la verità perpetrato da un governo antidemocratico, da una polizia fascista e da una parte dei media.
Intro
Domenica mattina, ore sette, arrivo a casa dopo i tre giorni di Genova. Il silenzio della città ancora addormentata sembra irreale. Una ansia inafferrabile mi segue, comincio a camminare su e giù, cerco di ordinare i pensieri, di razionalizzare le idee e niente, la confusione aumenta. Vado in bagno, mi spoglio freneticamente gettando i vestiti il più lontano possibile, faccio una doccia ed apro i giornali, leggo del blitz notturno nella scuola Diaz. Non è possibile! Se fossero arrivati due ore prima avrebbero massacrato di botte anche alcuni di noi che si erano rifugiati là dopo le cariche che hanno frantumato il corteo. E’ tutto falso, è solo un alibi che prende due piccioni con una fava: far sparire prove e gettare fango sul GSF. Comincio a tremare dalla rabbia, forse dovrei avere paura di una repressione che sembra non conoscere più limiti, non bisogna aspettare, è necessario reagire subito, fra questi pensieri mi addormento profondamente. Sogno di scappare dalla polizia, di camminare tra fumo e gas lacrimogeni e di essere arrestata. Mi sveglio di soprassalto dopo diverse ore. In preda ad un febbrile bisogno di notizie accendo il televisore, niente telegiornali. Mi vesto in fretta ed esco. Roma, nel suo torpore domenicale, mi sembra più bella del solito, il mal di testa che mi ha tormentato negli ultimi due giorni è sparito, ma non riesco a liberarmi del rumore degli elicotteri e dell’immagine del sangue per le strade, della gente seduta a terra e manganellata, del poliziotto che per terrorizzarci ci puntava il mitra contro o dell’altro che sfrecciando sul cellulare con faccia sadica gesticolava un “Non vi preoccupate, dopo tocca a voi”. Non riesco a liberarmi della sensazione di dovermi guardare le spalle.
Ma che è successo, e che succede? Mi sembra di essere in un altro tempo, in un altro luogo. Doveva essere una manifestazione è stata guerra totale, una guerra senza alleati, una di quelle guerre moderne dove soccombe sempre chi non ha armi. La rabbia aumenta. Accosto la macchina, entro in un parco, cerco il silenzio, mi sdraio sull’erba provando a recuperare un po’ di tranquillità. Guardo il cielo e mi chiedo: “Quanto potrà durare?”. (Caterina Amicucci)
Sommario
- Tutto sotto controllo dice il vicequestore
- So che posso dire di essere fortunato, un po’ di gas lacrimogeno in fondo ti fa pure gli occhi più belli
- Scacco Matto
- Una mattanza di inaudita violenza
- Come screditare un movimento pacifico
- Genova: la polizia fa il saluto romano
- Gli assalti impuniti delle tute nere
- Comodo il Black Block!
- Genova 21/7/08: il mio racconto
- Teatro di strada con sorpresa
“Tutto sotto controllo” dice il vicequestore
Dedicato a tutti i giornalisti e i commentatori che si permettono di sputare sentenze su fatti a cui non hanno assistito. Dedicato a tutti i parlamentari e i politici che non hanno avuto il coraggio di sostenere il diritto di manifestare democraticamente. Dedicato alle Forze dell’ordine che massacrano di botte i manifestanti pacifici. Dedicato al Governo che sta cercando di portare a compimento un disegno politico preciso di limitazione delle libertà democratiche.
di Carlo Dojmi di Delupis
Intro
(Genova. Piazza Manin, h. 16 di venerdì 20 luglio 2001).
Sul marciapiede un pacco di biscotti aperto con una striscia di sangue ancora fresco.
Nell’aria, la puzza dei lacrimogeni.
Un ragazzo sotto shock seduto per terra. Appena malmenato dalla polizia.
L’elicottero gira in tondo sulle nostre teste.
“Tutto sotto controllo” dice oggi il vicequestore in tv. “Le forze di polizia sono da encomiare”.
Complimenti vivissimi per il lavoro svolto.
Nessuno di noi, in partenza, pensava che le peggiori previsioni si sarebbero potute avverare. Per questo occorre ringraziare le forze dell’ordine. Sono riuscite a sorprenderci ancora una volta.
In partenza. “Er Popolo de Siattel”
Mercoledì sera. Stazione Tiburtina. Siamo qualche centinaio e l’atmosfera è tranquilla. Di polizia in giro se ne vede veramente poca. Iniziamo a pensare che tutte le voci sulle perquisizioni e sul controllo asfissiante, tutti gli articoli allarmisti miravano soltanto a dissuadere i manifestanti dal partire.
Un ragazzo prende il megafono e inizia a scherzare verso la polizia e i giornalisti: “Popolo di Siattel, siete pronti? A proposito, ma ndo’ sta Siattel! Se siamo er popolo de siattel allora voglio anche la polizia di Siattel!”.
Sul treno, riusciamo anche a convincere il capotreno a farci aprire le cuccette. Alcuni organizzano feste improvvisate negli scompartimenti. Altri rimangono a parlare fino a tardi.
Improvvisamente siamo a Genova Brignole. La notte è passata in un lampo. Sembra tutto organizzato bene. Soltanto una quindicina di celerini ad accoglierci. Smistamento verso i punti di accoglienza. Andiamo al campo sportivo Sciorba, dove si dirigono quelli che non praticheranno la disobbedienza civile.
“Solidali con le minoranze, solidali con i neuroni di Bush”
Giovedì mattina. Riunione alla scuola Diaz.
Si discute con i gruppi di affinità di ADN (Azione Diretta Non violenta). La linea che sembra passare, in caso di carica della polizia, è quella della resistenza passiva ad oltranza, che vuol dire: rimanere fermi seduti in stile gandhiano in caso la polizia voglia sciogliere il sit in davanti alla zona rossa. Ma quasi tutti ritengono che una carica violenta della polizia ad una manifestazione palesemente pacifista sia soltanto una remota possibilità.
Nel Media Center, giornalisti indipendenti e non da tutto il mondo organizzano gli strumenti e le postazioni per seguire le giornate di protesta. Al primo piano, la stanza adibita a Ufficio Legale del GSF e il centro medico. Nella palestra, una simulazione del sit in per il giorno seguente. In cortile si preparano le coreografie e gli striscioni. Arriva il gruppo dei ciclisti. Un amico racconta di come la Digos e la polizia abbiano seguito passo passo il percorso di “In bici al G8”, scattando foto ai partecipanti. Scendendo su Genova dalla tangenziale, i ciclisti sono rimasti impressionati dalla quantità di cellulari che girano in città.
Giovedì pomeriggio. Corteo dei migranti. L’atmosfera è festosa e i dimostranti sono molti di più di quanto ci si aspettasse. Iniziamo a intuire anche noi quanto sia massiccia la presenza della polizia. Hanno posizionato decine e decine di containers per blindare la zona vicina alla Fiera. Ma è ancora tutto estremamente calmo e divertente. Il corteo, lunghissimo, è un continuo di canti e slogan improvvisati: “Genovese stendi le mutande” diventa così efficace che una signora sessantenne appende un paio di mutandoni a un bastoncino e li sventola al passaggio dei dimostranti. Dalle finestre si affacciano diverse persone che applaudono o sorridono. Manu Chao viene visto sfilare con la Banda degli Ottoni. Dietro di noi i 99 Posse che chiaccherano. Una pioggia fitta accompagna il nostro ritorno ai tendoni dello Sciorba. Rimane in mente una frase letta su un piccolo striscione: “Solidali con le minoranze, solidali con i neuroni di Bush”.
Girasoli contro manganelli. La dolce mano della polizia
Piazza Manin. h 13. Venerdì 20 luglio.
Il concentramento pre corteo è piacevolmente caotico. C’è la Rete Lilliput, le Botteghe del commercio equo, Legambiente… Tutti insieme a preparare le azioni non violente a ridosso della zona rossa. Scendiamo da via Assarotti cantando e i passanti, ancora una volta, sorridono alla creatività della sfilata. Lo scenario, arrivati in fondo, inizia a mutare. Un cordone di poliziotti si è schierato alcuni metri davanti alle reti che cingono la zona rossa. Il corteo si blocca tranquillamente e alcune persone riescono in modo pacifico a passare il cordone e ad appendere striscioni sulla rete. Dentro alla cittadella ridicola degli 8 grandi, uno spiegamento pazzesco di forze ci guarda immobile.
Improvvisamente, da una via laterale arriva la marcia dei Pink, un gruppo di pacifisti stranieri vestiti di rosa con tamburelli e percussioni varie. La polizia comincia ad innervosirsi. Ci si sposta nella piazzetta adiacente, che si affaccia su un altro spezzone di rete. Riusciamo ad arrivare sotto e la festa è grande. Risuonano i fischietti e i tamburi, una ragazza si arrampica sulla rete, un altro riesce a salire fino in cima e rimane seduto agitando un girasole verso la zona rossa. Un applauso enorme cresce, insieme alle grida di vittoria dei manifestanti. L’oltrepassamento simbolico è riuscito. Dai telefonini iniziano ad arrivare notizie allarmanti da Piazza Paolo da Novi, sembra che la polizia abbia caricato i Cobas e gruppi di anarchici stiano devastando tutto. E’ la prima di una serie interminabile di comunicazioni via cellulare che, per quanto frammentarie, ci daranno una mano a renderci conto di come muoverci nel caos di Genova.
La polizia all’improvviso apre gli idranti dall’altra parte della rete. La ragazza aggrappata alla barriera riesce a resistere al getto in modo incredibile per diversi minuti. La squadra della mobile diventa una testuggine che si sposta da un lato all’altro della piazza, cercando di controllare le vie di fuga. I manifestanti la seguono battendo le mani. E’ un assedio festoso e pacifico. Senza alcun preavviso e senza alcuna giustificazione parte la prima carica con i lacrimogeni. Il gruppo si spacca, alcuni risalgono verso piazza Manin, altri si rifugiano in una scalinata laterale. La testuggine si sposta e blocca la strada che sale. Si ricompatta la protesta. I Pink ballano davanti agli scudi della celere. Ancora il battito di mani a coprire di ridicolo l’atteggiamento aggressivo dei poliziotti. Di nuovo, senza alcun pretesto, una carica. Sempre più violenta e, questa volta, decisiva. Dobbiamo risalire la scalinata per parecchie decine di metri prima di smaltire l’irritazione al volto. Per fortuna abbiamo le cipolle, un rimedio assolutamente efficace per alleviare il senso di vomito che sale.
Primo incontro con i fantasmi del Black bloc
Alle 15, infognati nella trappola di via Assarotti, decidiamo di raggiungere gli altri su in Piazza Manin. Dobbiamo sbrigarci perchè sembra che stia per arrivare un gruppo di anarchici e il rischio è quello di trovarsi in mezzo a due fuochi.
Appena sbucati nella piazza, riusciamo soltanto a salutare tre dei nostri che ci vengono incontro. La polizia, alla nostra sinistra, lancia i lacrimogeni verso un gruppuscolo di Black bloc che sta risalendo da destra. Un lacrimogeno atterra vicino al mio piede destro. Non c’è tempo da perdere. Dopo pochi metri ci accorgiamo che la polizia non si è mossa nella nostra direzione. Prendiamo una via laterale e riprendiamo fiato. I primi dubbi: come mai la polizia non ha inseguito i black? In serata e nei giorni seguenti arriverà la spiegazione semplice e terribile, supportata da un’infinità di testimonianze: la celere ha trascurato i black per massacrare di botte i pacifisti di Lilliput, delle Botteghe del commercio equo… che avanzavano con le mani alzate.
Verso le 16 rientriamo in una Piazza Manin completamente deserta. A terra ci sono tracce di sangue e il fumo dei lacrimogeni è ancora nell’aria. Alcuni pacifisti cercano di mettere a posto i giardini devastati dalle cariche. E’ una scena irreale.
Il corteo improvvisato
Piazza Manin, h. 16,30 circa. Si cerca di dare un senso alla nostra giornata. Un gruppo di persone si riunisce sul marciapiede per decidere come muoversi. Le notizie che arrivano sconsigliano di scendere verso piazza Kennedy a gruppi piccoli. Sotto è l’inferno.
Si riesce a formare un’assemblea spontanea di 300 persone, tutte sedute in un piccolo parco vicino alla piazza. Un ragazzo fa la traduzione dall’italiano all’inglese e viceversa. Mentre l’assemblea si svolge, passa una vespa con due tizi a bordo. Si fermano e iniziano a fare domande a un inglese. Mi avvicino e penso “Strano, di solito siamo noi a fermare i motociclisti per farci raccontare cosa sta succedendo sotto”. Subito uno dei due chiede che stiamo facendo e chi siamo, rispondo “si chiacchera”. Per tutta risposta il tizio fa “dovete scendere a menare i black bloc”. La discussione rimane là, anche perchè inizio a pensare sempre più che siano due infiltrati. Dopo un minuto comincia ad arrivare un manipolo di tute nere con le spranghe che si ferma accanto al parco. Lentamente ne arriva qualcun altro finchè non diventano una cinquantina. La situazione è paradossale. I Pink, il nostro gruppettino di amici e qualche pacifista da un lato, i Black con i bastoni e le spranghe dall’altro. Un mediatore improvvisato va a parlamentare e chiede che se ne vadano e ci lascino stare. I Black ci chiedono se possono scendere insieme a noi. Il mediatore risponde che se lasciano le mazze, si tolgono i passamontagna e ci seguono a 5 minuti di distanza si può fare. I black iniziano a prenderci per il culo: “Ragazzi andiamo che qui ci sono i pacifisti” e ridono.
Alla fine riusciamo a prendere due direzioni opposte. Parte un incredibile corteo improvvisato guidato da una ragazza del nostro gruppo con una cartina di Genova in mano. Ad un bivio scegliamo una scalinata che scende. Dopo pochi metri ci accorgiamo che gli scalini arrivano in bocca ad una caserma della Guardia di Finanza. Si vedono in lontananza i volti delle guardie allarmate che escono in tutta fretta dal portone schierandosi a decine e decine in assetto antisommossa verso di noi. Si blocca tutto. Trecento persone ferme su una scalinata lunga e ripida. Due ambasciatori improvvisati vanno a parlamentare con la polizia. Ci concedono di scendere a gruppi di 30 e di prendere a destra rasentando il muro.
Incontro un giornalista di Carta che racconta di essere stato anche lui a Piazza Manin durante gli scontri e di aver visto un ragazzo con la testa fracassata. Mi viene in mente uno dei nostri che ha rischiato brutto durante la stessa carica, un poliziotto gli ha lanciato un sasso che gli ha sfiorato la testa.
Arriva la notizia
Il corteo si ricompatta. Mentre sfiliamo, le persone affacciate alle finestre ci salutano. Davanti a i nostri occhi, i primi segni evidenti delle devastazioni: cassonetti rivoltati, macchine bruciate, una filiale della banca San Paolo completamente distrutta.
Siamo all’incrocio con via del Castoro. Andrea sta al telefonino, ci fanno cenno di fermare il corteo. Ci sediamo tutti sulla strada. Arriva la notizia “Un ragazzo è morto durante gli scontri a Corso Buenos Aires. Sembra che gli abbiano sparato un candelotto in faccia. La polizia sta tentando di incolpare dell’assassinio i suoi compagni”. Scende il gelo e il silenzio. I brividi, una ragazza piange. Poco dopo arriva la notizia che la polizia ha sparato con una pistola. Non riesco a crederci. La tensione è altissima e si sfoga in un silenzio irreale che accompagna il corteo fino a un altro grande incrocio.
h. 19. Ho perso completamente la concezione del tempo. Le ore si dilatano. Sembra di essere qui da un mese. Non possiamo muoverci da questo incrocio. La polizia non ci vuole far passare. L’elicottero vola basso. Gli scontri sono ancora violentissimi a poche centinaia di metri. Si alza una colonna di fumo. Partono una quindicina di blindati dei carabinieri a tutta velocità, incuranti delle persone in mezzo alla strada. Un ragazzo rischia di finire sotto, un altro lo prende al volo, un altro ancora tira qualcosa contro il cellulare. Un carabiniere seduto sul blindato, con un sorriso sprezzante, ci fa un cenno con la mano a voler dire “veniamo dopo a spaccarvi la faccia”. In quel momento mi rendo conto di come i carabinieri abbiano perso la testa. Una ragazza scoppia in un pianto nervoso. Sale la rabbia per una situazione assurda.
Poco dopo, l’ennesima carica, stavolta blanda. Ci dividiamo, ci spostiamo in un altro incrocio. Incontriamo un altro minicorteo piuttosto nutrito, ci uniamo a loro e finalmente riusciamo a incamminarci verso Piazza Kennedy. Lungo la strada, un cellulare dei carabinieri sta finendo di bruciare. Segni di guerriglia ovunque.
I rastrellamenti
Nella piazza dei dibattiti del GSF, finalmente ci possiamo riposare. Migliaia di persone cercano di riprendersi da una giornata pazzesca. Cala la notte e gli elicotteri puntano i fari dall’alto contro di noi. Le voci si rincorrono: “Meglio rimanere a dormire qui e non tornare ai campi”. “Non uscite in gruppi piccoli”. “La polizia sta facendo dei rastrellamenti”. Una notizia riguarda l’assenza di mezzi di trasporto per tornare a Sciorba. Finalmente, verso mezzanotte si riescono ad ottenere dei bus navetta.
Sulla parete di un bagno chimico un anarchico spagnolo ha scritto: “Odio il mondo come me stesso. Sangue e violenza”.
La notte, allo Sciorba, una grande assemblea rivela posizioni nettamente contrastanti. Si accendono discussioni molto animate fra i pochissimi che vorrebbero rispondere con la violenza alla violenza della polizia e la maggioranza, che vuole manifestare in modo deciso e pacifico per le libertà democratiche.
Mi addormento con un nodo alla gola.
La manifestazione viene spezzata nel sangue
Sabato 21 luglio. h. 15,30/16. Abbiamo la sfortuna di trovarci nel terzo spezzone del corteo. Ad un incrocio sul lungomare, siamo costretti a fermarci. Decine e decine di cellulari schierati bloccano la strada che sale. Di fronte, un cordone di manifestanti con il casco e gli scudi rivolti nella nostra direzione. A sinistra, il mare. Parte improvvisamente una carica violentissima della polizia. Dobbiamo correre indietro. Siamo rimasti in 6 nel nostro gruppetto. Riusciamo ad infilarci in una strada laterale. Dopo una mezz’ora proviamo a tornare per un’altra via. C’è una ragazza distesa sul marciapiede. Ha una ferita profonda in testa da cui esce molto sangue. è in evidente stato di shock. Il ragazzo che le tiene il braccio dice che le è arrivato un lacrimogeno in testa. Niente di più plausibile dato che li hanno sparati dai palazzi e, sembra, anche dagli elicotteri. Arriva un’ambulanza e la ragazza non vorrebbe salire perchè in ospedale la denunceranno sicuramente, come viene fatto per tutti i feriti.
Più tardi verremo a sapere che dalle cariche sul lungomare i feriti sono stati decine e decine. E che i manifestanti sono stati bloccati vicino al mare per ore.
L’oasi nella guerriglia
Decidiamo di sfidare la sorte e di dirigerci verso piazza Ferraris, dove si dovrebbe concludere la manifestazione. Camminando per le strade di Genova, sembra di essere in un paese in guerra, dove regna il caos.
Un ragazzo e una signora chiedono di venire insieme a noi. Siamo in 8. Ad un crocevia passano lentamente delle camionette. Una si ferma, e il poliziotto ci punta contro il fucile, prendendo la mira, come fosse un gioco. Tutto sotto controllo, diranno poi il vicequestore, Berlusconi e il ministro Scajola.
Troviamo un bar aperto, sembra un’oasi nella guerriglia. I gestori sono gentilissimi.
Attraversiamo un dedalo di stradine, dove la gente cammina sparpagliata, in fila indiana, a gruppetti, in direzioni opposte, con l’onnipresente rumore degli elicotteri e il fumo che si alza ogni tanto in mezzo ai palazzi.
Giungiamo a Piazza Ferraris verso le 18,30. è rimasto soltanto un centinaio di persone disseminate qua e là, in procinto di andar via. All’improvviso la polizia carica con i lacrimogeni, mandando le camionette a tutta velocità. Ancora una volta non si capisce perchè. Dobbiamo correre a perdifiato.
Alle 23,30 riusciamo a partire con un treno speciale da una Brignole stracolma di persone stanche, incazzate, ferite nel fisico e nel morale.
Il ministro Scajola difende ed elogia l’operato delle forze dell’ordine. Spero che la prossima volta si trovi casualmente a passeggiare per strada con un carabiniere che gli punta il fucile contro e prenda la mira, con un altro che tenti di investirlo con la jeep e lo minacci, e con un altro ancora che gli dia una manganellata in testa alle spalle, com’è capitato a tanti manifestanti pacifici.
So che posso dire di essere fortunato, un po’ di gas lacrimogeno in fondo ti fa pure gli occhi più belli
di Davide
Lungomare giornata splendida, troncone di corteo di almeno centomila persone – slogan, ma anche canti, una coppia di anziani ci innaffia con gli idranti e riempie incessantemente bottiglie d’acqua fresca (grazie Geno va!). Poi tutti fermi, seduti mani in alto, telefonini che anunciano scontri un po’ più avanti, si canta più forte, si battono mani, elicotteri – polizia? carabinieri? fa differenza?
Tre/quattro persone a metro quadro, non possono lanciare lacrimogeni potrebbe essere una strage di panico. Invece si: Puff, puff: tutti in piedi, occhialetti, limoni, acqua spruzzata, niente panico, bastardi, basta!
Puff puff: ci si abbraccia, si tossisce, una signora tipo mia nonna va in giro spruzzando acqua fresca in faccia a tutti, sembra la fata buona delle favole.
Non ci sono vie di uscita – dove diamine vogliono che andiamo: s’imboccano strade laterali: puff puff errato – si paga pegno, altre lacrime, occhi sempre più belli.
E così via…
Se non ricordo male uno dei peccati puniti nell’inferno di Dante è quello di “matta bestialitade”. Non ho mai capito bene che cosa significasse nonostante le chiose argute di dotti commentatori: adesso grazie al comportamento incivile e fascista delle forze dell'”ordine” l’ho capito. Non saprei spiegarlo ma l’ho capito. Devo ringraziarli?
Scacco Matto: come l’assedio alla zona rossa si è trasformato in una partita a scacchi.
di Caterina
Venerdì 20. Giornata di assedio al vertice dei potenti, barricati all’interno della gabbia “zona rossa”. Fin dalla mattina presto i gruppi preparano le diverse azioni da svolgere a ridosso delle reti. Ognuno con le sue modalità. Noi siamo in Piazza Manin, assieme alla Rete Lilliput ed associazionismo vario. Si sta preparando un corteo che sfilerà per poche centinaia di metri fino alla chiusura dove sono previsti sit-in ed Azioni Dirette Non Violente. La tensione è alta, la radio trasmette le notizie dei primi scontri in altre piazze, ed in fondo al viale da percorrere, prima della rete, c’è uno schieramento di polizia non previsto. Verso l’una il corteo si mette in movimento, procede molto lentamente e dopo pochissimo tempo si arresta. Da una traversa arriva il corteo dei Pink, i gruppi pacifisti stranieri molto colorati e rumorosi. Li seguiamo fino all’adiacente piazzetta dove la polizia controlla gli accessi ma non è schierata davanti alle grate. Cominciamo a far rumore battendo le mani sulle reti, un ragazzo si arrampica con un mazzo di fiori, un’altra ragazza sale di un metro, l’atmosfera è allegra, nessun colpo di mano è nell’aria. Dall’altra parte della rete partono gli idranti, poi i lacrimogeni. Perchè? La gente si disperde per un attimo poi si raggruppa di nuovo. Ricomincia la musica, balliamo tutti, chi davanti alla rete, chi di fronte alla polizia che chiude gli accessi alla piazza. Siamo in un budello ma al momento nessuno sembra pensarci. Alcuni sono seduti con le mani alzate davanti agli schieramenti. La polizia arretra leggermente, la gioia per quella che sembra una microscopica vittoria fa aumentare l’euforia, il volume della musica sale, chi non ballava si unisce alle danze. Cinque minuti e partono i lacrimogeni, tanti, immotivati e terribilmente forti. Perchè? Il nostro gruppo resta diviso una parte ancora nella piazza e gli altri nella strada di accesso, alle spalle della polizia. Ci rincontreremo solo dopo diverse ore. Ci rifugiamo in un vicolo che sale a recuperare il respiro. Discutiamo sul da farsi. Sentiamo gli altri che nel frattempo sono tornati a Piazza Manin, sembra che gli “uomini mascherati” si stiano dirigendo nella
nostra direzione. Realizziamo che siamo in un budello. Decidiamo di raggiungere gli altri velocemente. Risaliamo la strada del corteo ed entriamo nella piazza esattamente nel momento in cui arrivano i neri inseguiti dalla polizia. La polizia si ferma nella piazza e manganella a destra e sinistra compresa la gente seduta a terra con le mani alzate. I blocker (?) scendono indisturbati verso la zona rossa, la piazza si riempie di fumo, la polizia continua la carica. Scacco Matto! Questa è stata la strategia utilizzata dalla polizia per difendere la zona rossa: creare il fenomeno “Black Block” (ma do dove sò usciti tutti questi?), spostarli da una parte all’altra della città usandoli per impedire a tutti di manifestare il proprio dissenso. Per impedire l’annunciato assedio. L’ordine pubblico non era importante, l’obiettivo della polizia non era impedire che la città fosse distrutta ma semplicemente creare il panico all’esterno per minimizzare il “disturbo” del vertice e poter colpevolizzare tutto il movimento. Fuori era guerra e dentro nessuno se n’è accorto, nemmeno a ridosso delle reti.
Scacco matto! Genova è stata sacrificata per un’astuta strategia politica. Scacco Matto! Ora siamo tutti terroristi. Scacco matto! Di fronte al terrorismo ci vuole la mano pesante. Scacco matto! Siamo al fascismo. Scacco matto!
Una mattanza di inaudita violenza
La manifestazione di sabato, ancor prima che essere contro il G8, era una manifestazione fortemente voluta per poter affermare il diritto di parola.
di Massimo e Marta
E’ stata una mattanza di inaudita violenza, che la polizia e company hanno compiuto scientificamente sicuri di avere in tasca, sulla punta del manganello, nel fucile, nel caricatore delle pistole una vera e propria IMPUNITA’ politica e giuridica. Un impunità ampia, degna delle dittature sudamericane, o forse anche più ampia, visto che nel nostro paese non sono ancora state sovvertite tutte le garanzie democratiche. Ma è una impunitè che si trascina con sé delle forti responsabilità politiche.
Quella della destra tutti le conosciamo, e non ci meravigliamo di averle viste in opera.
Ma non sono le uniche, e forse neppure le più importanti. Le maggiori pendono sul capo dei partiti e partitini del centro sinistra, in particolare dei democratici di sinistra e dell’ulivo. Si può pensare che quello che la polizia ha potuto fare trovi un brutto
ricordo nelle manifestazioni di piazza degli anni sessanta. Ma non ne siamo proprio convinti.
Allora “l’ordine pubblico” era in mano ad un apparato di governo che contava, agli inizi degli anni sessanta, 62 prefetti su 64 di prima classe, 64 su 64 di seconda, 241 vice prefetti su 241, 7 ispettori generali su 10, 135 questori su 135 questori, 139 vice questori su 139 vice questori, che avevano iniziato i primi passi della loro carriera sotto il REGIME FASCISTA.
Ma a Genova, e ancora prima a Napoli, l’ordine pubblico è stato gestito da prefetti e questori nominati durante il Governo di centrosinistra. La pianificazione della “strategia della sicurezza” è stata discussa fino all’altro ieri da ministri del centro sinistra.
Credo quindi che non sia la stessa cosa. Ma allora perché la mattanza e il macello è potuto arrivare fino a tanto?
Al di là di chi l’ha materialmente eseguito, credo che ciò sia stato il frutto anche della scellerata scelta dei DS di tirarsi indietro, di non essere presenti, di voltarsi d’altra parte, anche quando bisognava ancor di più aprire gli occhi.
Un sporcaccionata difficile da comprendere. La manifestazione di sabato, ancor prima che essere contro il G8, era una manifestazione fortemente voluta per poter affermare il diritto di parola – di contare come cittadini – e tutto ciò era diventato tragicamente ancora più chiaro dopo l’omicidio di venerdì. Una manifestazione che aveva in sé il richiamo e la riaffermazione dei nostri valori democratici, i quali ben sappiamo non si possono mai dare per scontati, ma devono essere sempre riaffermati, garantiti e vigilati. Rispetto a ciò i DS invece di scendere in piazza con il movimento, invece di partecipare con 20/30 parlamentari alla manifestazione (in funzione di osservatori, visto che hanno tanto amato farlo, quando governavano, in giro per il mondo), invece di garantire anche con la loro presenza il pacifico svolgimento, hanno preferito voltare le spalle.
E così la loro scelta, ai limiti della connivenza, o se non altro della stupidità politica, ha consegnato, se mai ce ne fosse stato bisogno, ancora maggiore impunità ai tutti i macellai, a quelli con il volto coperto di maschere nere e a quelli che, invece di agire in nome della sicurezza, hanno scientemente percorso la strategia della violenza e delle violazioni di tutti i diritti costituzionali.
D’altronde, e qui la storia insegna, simili atteggiamenti di irresponsabilità politica hanno permesso negli addietro alla Spagna di
essere violentata dalla furia franchista e al Cile di Allende di morire sotto i colpi di una sanguinaria dittatura.
Cosa altro dire?
Come screditare un movimento pacifico
Le forze di polizia sono rimaste deliberatamente inerti di fronte alle razzie criminali degli anarchici, attaccandoli solo nei momenti in cui questi decidevano di andare a mescolarsi nel corteo. In tal modo sono stati oggetto di repressione violenta persone totalmente pacifiche e appartenenti ai movimenti non violenti.
di Francesco
Desideravo esprimere la mia amarezza e la condanna per le violenze di questi giorni, ma anche la ferma riprovazione per l’atteggiamento tenuto dalle forze dell’ordine. Come simpatizzante del movimento di Pax Christi Italia ho partecipato alla manifestazione di sabato 21 con la Rete di Lilliput di Cremona (insieme ai Circoli di Rifondazione Comunista di Crema e Cremona). Sono rimasto tutto il tempo nella coda del corteo, nel terzo troncone cui non e’ stato consentito di arrivare a Marassi ed e’ stato respinto verso Nervi. La testimonianza che posso dare e’ che a meta’ della manifestazione,
siamo stati fatti retrocedere in seguito ad incidenti avvenuti piu’ avanti ed abbiamo dovuto percorrere a ritroso Corso Italia. Per impedire infiltrazioni degli anarchici abbiamo formato un cordone umano e la situazione si e’ prontamente rasserenata. Mentre eravamo seduti in tranquillita’ (c’erano vicino gruppi di pacifisti, verdi, le ACLI, ragazzi con le bandiere sarde e un gruppo
portoghese), dagli elicotteri e dalle colline circostante sono piovuti lacrimogeni, lanciati dalla polizia in modo del tutto gratuito ed immotivato. Questo ha provocato il panico generale e ci siamo dispersi in fuga sotto la spinta dei ragazzi che ci stavano dietro, probabilmente inseguiti dalla polizia e tra cui non erano comunque presenti anarchici del blocco nero.
Nel corso della serata ho potuto raccogliere testimonianze di numerose persone (fra i quali quella preziosa di un prete, estraneo al movimento e presente per caso nella zona del corteo in quanto si recava ad una estrema unzione in una clinica) che mostrano come le forze di polizia siano rimaste deliberatamente inerti di fronte alle razzie criminali degli anarchici, attaccandoli solo nei momenti in cui questi decidevano di andare a mescolarsi nel corteo. In tal modo sono stati oggetto di repressione violenta persone totalmente pacifiche e appartenenti ai movimenti non violenti. E’ chiaro che lo scopo delle forze dell’ordine era quello di screditare un movimento vasto, pacifico e che proponendo una valida alternativa ai modelli esistenti e’ considerato un pericolo per gli attuali governi.
Chiedo scusa per la scarsa brillantezza della mia esposizione ma desideravo fornire al piu’ presto la mia testimonianza sui drammatici fatti di questi giorni.
Genova: la polizia fa il saluto romano
Una lunga e attenta testimonianza delle giornate di Genova. Una serie impressionante di episodi che confermano ancora una volta il comportamento estremamente violento delle c.d. “Forze dell’ordine”.
di Chiara
Carissimi amici, amiche, parenti, professori, conoscenti e sconosciuti, con questa lettera voglio raccontarvi cio’ che ho vissuto a Genova in prima persona nelle giornate del 19, 20, 21 luglio.
Lo sgomento per ciò che è successo è grande, ma cercherò di dare la mia testimonianza nel modo più lucido e ordinato possibile.
Cos’è successo? Cos’ho visto?
Ho visto la polizia prendere a botte indiscriminatamente e senza ragione donne, anziani, ragazze e ragazzi mentre una banda di teppisti devastava indisturbata la città.
Ho visto volontari del corpo medico del Genoa Social Forum (G.S.F.) finire all’ospedale per le manganellate ricevute, ho visto fotografi a cui sono state distrutte le macchine fotografiche perchè avevano scattato immagini scomode.
Ho visto i media che “informavano ” i cittadini dando solo notizie parziali dell’accaduto: solo teppismo, solo distruzione.
In tv hanno forse fatto vedere immagini del meraviglioso corteo del 19?
Dovete infatti sapere che in quel giorno si è svolto il primo corteo organizzato dal G.S.F.(l’insieme di organizzazioni, e associazioni che hanno gestito CORAGGIOSAMENTE E COSTRUTTIVAMENTE la protesta che avrebbe dovuto essere ordinata e pacifica durante lo svolgimento del G8).
Il corteo dei migranti ha sfilato ordinatamente e pacificamente: 30.000 persone tra associazioni, organizzazioni di ogni paese, gente di ogni età (c’erano madri coi bambini e molte persone anziane), hanno fatto una grande manifestazione.
Una festa di colori e musiche che passava per le vie della città accolta dal saluto gioioso e dalle mutande dei genovesi (il capo del governo, mentre allestiva la città fantasma che avrebbe ospitato il summit, ha espresso il suo ribrezzo nei confronti del scarso gusto estetico mostrato dai genovesi nello stendere la biancheria ai propri balconi).
Ecco un episodio che può rendere l’atmosfera che si respirava in quei momenti. Il corteo avanzava molto lento, per il gran numero di persone che lo componevano, ad un certo punto la parte in cui suonava una delle tante bande si è fermata sotto una finestra dalla quale era affacciata un’anziana signora che gioiosa ci salutava e batteva le mani al tempo della musica: lei ci sorrideva e noi tutti la salutavamo, sembrava che la banda stesse suonando solo per lei!
Tengo a sottolineare che in diversi punti il corteo ha tranquillamente sfilato di fronte a schieramenti di centinaia di poliziotti con fucili caricati, a lacrimogeni puntati (d’ora in avanti li chiamerò semplicemente fucili), ma non è successo nessun disordine. Perchè? Perchè noi non avevamo nessuna intenzione di disturbarli, perchè cordoni di volontari del G.S.F. che si tenevano per mano ci indicavano il percorso da seguire e perchè evidentemente per quel giorno la polizia non aveva ricevuto ordini di caricare senza motivo la folla inerme (COSA AVVENUTA NEI DUE GIORNI SUCCESSIVI).
Nel tardo pomeriggio il corteo è arrivato in Piazzale Kennedy, dove la musica e le danze sono proseguite ancora fino a tardi.
Per la giornata del 20 non era previsto nessun corteo ne’ alcun incontro presso il Global Forum (lo spazio dove dal 15 si sono tenute numerose conferenze, su temi riguardanti lo sviluppo, l’ambiente, la finanza da rappresentanti di importanti associazioni): erano previste diverse forme di protesta in vari punti della città.
Ciò significa che c’era chi, come i pacifisti, è stato sdraiato tutto il giorno con le mani dipinte di bianco in piazza, c’erano le cosiddette piazze tematiche (gestite dal comitato degli agricoltori, dalle botteghe del commercio equo e solidale..), c’erano spettacoli, balli giocolieri e danze e c’era anche chi faceva disobbedienza civile (la “disobbedienza civile” è un termine base della tradizione non violenta: si disobbedisce ad una legge per manifestare il proprio rifiuto radicale di un’ingiustizia, fosse pure legalmente perpetrata: in questo caso si protestava con la mancata libertà di manifestazione e di movimento all’interno della città genovese).
Tengo a specificare che il 20 è il giorno in cui è stato ucciso Carlo Giuliani (primo episodio di disinformazione feroce da parte dei media: prima ancora che si conoscessero le generalità del “morto” già si inventavano false storie sul suo conto: vorrei sottolineare che NON si trattava di un vagabondo, che NON viveva di elemosina, e NON aveva in mano una bombola del gas, bensì un estintore. Non sono assolutamente d’accordo con quello che ha fatto, ma non è un buon motivo per lasciare che la gente racconti menzogne).
Ecco come l’ho vissuto io: verso le undici io e i miei 5 compagni ci siamo diretti con un corteo pacifico, formato in gran parte da francesi del gruppo ATTAC (che lotta per la cancellazione del debito e per la Tobin Tax) e siamo arrivati in piazza Dante.
Era impossibile raggiungere altri punti della città (ad esempio la piazza dei pacifisti e del movimento delle donne) perchè le forze dell’ordine avevano creato barricate di container all’interno della città (sottolineo che ciò è stato fatto in aree che non avevano niente a che fare con la zona rossa: un ulteriore insulto alla libera manifestazione e alla libera circolazione)
La situazione in piazza Dante era la seguente: giungevano notizie (provvidenziale è stato il mancato temuto oscuramento della rete mobile) di scontri in tutte le altre parti di Genova, di delinquenti che liberamente scorrazzavano per la città devastandola mentre tutti i lacrimogeni e manganelli erano riservati per gente inerme che passava nelle vie sbagliate al momento sbagliato.
Dei miei amici si sono mossi da Piaza Dante per tentare di andare a vedere la situazione altrove: quando ci siamo rincontrati nel corso del pomeriggio erano terrorizzati: entrati in una via si sono ritrovati tra gente che scappava spaventata dietro a un massiccio gruppo di poliziotti con manganelli e lacrimogeni. Erano in 4: tre sono riusciti a scappare di corsa, uno è rimasto incastrato tra le macchine con altri ragazzi. “Le due ragazze di fronte le hanno massacrate di botte” mi ha raccontato. Lui è stato gettato a terra e s’è preso una manganellata sulla spalla.
In piazza Dante intanto a noi succedeva questo: dopo essere arrivati cantando slogan come “Genova libera” o “Le monde n’est pas une marchandise”: ci siamo trovati di fronte ad una lunga rete metallica che chiudeva un intero lato della piazza e la via che da essa partiva, dall’altro lato portici chiusi. Un imbuto la cui unica via d’uscita era via fieschi, la strada in discesa da cui siamo arrivati in corteo (sulla piazza in realtà arrivava anche una galleria, davanti alla quale un cordone di volontari del G.S.F. bloccava il passaggio ai manifestanti spiegando che già di lò si andava in direzione degli scontri)
Li’ in piazza invece la realtà degli scontri sembrava veramente lontana: un furgone dell’Arci aveva messo la musica e la gran parte dei presenti ballava festosa.
Altri dipingevano con pastelli colorati le grate oltre le quali alcuni poliziotti ci guardavano incarogniti (credo che inevitabilmente si rendessero conto della situazione paradossale in cui si trovavano: sembravano animali in gabbia), altri appendevano striscioni alle grate, altri lanciavano aereoplanini di carta, altri li infastidivano armati di luce (ovvero rivolgendosi verso di loro con degli specchi) altri grattavano le reti con delle bottiglie di plastica in segno di protesta.
E li’ si sono viste le prime provocazioni da parte della polizia (scusate se li chiamo genericamente cosù, ma a sentire parlare di “forze dell’ordine ” mi viene il voltastomaco): idranti su di noi (io ero dietro a ballare) e spray al peperoncino a chi era vicino alle grate (lo spray al peperoncino è una sostanza che irrita la pelle, gli occhi e le vie respiratorie anche per 30 minuti).
Uno di loro si è avvicinato alla rete metallica sorridente con le mani dietro la schiena e poi lo ha spruzzato verso i ragazzi con le bottiglie di plastica.
Grande momento è stato (non riesco a dare coordinate temporali precise perchè sembrava di essere in un’altra dimensione) quando un enorme serpentone di palloncini è stato fatto passare dall’altra parte delle grate (non pietre, non spranghe: palloncini!!!)
Più tardi quattro persone sono riuscite a scavalcare per un momento le reti, ma io non ho visto quel momento e non posso raccontare come sia andata.
In quei momenti Agnoletto (portavoce del G.S.F.) ci ha invitati al massimo ordine possibile, ricordandoci che quella piazza-imbuto non poteva assolutamente permettere un’incursione nella zona rossa (che comunque era decisamente più in là delle grate).
Poi il mio gruppetto ha deciso di andare a vedere com’era la situazione altrove e abbiamo risalito via Fieschi: in piazza carignano c’era la banda, balli e giocolieri. Cerchiamo un bagno, arriviamo fino al belvedere S.Chiara, dove usiamo i servizi dell’ospedale.
Intanto arrivano di continuo ambulanze: gli avvocati volontari del G.S.F. si offrono a raccogliere le testimonianze dei feriti (quelle stesse testimonianze contenute nei file che la notte del 21 sono stati distrutti nei computer delle sedi del G.S.F dove si è svolto l’agguato della polizia).
C’è un medico del servizio sanitario volontario del G.S.F. con gli abiti imbrattati di sangue e una grossa garza sulla nuca. Racconta di essere stato ridotto in quel modo mentre si è buttato a difendere un altro collega medico (che noi non abbiamo visto li’ fuori, probabilmente era dentro in condizioni più gravi). I due erano ai lati di un corteo che è stato caricato, e vi sono rimasti mentre la polizia avanzava in modo da soccorrere i manifestanti, ma la polizia si è accanita anche contro di loro insultandoli nonostante urlassero di essere dei medici.
Sentendo notizie di scontri ovunque, testimoniati da nuvole di fumo dei lacrimogeni che si alzavano in diverse parti della città, udendo che i black block riuscivano a raggiungere con straordinaria efficienza ogni piazza provocando l’assalto feroce della polizia su tutto il resto dei manifestanti, ci ridirigiamo verso Piazza Dante.
Siamo stati li’ per un po’, poi Agnoletto ha fatto un discorso che aveva tanto il sapore di consolatorio “Abbiamo, vinto, possiamo radunarci con gli altri manifestanti in piazza Carignano e proseguire tutti insieme in corteo fino a piazzale Kennedy dove faremo il quadro della situazione”.
Mentre ci si mobilita tranquillamente verso via Fieschi, salutando con la manina i poliziotti in gabbia, fieri di essere l’unico punto in tutta la città dove non sono avvenuti disordini e dove è stata simbolicamente penetrata la città proibita, partono senza nessuna sensata ragione i lacrimogeni e le cariche: come già sottolineato nella piazza una sola era la via di fuga , stretta e in salita. Le cariche hanno gettato i manifestanti nel panico più totale, le tanto ironizzate “attrezzature del perfetto manifestante” (occhialini da piscina, mascherine, foulard bagnato con l’aceto, limoni per soffocare la nausea) si sono rivelate provvidenziali: chi non li aveva sbandava alla rinfusa piangendo e tossendo, i gruppi si disperdevano.
Man mano che si saliva verso piazza carignano, la situazione si placa, il nostro gruppetto si riforma, nella piazza si forma il corteo, nonostante l’indignazione per la carica GRATUITA, ricomincia il clima di festa pacifica con gli slogan, i balli e la musica. Confluiamo a piazzale kennedy passando civilmente di fianco al quartier generale della polizia (un immenso panorama di macchine, camionette, autoblindi, RUSPE-!-blu).
Lungo la strada sono evidenti i terribili atti vandalici perpetrati durante la giornata dalle “tute nere”: straordinaria, ripeto, la loro capacità di muoversi liberamente in una città piena di barricate e raggiungendo miracolosamente ogni protesta pacifica, mentre nessun manifestante riusciva oggettivamente a spostarsi da una zona all’altra, e dando casualmente la scusa alla polizia di fare cariche ovunque. Un ragazzo mi ha raccontato di aver visto poliziotti che senza nessun ritegno sradicavano e travolgevano banchetti del commercio equo e solidale.
In piazzale Kennedy è stato molto difficile condurre l’assemblea: tutti siamo state vittime di cariche immotivate o provocate dal passaggio fantasma delle tute nere, e ormai la notizia della morte di Carlo Giuliani si è sparsa ovunque. Giungono voci che continuano ancora cariche in non so quale parte della città, c’è chi incita ad andare ad aiutare, un mediatore del G.S.F. invita a mantenere la calma. Restare calmi è stato veramente molto difficile per diverse ragioni.
In primo luogo un elicottero enorme della polizia che girava su di noi facendo un rumore veramente snervante che impediva a chi parlava di essere ascoltato (N.B. il rumore degli elicotteri sulle nostre teste è stata una costante per tutta la permanenza a Genova, e inquieta il mio poco sonno ancora adesso).
In secondo luogo perchè mentre la polizia era costruttivamente impegnata a disturbare il nostro comizio o a caricare manifestanti altrove, “qualcuno” ha appiccato fuoco a una banca su corso Italia (e tutto il movimento era li’ seduto ad ascoltare l’assemblea)
Infine lo sdegno più grande è stato provocato dalla notizia che 5 minuti dopo che Agnoletto aveva riconfermato la manifestazione dell’indomani, incitando a mantenere i propositi di calma e rispetto della città di fronte alle provocazioni della polizia, il tg3 aveva detto che lo stesso Agnoletto aveva appena disdetto la stessa manifestazione: svista o disinformazione volontaria?
Man mano che l’assemblea si disperde si tentano di racimolare testimonianze e racconti sulla giornata, si rimane delusi dai telegiornali che fanno vedere solo i Black Block che devastano (COM’E’ CHE NESSUNO LI HA MAI VISTI, MA NEI TG APPAIONO SEMPRE IN POSE SCENOGRAFICHE ED ESTREMAMENTE FOTOGENICHE?) e nulla di tutte le manifestazioni costruttive, festose e pacifiche che nonostante tutto si erano svolte durante la lunghissima giornata del 20.
Per non parlare delle obbrobriose strumentalizzazioni da parte dei vertici della “sicurezza” dell’assassinio di Carlo Giuliani.
La sera la gente è costretta a raggiungere i propri centri di accoglienza a grossi gruppi, scortati dagli avvocati del G.S.F.: DEI CIVILI COL TERRORE DI MUOVERSI DA SOLI DI NOTTE PER PAURA DI ASSALTI DELLE FORZE DELL’ORDINE ITALIANE!
Sabato 21 il corteo era previsto per le due, ma già verso le 11,30, una grande folla si dirigeva verso la piazza di ritrovo: c’era talmente tanta gente che alcuni gruppi non sono nemmeno riusciti a partire dall’ufficiale punto d’inizio del corteo. Ci si muove piano piano, i genovesi ci distribuiscono bottiglie d’acqua e ci bagnano come possono per rinfrescarci, rigoroso è stato il servizio d’ordine organizzato dal G.S.F., nel tentare di fare quello che sarebbe stato compito della polizia: allontanare i violenti.
Si tentava di stare in gruppi compatti, ai bordi si stava per mano per non fare infiltrare nessuno.
Noi ci trovavamo nella famigerata metà del corteo.
Ecco quello che non ho visto, ma a cui credo, per le numerose testimonianze di amici (ma anche quella di Don gallo). Mentre la polizia si era schierata di fronte ad un corteo PACIFICO ED UFFICIALMENTE AUTORIZZATO e Agnoletto è andato a trattare perchè si potesse proseguire lungo il percorso stabilito (inspiegabilmente intasato da un immenso schieramento di polizia) sono sbucate le tute nere infiltrandosi a metà del corteo, che nel frattempo era riuscito a proseguire la sua marcia. Cosi’ il primo spezzone ha continuato lungo corso Torino ignaro di tutto, il secondo ha visto la polizia lasciar passare le tute nere (un quotidiano dice che ciò è stato fatto PER NON GETTARE NEL PANICO IMANIFESTANTI!!!) e caricare il resto dei manifestanti con un vero e proprio assalto (il corteo è stato travolto da piazzale Kennedy fino all’altezza della caserma dei carabinieri: si tratta almeno di 500 metri).
Ecco quello che ho vissuto: il mio camper era parcheggiato in una discesa tra piazzale Kennedy e lo spiazzo del Global Forum (la vicinanza a quest’ultimo ci era sembrata una garanzia per l’incolumità del mezzo). Avvicinandoci a quella zona io e i miei compagni abbiamo deciso, vista la lentezza del corteo, di poterci permettere una pausa pranzo. Io e un altro dei 5 scendiamo al camper: il piazzale e tranquillo, c’è chi fa la doccia e molti manifestanti sono in coda a un chioschetto, c’è anche gente in spiaggia. Cominciano a piovere dalla strada dei lacrimogeni: un po’ di panico, poi di nuovo quiete: il chiosco riapre e ricomincia a vendere viveri, non si capisce bene cosa succeda in strada.
Dopo un po’ comincia una pioggia continua di gas lanciati ad altezza d’uomo da un elicottero che vola bassissimo su di noi (Una ragazza è stata colpita alla fronte!): io e il mio amico ci chiudiamo in camper, già dalla salita scende una fiumana di gente terrorizzata che urla “Arrivano, arrivano!”, passano anche i nostri amici, dopo un attimo di esitazione lasciamo il camper.
Usciti siamo immersi in una pioggia di gas, corriamo accecati sul piazzale del global forum (Luogo pubblico e zona neutrale), dove ci attende una scena spaventosa. Gli astanti sconvolti (pensate ai poveri bagnanti che sono stati coinvolti in questo putiferio!) si dicono “Questi sono dei folli!” e assistono ad uno scenario che sa tanto di Cile: SULLA STRADA le tute blu (cioè la polizia) marciano in squadroni sulla strada da loro efficientemente sgomberata e pigliano a botte i malcapitati che non sono ancora riusciti a scappare (ricordo che ho visto sfilare in corteo GENTE IN CARROZZINA E PERSONE IN STAMPELLE), ci sono autoblindi (praticamente dei carrarmati a cui manca solamente il cingolato) che dominano la strada con dagli oblo’ i soliti fucili puntati verso chiunque, IN CIELO ancora l’elicottero che non si capisce bene se non lanci più fumogeni perchè ha finito le munizioni o cosa (ma l’uomo che sbucava continuava a tenere il fucile puntato), IN MARE una quindicina di barche di ogni misura e colore (C’ERA PURE LA POLIZIA PENITENZIARIA!) che mostravano tutt’altra intenzione che voler accogliere a braccia aperte coloro che si erano rifugiati sugli scogli, LA SPIAGGIA veniva velocissimamente invasa da uno stuolo di polizia.
Insomma ASSEDIATI VIA TERRA, CIELO E MARE DALLA POLIZIA ITALIANA IN UN LUOGO PUBBLICO E SENZA RAGIONE!
La gente continuava a saltare giù dai muretti, terminati i lacrimogeni i più spaventati alzavano le mani al cielo in segno di resa (A CHI E PER COSA?) e i più indignati applaudivano ironicamente e gridavano “Bravi” a questi superman in blu che hanno badato talmente bene all’ordine pubblico e alla nostra sicurezza da disperdere un corteo pacifico in un punto del percorso dove CASUALMENTE NON C’ERANO VIE D’USCITA.
Abbiamo veramente temuto che ci caricassero, menassero e portassero via: e cio’ non è successo a noi, ma chi è fuggito verso la città e non verso il mare si è visto braccare e malmenare dalla polizia.
Diverse le testimonianze di questi episodi sentite poi la sera alla radio :dei ragazzi raccontano di essere riusciti a rifugiarsi dentro a un condominio e di avervi visto entrare pure una tuta nera, la quale ha preso l’ascensore. Quando questa è stata vista tranquillamente uscire anche loro hanno lasciato il condominio, ma a differenza di chi li aveva preceduti hanno trovato un gruppo di poliziotti che li ha malmenati.
Altri hanno raccontato, sempre alla radio di essere stati fatti inginocchiare con le mani dietro alla nuca, poi è stato detto loro: “avete tempo fino a tre per scappare: unoduetre” e sono stati picchiati.
Un altro signore era sconvolto, più che dalle botte da ciò che gli è stato detto da chi lo malmenava: “IL FASCIO E’ TORNATO, BRUCIATE SPORCHI EBREI”
Noi invece siamo rimasti sul piazzale per un po’ e poi abbiamo maturato la decisione, costi quel che costi, di tentare di proseguire il corteo. Saliamo i pochi scalini che ci separano dalla strada e troviamo ancora tensione: un ragazzo insulta la polizia, altri tentano di farlo tacere e lui risponde “No, non sto zitto, hanno menato mio fratello con un casco!”. Arriviamo sulla strada: pieno di poliziotti con casco, manganello e scudo, dobbiamo vincere l’impulso di scappare alla loro vista e passargli davanti con le mani alzate come dei prigionieri di guerra (la mia unica impotente arma era uno sguardo inferocito, mi ripetevo a bassa voce la cosa che mi sembrava il più terribile insulto nei loro confronti: “Forze dell’ordine!” “Forze dell’ordine!”). Intanto un autoblindo aveva avuto la brillante idea di ripulire la strada � ormai deserta – sfasciando una macchina parcheggiata e trascinandola verso di noi come un trofeo , mentre noi gli passavamo davanti a mani alzate (stile piazza Tien-a men, E NON ESAGERO).
Attraversata la strada, siamo su corso Torino: dove ci aspetta la visione paradisiaca di un furgone che distribuisce a noi che passiamo di corsa panini e acqua (Santo manuchao e santa comunità di S.Egidio!). Una ragazza in bici del G.S.F. ci chiede cosa è successo e ci dice di andare a sederci un po’ più avanti insieme ad altri in attesa che ci lascino passare e proseguire il cammino. L’idea di andare a sederci proprio di fronte ad uno schieramento di poliziotti che ci sbarrava la strada, dopo ciò che avevamo appena passato, era un po’ inquietante (RIDOTTI AD AVERE IL TERRORE DELLA PROPRIA POLIZIA SENZA AVER COMMESSO NESSUN REATO)
Miracolosamente ci permettono di passare, ci si disperde nelle viuzze tentando di capire la via più sicura per raggiungere lo stadio Marassi e piazza Ferrari, dove era previsto l’arrivo del corteo assalito: siamo decisi a raggiungere quel punto come gesto simbolico. In strada continua la tensione, ogni via verso la nostra meta è occupata da gente che arriva di corsa spaventata dalle cariche e dai lacrimogeni, “Non andate di li’, stanno caricando!”. Di continuo.
Di scaletta in scaletta, riusciamo a raggiungere piazza Ferrari, ci sembra la terra promessa, ci sediamo per terra come molti altri avevano già fatto e beviamo dell’acqua, degli addetti smontano il palco del G.S.F., si formano le code davanti ai chioschetti c’è un ‘apparente atmosfera di normalità. Ma dal palco nuove grida “Arrivano!” ci giriamo e vediamo arrivare dal fondo di Corso Sardegna (credo si chiamasse cosi’, mi scuso per la mancata precisione toponomastica) i soliti caschi, scudi, blindi e lacrimogeni, di nuovo di corsa per le strette vie. Raggiungiamo il piazzale dove sono radunati tantissimi pullman in attesa della partenza, ormai il corteo è ufficialmente sciolto, la gente arriva per andarsene.
Ci rendiamo conto che da li’ a poco saremmo rimasti solo più in pochi in quella città impazzita: dobbiamo trovare un modo sicuro per tornare al camper. Inutili le richieste di un passaggio ai pullman, saranno pieni a breve e non hanno nessuna intenzione di accompagnarci verso la zona più devastata della città. Nel frattempo di nuovo, da una delle vie adiacenti al piazzale, al di la’ del fiume li si vede arrivare: solita coreografia, solito disordine. Al telegiornale si dice che la carica e’ stata motivata dal fatto che i manifestanti non se ne volevano andare!!! Tutti continuiamo a dirci che sono dei folli.
Formiamo un gruppo di anime perse che deve dirigersi verso il Kennedy, seguiamo un gruppo di gente che porta la bandiera della pace (sentirsi protetti da un pezzo di stoffa con un simbolo di fronte a migliaia di uomini armati autorizzati dallo stato a seminare il terrore nella città), chiediamo a dei membri del G.S.F. se ci possono regalare i loro cartellini distintivi (un ulteriore mezzo di difesa): rispondono amaramente che gli servono ancora e che con quelli addosso ce ne avrebbero date ancora di più, “Siamo pieni di colleghi all’ospedale”.
Passiamo nella zona calda della stazione di Brignole, c’è tanta gente in attesa di capire come e quando prendere il proprio treno: arrivano intanto una ventina di camionette e altrettante jeep della polizia che si schierano di fronte alla folla esausta con fare minaccioso (ci sono i soliti fucili puntati ). Uno dei poliziotti, che sbucava su una camionetta, oltre a tenere il fucile è riuscito a fare il prode gesto di mostrare il dito medio agli astanti. Alcuni fischiano, altri applaudono ironicamente dicendo “Bravi, grazie, grazie!” I più tacciono terrorizzati (e io non capisco più il significato del termine DEMOCRAZIA).
Noi proseguiamo verso la nostra strada, decidendo che prima ce ne saremmo andati da li’ meglio sarebbe stato, attraversiamo la strada mentre continuano ad arrivare automezzi della polizia. Uno dei conducenti mi fa degli apprezzamenti da Dongiovanni – diciamo così -, e io non capisco più il senso della parola GIUSTIZIA.
Raggiungiamo piazzale Kennedy, la zona è devastata. chissà da chi. Forse da quei giovani che sono stati visti da testimoni oculari zittiti e da telecamere sequestrate ricevere ordini dai comandanti della polizia?
Io questo non lo so perchè non l’ho visto, so solo che prima un auto è stata maciullata sotto i miei occhi da un mezzo della polizia e non da un ragazzo vestito di nero. E, ciò che è più grave, ho visto al mio ritorno su quella stessa macchina un vessillo con scritte anarchiche, stranamente appetibile per i media pronti a piazzare le foto in prima pagina con titoli “Ecco le devastazioni operate dai pacifisti”. E un po’ lo stesso discorso delle pose eroiche di tipi incappucciati che trionfano su cadaveri di macchine, ma FATE ATTENZIONE: solitamente in un angolino sullo sfondo della foto c’ uèn poliziotto che non si sta bene cosa stia facendo! ah, dimenticavo, non interviene per non seminare il panico!)
Chiedo scusa, mi ero proposta di non fare commenti avvelenati, ma sorgono veramente spontanei..
Raggiungiamo il camper sano e salvo.
A poco a poco sembra tornare la normalità, gli elicotteri continuano a passare, ma man mano c’è il rientro dei genovesi.
Un boato ci fa trasalire, ci giriamo di scatto verso la direzione dalla quale proveniva il rumore: è solo un mezzo della nettezza urbana che ripulisce le strade. Ci guardiamo e ci rendiamo conto della tensione accumulata durante la giornata.
L’ordine apparente domina, la paura resta: in camper sentiamo alla radio le suddette testimonianze dei pestaggi , ma soprattutto che la polizia sta facendo irruzione in molti bar e pizzerie ad identificare ed arrestare persone.
Non ci resta che partire da questa città del terrore, DOVE ERAVAMO VENUTI PER MANIFESTARE PACIFICAMENTE LE NOSTRE SPERANZE IN UN MONDO MIGLIORE (uno degli slogan più diffusi era “Un altro mondo è possibile”) E CI SIAMO TROVATI IN UNA REALTA’ PEGGIORE DI QUELLA CHE POTESSIMO IMMAGINARE, TROPPO VICINA A QUELLA STUDIATA SUI LIBRI DI STORIA.
Nella notte che noi abbiamo passato a Recco (ogni auto ci sembrava un elicottero – e questo mi succede ancora oggi – chiudevamo gli occhi e vedevamo solo tute blu), è avvenuta la carneficina ai punti di accoglienza e al centro stampa (quelli che in televisione sentite definire come “Quartier generale del movimento dei violenti”).
IO NON C’ERO, MA RAGIONO e penso che se non avessi avuto un camper ci sarei potuta essere io li’ a dormire col saccapelo.
Ci sarei potuta essere mentre la polizia mi massacrava di botte per tentare di farmi sentire dai giornalisti, dai parlamentari, dagli avvocati del G.S.F. a cui casualmente era impedito di entrare, finche’ non hanno visto uscire 90 feriti (uno è in coma).
IO NON C’ERO, MA RAGIONO, e vedo un assalto squadrista in seguito al quale casualmente sono state sequestrate (COME OGGETTI CONTUNDENTI!!!) tutte le macchine foto del servizio stampa del G.S.F., e i file che contenevano tutte le deposizioni fatte ai Giuristi Democratici.
Io (ma non solo io, sono molti i giornalisti che hanno visto la stessa cosa) delle armi inventate per giustificare una strage: dei pezzi di ponteggio, dei martelli e dei picconi da operaio trovati nella scuola, dove si stavano svolgendo dei lavori di restrutturazione! Ah! Dimenticavo, oggi al telegiornale hanno affermato che sono stati anche ritrovati ordigni chimici, immediatamente distrutti dagli artificieri.
Quando alla conferenza stampa di ieri, dei giornalisti indignati hanno chiesto spiegazioni sull’inconsistenza di queste famigerate armi non è stata data loro alcuna risposta.
Ma il mio racconto finisce qui, queste sono cose che potete vedere in tv su raitre, (probabilmente ancora per poco, visto che il governo ha prontamente chiesto le dimissioni dei dirigenti del telegiornale perchè avevano osato criticare l’efficienza delle forze dell’ordine)
Vi ripeto solo che queste sono cose che ho trovato nei libri di storia!
Il 22 mattina compriamo il maggior numero possibile di quotidiani: chiedo ai miei amici che li stanno leggendo con sconsolata ingenuità “MA C’E’ QUALCUNO CHE DICE LA VERITA’?”
Non ho ricevuto risposta.
p.s. aggiungo un aneddoto importante: ieri in autostrada il nostro camper è stato superato da una colonna di pulmini della polizia che rientrava da Genova: al vedere che uno di noi indossava la maglia del G.S.F. ci ha urlato qualcosa e ci ha fatto il SALUTO FASCISTA.
Gli assalti impuniti delle tute nere
La cronaca dell’assalto indisturbato del Black Bloc al carcere Marassi
di Cristiana
Il 20 luglio mi trovavo con due altri miei compagni in piazza Manin. Decidiamo verso l’una di andare a Piazza Dante e scendiamo con un autobus (linea 20) fino a via Canevari. Da là tentiamo di raggiungere a piedi la zona della manifestazione di Rifondazione e Arci, cercando di passare sia da via Sardegna che da via Canevari. Facciamo diversi tentativi che ci prendono non so bene quanto tempo. Ci fermiamo e siamo costretti a tornare indietro a causa degli scontri che vediamo in lontananza e al fumo dei lacrimogeni che ci investe nel percorso. Mentre percorriamo via Canevari notiamo un gruppo di blindati – 4 o 5 – e di carabinieri stazionare su Piazzale Marassi, all’altezza di via Ciavarezza, a protezione apparente del carcere di Marassi. Ci accorgiamo che gruppi di “tute nere” vengono nella nostra direzione e decidiamo di voltare, su indicazione di alcune avventori di un bar li vicino, per una rampa di scala con l’intenzione di tornare in Piazza Manin. Affrontiamo la rampa insieme ad un gruppo di altri pacifisti più o meno nelle nostre condizioni. Decidiamo quindi di fermarci un momento e di riprendere fiato e ci fermiamo presso le mura di San Bartolomeo, proprio di fronte al carcere di Marassi. Dalla nostra posizione potevamo vedere perfettamente piazzale Marassi, l’edificio del carcere e via Mandoli verso il cimitero Staglieno. Potevamo inoltre vedere lo stadio ma non l’angolo fra via Ciavarezza e piazzale Marassi. Assistiamo quindi all’assalto di un gruppo di persone al carcere. Quando raggiungiamo il punto che ho indicato l’assalto era già iniziato e quindi non sono in grado di dire da dove provenissero le persone che vediamo all’opera. Né sono in grado di dire se il gruppo di carabinieri che avevamo notato poco tempo prima fosse ancora al suo posto o fosse arretrata.
La scena si presentava ai nostri occhi così: vediamo un gruppo di blindati – 4 se non ricordo male – fermi, con i relativi “equipaggi”, a via Rino Mandoli all’altezza di via del Mirto. Un gruppo di persone assaliva ripetutamente, lanciando oggetti, il portone e una finestra del carcere. Il gruppo agiva assolutamente indisturbato al punto che poteva permettersi di spaccare i vetri di una finestra, sistemarci degli oggetti e accendere il fuoco. I carabinieri, nel frattempo assistevano alla scena senza intervenire. Non posso dire con certezza in quanti fossero coloro che assalivano il carcere, sicuramente non molti in quanto il piazzale era totalmente sgombro e non c’erano assembramenti. La mia impressione e che fossero fra i dieci e i venti. Potevamo vedere due persone alla volta avvicinarsi all’edificio, lanciando oggetti e poi tornare indietro. Nel frattempo altri due o tre si avvicinavano, lanciavano e si ritiravano. Siamo rimasti a guardare per circa un quarto d’ora. Ci siamo poi allontanati, seguendo le mura insieme ad un altro gruppo di pacifisti provenienti da Piazza Manin.
Comodo il Black Block!
di Ernesto
Ero a Genova alla “grande e pacifica manifestazione di sabato”. Non ero col Black Block, ma coi temibili Lillipuziani; ma siccome vedo oggi, domenica, che secondo l’illuminante parere dei media a Genova c’era solo il G8 e fuori c’erano quattro barbari generosamente tenuti a bada, ho pensato di scrivere quel che del Black Block ho visto stando coi Lillipuziani. Noi lillipuziani non eravamo affatto neutri; eravamo armati di una pericolosissima carica di tensione personale, di numerose e spaventose mani alzate, di un disgusto pacifico ma nausebondo del G8 e di un perverso desiderio infra-strategico di arrivare in fondo prima di finire soffocati. Eppure, la nostra barbarie non ha potuto contendere le prime pagine al Black Block, il famoso nemico della libertà e del mercato. In mattinata, si era appreso che il ragazzo giustiziato venerdì era 1) di Genova e 2) figlio di un sindacalista. Questo smentiva sia che fosse “spagnolo” come gli anarchici della guerra di Spagna del 1934, sia che fosse figlio di nessuno come fa comodo pensare che siano squatters, punks e altre persone che non si comportano come consigliano i padri e le nonne. Ma soprattutto, questo dava a moltissime altre persone la possibilità di riconoscersi in quell’ex-corpo-senza-nome. Attorno alla partenza del corteo, radio-folla ha bisbigliato che il Black Block stava arrivando alla Stazione di Quarto. Da dove veniva questa notizia? Non lo so. Ma questa notizia portava a supporre 1) che il Black Block avrebbe avuto la coda del corteo, 2) che le tute bianche rischiassero di trovarsi il Black Block alle costole, e 3) che la polizia avrebbe isolato e forse massacrato la coda del corteo prima che questa potesse risalirlo, visto che dalla Stazione di Quarto al punto d’inizio del corteo c’era un po’ di strada e cinquanta blindati della polizia. Eppure, questa notizia era assurda in sé; era sensata da un punto di vista mediatico e politico ma assurda come fatto. Forse che il Black Block ordina a Trenitalia a suo nome un treno speciale? o viaggia forse esibendo i bastoni? o canta forse le canzoni del Black Block? (quali?) Quando ero a un terzo del percorso, ho visto questo famoso BB dei giornali. Ho visto ragazzi e ragazze che si distinguevano per il fatto di avere un bastone in mano, o meglio un pezzo di legno, risalire il corteo fra le contestazioni di alcuni lillipuziani e il silenzio degli altri manifestanti. Non avevano divise; molti non avevano né casco né mascherine né zaino; alcuni erano giovanissimi. Mi é sembrato che fossero molto concentrati, ma non sono sicuro perché ho subito pensato a Carlo Giuliani, il ragazzo ucciso, e questo pensiero non mi ha più lasciato. Non ho avuto il coraggio di cercare di fermarli, e per un istante ho anche pensato che non serviva a un accidente, perché c’erano gli altri violenti, quelli “legittimi”, per fermare i quali non potevamo far nulla. Insomma, mi sembrava un po’ scemo fare il profeta contro i pezzi di legno e chiudere un occhio sui mitra, i blindati, la nuova portaerei da quattromila miliardi. Verso la fine del percorso sul lungomare, abbiamo visto molto fumo bianco (=lacrimogeni) e poi un fumo nero (=incendio). Da allora, non ho più visto nessun possibile BB, e c’è un motivo; i lillipuziani hanno cambiato strada. Personalmente, credo che noi pacifisti dovessimo seguire il percorso normale della manifestazione e passare dentro i lacrimogeni, perchè serve poco fare il pacifista quando hai il culo all’asciutto. Ma nessun lillipuziano intorno a me condivideva questa idea, e io non volevo staccarmi da lilliput e quindi passare per BB e non per pacifista. Non ho ancora capito, d’altronde, i pacifisti che tra una preghiera e una veglia si sono esentati dal corteo. Dopo la manifestazione, abbiamo avuto il serio problema di finire la manifestazione, ovvero ripartire; e i BB erano il grande spauracchio. C’erano lacrimogeni alla Stazione di Brignole, e il discorso si poneva in questi termini; se i BB scappano ed entrano nella folla, le “tute nere” (così era chiamata la Quarta Arma dell’esercito alla fine della giornata) attaccano tutti; se però ti stacchi dalla folla, e incappi nelle forze dell’ordine, ci sono fortissime possibilità che tu riceva il trattamento BB. Quando abbiamo appreso per radio che la Stazione di Brignole era aperta e raggiungibile, ho visto qualcosa di molto interessante sull’azione dei BB, almeno in quel punto. Per strada, non tutti i negozi erano distrutti. Sullo stesso marciapiede, una banca, si; una agenzia di assicurazioni, si; un negozio di ricambi per cucine e fornelli, no. Un autosalone, si; un negozio di prodotti per cani e gatti, no. Una banca, si. Siccome non mi sembra molto probabile che le “tute nerissime” dei carabinieri abbiano protetto in modo speciale i negozi di ricambi per cucine e fornelli e i negozi di prodotti per cani e gatti, mi è venuto il dubbio che i BB siano meno confusi di quello che si racconta; e che abbiano attaccato i simboli di una società fondata sul denaro. Per finire, oggi ho fatto un po’ il giro di giornali e agenzie di stampa. La prima vittima di sabato sono le centomila, forse duecentomila persone del corteo, di cui oggi non parla nessuno. Per questo ho pensato di scrivere questo pezzo; perchè ricollochiamo i BB e ci occupiamo del resto che è scomparso. Ricollochiamo i BB, allora: riflettendo, cercando di capire se il BB è grande come se stesso, come la nostra paura o come un lacrimogeno mediatico. Secondo me, già il termine “Black Block” è ridicolo. Come si fa a chiamare “Block” un insieme di persone che sembrano avere un’intesa molto larga su un punto molto semplice, attaccare il denaro? Più che un block mi sembra una specie di nuvola di punti, abbastanza rada. E chi sono i capi del Black Block? Pare nessuno. In effetti su di un’idea così semplice non servirebbe neanche avere capi o strateghi; ma se non ci sono né capi né strateghi, solo “squatters”, la polizia ha un problema molto serio, quello di dover occuparsi del BB individuo per individuo. Ma la polizia, i media e sostanzialmente chi vuole hanno così anche una grandiosa opportunità mediatica, quella di poter dire quello che si vuole del BB senza ricevere smentite. In Europa oggi, pochi altri gruppi-oggetto sono cos� facilmente manipolabili dai media; i disoccupati, i musulmani sunniti che non hanno capo né portavoce generale, i clandestini. Questa opportunità di libero mercato dell’etichettatura del BB mi sembra sia stata usata anche dalle “tute bianche” e dal PRC; mentre il GSF non è entrato nel merito degli “squatters” e dei soliti anarchici, ha solo domandato come sia possibile che i poderosi controlli abbiano fatto filtrare bastoni e liquidi infiammabili. Finirei invitando a riflettere un attimo e soprattutto a far partire il tam-tam di quello che volevamo e vogliamo dire sul G8, perchè i media hanno trovato, forse creato qualcosa che non c’entra niente con il nostro dissenso. Domani, lunedì, il Black Block già non esisterà più per nessuno; Carlo Giuliani, il governo, i media, l’esercito si, e allora anche noi pacifisti e mal-globalizzati dobbiamo (r)esistere. Un abbraccio a voi e alle migliaia e migliaia di Carlo Giuliani che muoiono ogni giorno in lontani paesi grazie agli 8. Un abbraccio a Giuliano Giuliani
Genova 21/7/08: il mio racconto
di Gabriele
Ho preso parte al corteo di sabato scorso a Genova, insieme al gruppo di Azione Diretta Nonviolenta, che in tutto ha raccolto circa cento persone ferraresi. Il bilancio della nostra partecipazione è qualcosa di cui andare fieri, considerando soprattutto la nostra vicenda particolare. Però oggi la nostra presenza quel giorno ha un significato di testimonianza riguardo a fatti molto che non avremmo voluto vedere. Ricorderemo quella giornata soprattutto per ciò che anche noi abbiamo subito: il comportamento infame e criminale delle forze dell’ordine nei confronti di migliaia di manifestanti pacifici.
Per le strade non c’era nessun carabiniere, e fin dall’inizio ci era parso subito un brutto segno. Forse per il clima pesante dovuto alla morte di un ragazzo il giorno precedente, l’ordine in città era stato affidato interamente a noti reparti della Polizia di Stato, quelli che lavorano negli stadi contro gli hooligans.
Il nostro corteo era festoso, ma tra noi e la polizia c’era alta tensione. Per i primi chilometri non abbiamo avuto problemi. Abbiamo capito che qualcosa non andava quando il corteo si è fermato di colpo e gli elicotteri sono scesi sopra di noi a bassissima quota. A Piazzale Kennedy gli scontri erano incominciati all’improvviso; la polizia però non si avvicinava ai violenti armati che bruciavano le auto: si limitava a lanciare lacrimogeni, in numero spropositato, direttamente in direzione del corteo, creando una cortina di fumo visibile da chilometri di distanza. Tutto il corteo è stato costretto a deviare lungo un corso parallelo a quello previsto. Le manovre della polizia sembravano a tutti estremamente pericolose, i gruppi si sparpagliavano, noi camminavamo in fila velocemente, tenendoci per mano. In seguito – verremo a sapere – gli altri gruppetti più lenti, rimasti dietro di noi, sono stati caricati e pestati dalla polizia. Vi racconto i fatti partendo da questo momento, in cui sembra che per noi tutto volga verso la normalità.
Più avanti, ad un incrocio che sembra tranquillo, gli organizzatori ci invitano a riformiare il corteo, noi ci prepariamo a riprendere il cammino. E’ precisamente in questo momento che la polizia ci carica all’improvviso, da una via laterale. Gli agenti spezzano il corteo proprio nel punto in cui ci troviamo. Eravamo riusciti a restare tenerci quasi tutti per mano in cento persone, ma ora ci colgono impreparati. Per qualche minuto ci sembra di essere completamente dispersi. Invece poco dopo a uno a uno ci ritroviamo tutti, ma siamo costretti a riprendere la marcia in una fitta calca, perchè la polizia si sta disponendo in assetto da guerra alle nostre spalle. Siamo contenti di essere di nuovo uniti, e non sappiamo ancora che sta cominciando la nostra piccola discesa nel Maelstorm.
Forse la polizia cerca sparuti gruppi di “Black Block”; il fatto è che invece ce l’ha con noi, carica indiscriminatamente tutta la folla. Vediamo così in azione gli attori dello show: i poliziotti, schierati armati fino ai denti da un lato, e i “teppisti”, sporchi e cattivi, che in verità sono pochissimi e sostanzialmente non fanno altro che insultare. Però a pochi metri ci sono migliaia di persone pacifiche, o meglio che all’inizio erano pacifiche, ma si stanno comprensibilmente alterando.
Le “tute nere” si muovono a gruppetti di 3-5 persone; scelgono un obiettivo e lo distruggevano metodicamente, sotto gli occhi degli agenti, senza che la polizia mostri alcun desiderio di intervenire. Questi gruppetti, come poi ci renderemo conto, si spostavano per la città tranquillamente indisturbati, li abbiamo incontrati anche in seguito lungo le strade deserte e anche ai lati del corteo. L’impressione era che non ci fosse nessun serio tentativo di arrestare questi gruppi, le forze dell’ordine si tenevano sempre a distanza. Il comportamento della polizia cambia, però, quando i rivoltosi si trovano in prossimità della manifestazione.
Cinque tute nere provocano i poliziotti alla nostra sinistra, in via Pisacane. I poliziotti li caricano, e i rivoltosi scompaiono subito entrando nel corteo. Ma la polizia continua la sua carica contro tutti i manifestanti, lanciando lacrimogeni direttamente in mezzo alla folla. Vicino a noi ci sono gruppi sindacali, famiglie con bambini e bambine. Un signore crolla a terra in preda alle convulsioni – è un possibile effetto dei gas.
Anche il gruppo nazionale della Rete Lilliput sarà caricato in pieno dalla polizia, quasi tutti i suoi manifestanti si disperdono. Solo un ragazzo non scappa, ma alza le mani gridando “Siamo non violenti!”. Un poliziotto si avvicina, freddamente solleva il manganello e gli spacca la testa, un colpo proibito dai manuali della polizia.
Mi ricordo che avevamo tanti slogan nel primo pomeriggio, e invece adesso i gruppi di tutto il corteo scandiscono insieme una sola parola, “assassini”, rivolti verso gli agenti.
In questo incrocio di via Casaregis, la violenza della polizia provoca una reazione di parte del corteo. C’è sempre una parte di manifestanti preparata ad alzare barricate, di solito sono i ragazzi dei centri sociali che notoriamente perseguono la “difesa attiva”. Formano un gruppo immediatamente alle nostre spalle, bloccano la strada alla polizia riparandosi dietro cassonetti e si preparano alla sassaiola. I lacrimogeni della polizia però hanno ormai reso l’aria irrespirabile per tutti. I genovesi sono costretti a chiudere ermeticamente le finestre, eppure qualche persona eroica apre le imposte e innaffia la folla con le pompe, ci aiuta a lavarci dalle sostanze caustiche. Ma in una folla compatta non si può fuggire ai gas, e noi non abbiamo maschere contro gli aggressivi chimici che ci torturano, né protezioni contro i manganelli dei poliziotti che ci corrono incontro. Dobbiamo allontanarci: chiediamo informazioni, su che via prendere, i genovesi ci aiutano, così lasciamo il corteo per una strada laterale. Il governo ci ha fatto capire cosa dobbiamo farcene del nostro diritto a manifestare. Ma siamo decisi a ritornare nel corteo il prima possibile, e infatti lo ritroveremo alla fine, dopo una lunga fuga per le vie della città.
Alla sera perà abbiamo ricevuto la notizia peggiore: il pestaggio selvaggio dei ragazzi che dormivano nella scuola G. Pascoli. Si sapeva che i Black Block utilizzavano alcuni luoghi a disposizione dei manifestanti, il problema delle infiltrazioni e delle armi era stato segnalato direttamente da Agnoletto alle forze dell’ordine. E le forze dell’ordine hanno dato, a modo loro, una risposta paradossale e brutale. A mezzanotte del 21 fanno irruzione sfondando la porta, nei locali e nella sede di coordinamento del Genoa Social Forum. Effettuano ciò che beffardamente chiamano “operazione di bonifica”. Aggrediscono i giornalisti, sfasciano i computers e le attrezzature, mostrando particolare astio verso hard disk e videocassette. Ma l’azione infame avviene nel palazzo adiacente: gli avvocati e i parlamentari vengono tenuti fuori con la forza – il che è scopertamente illegale poichè gli avvocati dovrebbero assistere alla perquisizione – perchè non devono esserci testimoni. Il rumore dell’elicottero cerca di coprire le urla, mentre all’interno i ragazzi e le ragazze vengono pestati selvaggiamente. Qualcuno tenterà di difendersi con le mani, uno anche con un coltello, ma perloppiù non ne hanno il tempo perchè vengono massacrati mentre sono ancora nei sacchi a pelo, e tutti i poliziotti ne escono illesi. Fuori gli avvocati e i parlamentari urlano e chiedono di entrare, ragazzi e ragazze vengono trascinati fuori coperti di sangue. Queste e altre immagini del 21 luglio sono la vergogna nazionale; a Berlino i manifestanti circondano la nostra ambasciata e insultano l’Italia, e fanno bene.
Di professionisti della guerriglia, in quella scuola, probabilmente non ce n’erano: a quell’ora c’erano invece ragazzi più giovani, gli studenti dei centri sociali che si preparavano ad andare a dormire. Persone normali, mai imputate di nulla. E potevano esserci i miei amici là dentro, quanti di noi avevano cercato un posto per dormire a Genova, tra venerdì e sabato avevano passato tante ore in quella scuola. Il mio sentimento è un’ira funesta. Una ragazza che conosciamo non è tornata con il suo pullmann, sua madre non ha notizie di lei da sabato sera: teme che a quell’ora si trovasse nella scuola, ma nessuno comunica la lista dei fermati, nemmeno gli avvocati lo sanno.
All’indomani di questa a azione punitiva di tipo squadrista, mi restano in mente le parole del governo che dice “non c’è distinzione” tra il Social Forum e le frange violente, ci definisce tutti i contestatori collusi con i criminali. La polizia mostra in televisione le “armi improprie” trovate nel camion parcheggiato sotto la scuola. Siete tutti uguali e abbiamo fatto bene a picchiare chiunque di voi, dovevate starvene a casa, comandiamo noi ! questo il rozzo messaggio di stile “cileno”.
Il sospetto che ci fosse un piano orchestrato per delegittimarci, strumentalizzando cinicamente la violenza e i disordini, ovviamente è quasi una certezza. Dopo tutto ciò che ho visto, osservo: prima pensavo soprattutto a comunicare i contenuti delle nostre ragioni manifestazione, ora mi accorgo che dopo questa giornata i toni e i contenuti della nostra protesta sono cambiati. Ora la nostra è anche una denuncia contro la violenza istituzionale dell’autorità che si proclama ufficialmente “democratica”, ma che di fatto usa metodi al di fuori della costituzione. E’ una nuova frattura nella societò civile, c’è un nuovo un clima di sfiducia che ci divide oggi dalle forze dell’ordine e oggi sentiamo scricchiolare il tessuto democratico.
Il comportamento della polizia italiana è stato la vergogna maggiore per il nostro paese. Oggi però sappiamo che il governo italiano usa non solo l’arma dell’intimidazione violenta, ma anche della menzogna e – secondo decine di testimonianze agli avvocati del Genoa Social Forum – della tortura. Tra il governo e il popolo dei contestatori pacifici, i rapporti non avrebbero potuto prendere una piega peggiore. Gli stati più potenti del mondo hanno dimostrato, prima di ogni altra cosa, di avere paura al punto di abbandonare lo stato di diritto. Quindi è proprio la loro “democraticità” che oggi tende a divenire l’oggetto delle nostre accuse.
Avvertiamo governi che non riusciranno a isolare un movimento mondiale di queste dimensioni. Al contrario, il fatto che non abbiamo armi non significa che siamo una sfilata folcloristica. La nostra risposta sarà massiccia, la nostra politica diventerà più dura, internazionale e organizzata.
Teatro di strada con sorpresa
Scende l’agente in borghese con occhiali scuri, guanti di pelle nera e un manganello in mano e senza qualificarsi, con toni e gesti invadenti, urla: “Se volete far casino andate a Genova così vi facciamo quello che i vostri amici stanno facendo ai miei colleghi”.
Il Gruppo di Teatro
Camogli.
Venerdi 20 luglio 2001 (dalle ore 15 circa in avanti).
Sole in spiaggia e una folla di bagnanti.
Siamo un gruppo di teatranti di Milano che ha creato una performance centrata sui temi anti-G8 con l’intenzione di sensibilizzare coloro che, ignorando ciò che accade a pochi chilometri, trascorrono la giornata al mare.
Utilizziamo una parte della spiaggia pubblica per mettere in scena lo spettacolo.
Subito il pubblico tutto, compresi gli inquilini dei palazzi sul lungomare, sembra essere molto partecipe ed interessato.
L’obiettivo dello spettacolo è quello di coinvolgere in modo ironico e giocoso la gente, cercando di attirare l’attenzione sul tema della globalizzazione attraverso espressioni corporee e verbali.
Poco prima della conclusione due guardie della marina ci interrompono con un atteggiamento, a nostro avviso, garbato, presentando il rischio di ricorrere a un verbale per disturbo alla quiete pubblica qualora avessimo continuato.
Disturbo alla quiete pubblica?!
Venerdi pomeriggio. In spiaggia.
Bambini che schiamazzano. Onde che si infrangono.
Quale occasione per noi migliore poteva presentarsi se non quella in cui le forze del (dis)ordine proibiscono la libertà di espressione?
Gli spettatori allibiti dimostrano la loro disapprovazione attraverso fischi ed implorazioni, espressione di solidarietà questa che ha rafforzato il nostro sconcerto.
Dovendo per necessità smettere, accogliamo comunque gli applausi calorosi del pubblico.
Decidiamo di lasciare Camogli e mentre parte dei presenti si avvicina per chiederci informazioni sul G8, alcuni di noi sono giò in strada e non fanno in tempo a decidere sul da farsi che arrivano di gran fretta due auto dei carabinieri e una probabilmente della digos vuote (esclusi autisti) con lampeggianti accesi.
Si fermano davanti a noi.
Scende l’agente in borghese con occhiali scuri, guanti di pelle nera e un manganello in mano e senza qualificarsi, con toni e gesti invadenti, urla.
Lui : Se volete far casino andate a Genova cosù vi facciamo quello che i vostri amici stanno facendo ai miei colleghi
Noi :
Lui (agitando il manganello) : Se ci richiamano vi spacco la testa e voi siete morti, siete morti, intesi?
Noi :
Lui (indicando uno di noi con la barba e capelli lunghi) : Sei tu il boss, vero?!
Noi : Nel nostro gruppo non esiste nessun boss
Il nostro senso di impotenza.
La nostra rabbia.
La sua infamia.
Partiamo alla volta di Genova: ciò che purtroppo accade attorno al vertice è già abbastanza noto.
Agenzia n.133 del 2 agosto 2001
La salvezza è un poliziotto che batte in levare
Dedichiamo anche questo numero esclusivamente alle testimonianze da Genova, con la speranza, per i prossimi mesi, di essere sommersi da proposte di azioni concrete così come è avvenuto, in questi giorni, con le storie di Genova.
Intro
di Caterina Amicucci
Sono passate due settimane dalle inquietanti giornate di Genova.
Due settimane intense trascorse nelle piazze, nelle assemblee cittadine, fra la moltitudine di racconti, di piccole e grandi storie di quei giorni che hanno già cambiato qualcosa.
Una voglia irrefrenabile di raccontare, tradurre l’orrore in parole, definirne i confini ed afferrarlo insieme.
In tanti ci siamo ritrovati davanti a pagine bianche da riempire, unico gesto di rifiuto dell’impotenza e dell’incredulità, della rabbia e della solitudine.
Sì, solitudine! Seppur in 300.000 a Genova eravamo profondamente soli perchè dispersi, braccati, terrorizzati, ma anche perchè di fronte a strategie politiche e repressive così ben organizzate e pensate, noi eravamo una massa atomizzata, frantumata disabituata da anni a riflettere su modalità di azione collettiva. E’ vero, Genova apre una nuova fase ma quello che verrà dipende solo da noi, dal nostro impegno quotidiano, dalla capacità di ricostruire e rivitalizzare il tessuto sociale.
Dedichiamo anche questo numero di Agenzia alle testimonianze augurandoci, per i prossimi mesi, di essere sommersi da proposte di azioni concrete così come è avvenuto, in questi giorni, con le storie di Genova.
Buone vacanze resistenti.
Sommario
- La Deposizione
- E’ solo una questione di merendine
- Andare oltre
- Violenza e non violenza
- Non arrendersi
- Vorrei che si smettesse di parlare di violenza, di distruzioni, di attacchi e difese
- La nostra arma sono le idee
- Genova: volontari internazionali in corteo
- Avevate promesso il rispetto delle forze dell’ordine
- Io ero a Genova. Quante menzogne…
- La notte delle tastiere spezzate
- La salvezza è un poliziotto che batte in levare
- Ricostruire ciò che il manganello ha distrutto
- Lettera di Stefano Agnoletto
La Deposizione
di Emanuele
All’attenzione dell’Avvocato Roberto Galli,
All’attenzione di Amnesty International,
All’attenzione del S.C.I. Servizio Civile Internazionale
All’attenzione dell’opinione pubblica internazionale
Procedo ora con l’illustrazione dei fatti avvenuti di cui sono stato testimone diretto.
Genova, 21 Luglio 2001, h. 15.00 Ca
Corso Italia angolo Via Piave, sul cui fondo è una massiccia postazione di forze dell’ordine in tenuta anti-sommossa. Per ora sono lontani. Sembrano minacciosi.
Su di noi, in cielo, assordante è un elicottero dei carabinieri.
Il corteo è pacifico: siamo fermi sotto il sole estivo e nell’attesa (attesa di che? Della violenza? Di capire che cosa succede?), mi riposo vicino a bancarelle coperte da tettoie, presumibilmente là si vendono libri. Sono con un amico ed accanto a me si avvicina un uomo dal bel sorriso, dentoni larghi, pelle scura dal tanto sole, spinge una bicicletta. Lui con quella bicicletta è arrivato da Napoli, è pacifista, aborrisce la violenza. Insieme guardiamo le forze dell’ordine che stanno avanzando verso di noi. Ingiustificatamente. Sulla nostra sinistra parte del corteo che è stato spezzato. Sono tutti fermi. Sono tutti inermi. C’è chi chiacchiera, c’è chi cerca un poco d’ombra. Alcune mamme inglesi, vecchie e romantiche fricchettone con i loro bimbi, mi chiedono come sia possibile raggiungere la spiaggia che è alle nostre spalle. “Non lo so” rispondo. Ho paura. Dinnanzi a noi, assordanti e minacciosi i manganelli sugli scudi, le forze dell’ordine avanzano. Alla nostra sinistra una massa di gente è tenuta là ferma e non capisco il perchè. Il corteo avrebbe dovuto continuare lungo la propria strada. Siamo in tre: il vecchio pacifista, un amico ed io. A pochi metri di fronte a noi un cordone (umano?) armato fino ai denti e minaccioso. Volano pietre e bottiglie: due o tre minuti in tutto.
Sono pacifico e disarmato, come tutti gli altri. A noi si avvicina un giovane che aveva lanciato un paio di sassi. Il vecchio lo blocca, lo supplica di fermarsi. “Fate il loro gioco”ammonisce. Non vedo il volto del giovane: casco in testa e bandana sul volto. Per un attimo si scopre: chiacchiera con noi senza timore. Mi sembra di capire che non gli piacesse porgere l’altra guancia: uno schiaffo basta e avanza. Di lui ricordo che studiava filosofia e che era toscano. Di Kant e Weber abbiamo parlato per pochi attimi. Filosofi in tempo di guerra. “Siamo chiusi, Cristo, siamo fottuti” gridano i miei pensieri. Ho perso sia l’amico che il vecchio pacifista, mentre il muro nero si stava muovendo minaccioso verso la coda di ciò che rimaneva del corteo. Arrivavano alle nostre spalle. Chiusi a tappo, circondati, bloccati, inermi, non violenti. Ogni altra parola è inutile. La carica è incominciata.
In una qualsiasi altra giornata Genova mi sarebbe sembrata splendida: ora, fra urla, terrore, paura, solo lacrimogeni. Ingiustificati. Nulla lasciava presagire così tanta violenza. Vedo poco in quel momento, tossisco, alzo la maglietta blu che indosso e mi copro il volto; gli occhi non smettono di lacrimare. Un manganello mi colpisce nelle gambe e sulla schiena. Sono immerso in una marea di gente atterrita che cerca di scappare in un’unica direzione: verso il mare. Ed ancora: lacrimogeni dal cielo vengono esplosi da un personaggio tutore dell’ordine che vola a bassa quota. Questo sì, lo ho visto benissimo. L’unico modo per respirare era volgere lo sguardo al cielo, dato che da terra arrivavano i fumi intossicanti dei gas lacrimogeni. Ed è ancora paura. Poteva essere, ed è stata, una tragedia. A migliaia i manifestanti si arrampicano lungo una scarpata protetta da una rete che si affaccia su Corso Italia. Ovunque fumo di lacrimogeni. La scarpata è ripida, la rete è stata interrotta in un solo punto quando passo io, la gente grida ma non corre, non può. E’ troppa rispetto allo spazio in cui si trova. I corpi sono schiacciati l’uno sull’altro. Non vi sono altre vie di fuga se non un buco di mezzo metro in una rete metallica su di un dirupo che protegge i Giardini Govi, a ridosso del mare. Sono salvo. Sono sulla cima. Accanto a me una ragazza asmatica convulsa a terra. A centinaia sono i manifestanti che vedo rifugiarsi. Disperati, disarmati, doloranti, pacifisti, donne, uomini, bambini, vecchi, giovani. Molte sono le lingue diverse che sento parlare ma solo una è la parola che echeggia: assassini.
Siamo completamente circondati. Dal mare lance di carabinieri e polizia. Dal cielo violenza dagli elicotteri. Dalla strada un autoblindo, come in Vietnam, e centinaia di tutori dell’ordine. Sono salvo e non ferito. C’è chi non ce la ha fatta. Ambulanze, feriti, sbirri manganellano con gratuità chi è rimasto solo in mezzo alla strada e poi, inesorabilmente, li caricano sui cellulari e li fanno sparire. Anche questo lo vedo benissimo. Mi trovo su di un’altura rispetto a Corso Italia, tutto è sotto i nostri occhi alla luce del sole estivo. Sotto gli occhi di tutti. Deseparecidos. Siamo rapiti. Chi cerca di allontanarsi da solo o in piccoli gruppi viene rastrellato e portato via. Tremendo sentimento di impotenza e nullità. Non sono, non siamo, più nessuno. Non posso camminare per la città senza il rischio dell’arresto. Non ho avuto tanto la paura della violenza delle forze dell’ordine, quanto piuttosto della gratuità. Gratuità che corrisponde al non comprendere. Gratuità che disorienta. Gratuità che fa male.
Qualcuno mi dice che sono in corso trattative affinchè ci lascino andare. Come in guerra. Aspettiamo. Ci dicono di non allontanarci né da soli, né in piccoli gruppi. Aspettiamo ancora. Non so più che ora sia, è pomeriggio, il sole è alto in cielo. Odore di morte, rumori di guerra. Sirene, urla doloranti, elicottero. Sangue, sangue, sangue. Sulle panchine di cemento lungo Corso Italia, sull’asfalto. Feriti attorno a me. Commenti disperati. Tutto questo è ciò che ho trovato quando finalmente ci hanno lasciati andare.
Arrivo a Piazzale Kennedy. Ho perso un amico. Sono preoccupato per lui. Potrebbe essergli capitato di tutto. Gratuitamente.
Sotto i tendoni a centinaia i superstiti riposano, mangiano, chiacchierano. Altri dal volto triste, altri feriti, sofferenti. Altri ancora cercano dispersi. Fuori segni di devastazione. Incontro ***, una amica. Le chiedo del mio amico. Anche lei lo conosce. Risposta negativa. “Andiamo a Radio GAP” mi dice, “nella scuola ci sono molti ragazzi che si riposano, forse è là. E di là (nella scuola antistante) ci sono gli avvocati del Genoa Social Forum, un’infermeria, la radio, una lista provvisoria dei dispersi. Lo cerchiamo”.
E’ tardo pomeriggio. Lo capisco per via delle ombre lunghe del sole che cala. Ci incamminiamo. Odore di bruciato. Via Cesare Battisti è vicina a Corso Italia. Una lunga scalinata, un isolato e siamo arrivati.
Tutto è finito. Gli otto Padroni del mondo hanno deciso e se ne sono andati. Così credevo. Non sapevo allora che la notte sarebbe stata più buia che mai.
Genova, 21 luglio ’01, ore 19.00 Ca, Via Cesare Battisti
Con *** siamo giunti presso le strutture scolastiche DIAZ e Pertini, che sono state concesse dall’Amministrazione Pubblica ad uso di dormitorio e sede organizzativa del Genoa Social Forum. Questo fatto mi rassicura. Si tratta di strutture autorizzate e non occupate abusivamente.
Mi incammino sempre in compagnia di *** prioritariamente presso la scuola DIAZ, adibita a dormitorio. Là credevo di poter trovare il mio amico, scomparso durante la carica delle forze dell’ordine durante il pomeriggio. A tale scopo osservo con attenzione ogni angolo dello stabile accessibile, speranzoso di trovarlo. Tale fatto mi permette di affermare con precisione che al momento, né in momenti successivi in cui mi recai presso la scuola DIAZ, vidi materiale pericoloso come in seguito affermato dalle forze dell’ordine per giustificare la violenta incursione notturna. Nulla di tutto ciò era presente in loco. Invece vidi: tre computer con connessione ad Internet. Di questo sono certo per il fatto che nel momento in cui transitavo in zona, una macchina era “inchiodata” (termine tecnico con il quale si designa un computer in fase di stallo e che necessita di essere riattivato). Il giovane che con quel computer lavorava non era in grado di eseguire il “reset” (operazione che consente la riattivazione della macchina in seguito al problema di prima) e mi chiese aiuto. Pochi minuti e il computer era perfettamente funzionante. Dopo ciò il giovane straniero di lingua francese, o almeno con me si esprimeva in tale lingua, mi accompagnava nella zona in cui aveva riposto il proprio zaino da viaggio per mostrarmi alcuni libri che aveva con se. Il suo giaciglio era posto in fondo alla palestra sita al piano terreno dello stabile DIAZ. Per giungervi pertanto abbiamo dovuto attraversare tutto lo spazio che intercorreva fra l’ingresso e l’angolo esterno destro, quello in cui il giovane aveva riposto il proprio bagaglio. Per tale motivo posso affermare con certezza che nessun materiale offensivo era presente nello stabile, né in quel preciso momento, né in seguito, quando tornai a salutare il giovane straniero e consegnarli biscotti che avevo trovato nello stabile Pertini. Con lui in quell’attimo bevvi del vino la cui bottiglia fu aperta con un cavatappi ad uso multiplo tipo “coltellino svizzero”, non offensivo e di uso comune. Altre bottiglie di vino scuro erano presenti, la cui utilità era il dissetare e non l’offendere. Con certezza ho visto: effetti personali (vestiario, spazzolini da denti, dentifricio, scarpe, zaini, sacchi a pelo, etc); giovani e meno giovani coricati all’interno dei rispettivi sacchi a pelo riposare dopo una giornata di per sé massacrante; pentole e generi alimentari. Sul piccolo piazzale antistante l’ingresso della scuola erano giovani dediti alle chiacchiere, molti dei quali non italiani. Tale fatto lo posso confermare avendoli sentiti parlare lingue differenti la nostra. Questi ascoltavano musica, suonavano strumenti musicali, ed alcuni preparavano i bagagli in attesa della partenza dei treni speciali, di lì a poco. Tutto era finito e nulla lasciava presagire un’incursione armata. Non ve ne erano le premesse.
Una cassa amplificata suonava musica, e atteggiamenti violenti non erano manifesti né lo sarebbero stati per tutto il tempo in cui vidi i soggetti muoversi nelle vicinanze della scuola DIAZ, dalle finestre dell’adiacente scuola Pertini. La vicinanza delle due era molta, infatti la visibilità mi permetteva il riconoscimento dei volti. Non erano altresì presenti soggetti indossanti abiti neri, o scuri, tipo “black-block”.
La sequenza temporale dei fatti è la seguente. Gli orari in cui mi mossi fra l’una e l’altra scuola non la posso affermare con certezza, ma si è trattato del periodo di tempo compreso fra le ore 20.30 e le ore 22.00, poco prima dell’incursione armata da parte delle forze dell’ordine. Le notizie che giungevano all’interno della scuola Pertini, in cui attivisti del Genoa Social Forum svolgevano attività di informazione (radio, scritti, internet), assistenza sanitaria, legale tramite gli avvocati allora presenti in sede ed occupati nello stilare e redarre liste di dispersi, arrestati certi, e ospedalizzati, si susseguivano. Un giovane dal volto ferito durante la giornata, e spaventato, mi informava del fatto che la zona era presidiata dalle forze dell’ordine, ma, affacciatomi da una finestra a ridosso di Via Battisti, non vidi nulla. Un’ulteriore notizia mi informava dell’arresto di due giovani tedeschi, che aspettando una pizza in un locale vicino, erano stati rastrellati dalla polizia. La preoccupazione da quel momento in avanti fu molta. Non era raccomandabile lasciare lo stabile, per nessun motivo. Chiesi al giovane dal volto ferito di tranquillizzarsi e cercare di valutare con obiettività la situazione. Ero incredulo sulla possibilità che le forze dell’ordine potessero fare irruzione all’interno di uno degli stabili. Infatti nulla di preoccupante ivi si stava svolgendo. Nella Pertini ognuno svolgeva il proprio compito con tranquillità e attenzione; nella DIAZ i presenti stavano preparando i propri bagagli per la partenza chi aveva deciso ciò, mentre gli altri avevano deciso di rimandarla alla mattina seguente. Nella Pertini, infatti, era presente una lista con i rispettivi orari di partenza dei treni speciali per le rispettive destinazioni. Molti erano coloro i quali venivano a chiederne la conferma.
H. 23.OO Ca. Rumori assordanti arrivarono da Via Battisti. Affacciatomi dalla finestra di cui prima, vidi, come tutti gli altri membri allora presenti in loco, un massiccio schieramento di forze dell’ordine in posizione da attacco, anti-sommossa, e chiaramente volenterosi di fare incursione, posti dinnanzi all’ingresso della scuola DIAZ. Un attimo di silenzio. Di certo non vi sono stati avvisi su di una possibile incursione, come invece sarebbe dovuto essere. Mi riferisco al fatto che le forze dell’ordine sono penetrate nello stabile senza avvertire con megafoni delle loro intenzioni, e senza peraltro intimare l’abbandono dello stabile a chi in quel momento vi era presente. La vicinanza dei due stabili mi permetteva di vedere con chiarezza ogni cosa là fosse svolta. L’unica cosa che non potei vedere erano i volti degli agenti, nascosti dai caschi. Solo violenza. Le finestre della scuola DIAZ sono di grandi dimensioni e sprovviste di tende, pertanto la visibilità era ottima. Ero al secondo piano e, seguendo un asse inclinato, poteri vedere con chiarezza gli atti di violenza che le forze dell’ordine misero in essere alle persone inermi e che non opposero resistenza, al piano primo dello stabile a me di fronte. Con certezza, una giovane in piedi èstata colpita da un agente con il manganello nell’angolo in cui il volto ed il collo formano un angolo retto. Con chiarezza ho visto il corpo della giovane inerme cadere a terra e il braccio violento dell’agente compiere un movimento ripetuto vero il basso, sul corpo supino già violentato. Inutile andare oltre a descrivere le immagini riportate dai giornalisti che nel mentre erano stati avvisati dai membri allora presenti nella scuola Pertini, e che tutti abbiamo visto. La paura era tanta. Barricatici tutti i membri dello stabile Pertini nell’aula in cui era la radio che per tutto il tempo in cui le forze dell’ordine hanno violentemente colpito, continuava a trasmettere, dopo aver cercato di creare una barricata con banchi, cattedre e attaccapanni trovati nelle aule, vidi alcuni membri delle forze dell’ordine penetrare all’interno dello stabile in cui eravamo, dalle finestre sul corridoio esterno. Infatti lo stabile è a forma di quadrilatero. Con certezza ho visto un agente alzare un tombino alla ricerca di non so cosa. Rumori violenti hanno accompagnato il loro ingresso. Sfondate le protezioni artigianali create poc’anzi, e giustificate dalla gratuità della violenza perpetuata ai danni degli ospiti della scuola DIAZ, ho solo affermato “ho paura”. Riposto un orologio, eredità di mio padre, nello zaino che avevo con me, aspettavo di essere picchiato. Al momento dell’incursione, la radio era in diretta. Sono entrati ha gridato il ragazzo al microfono, mentre noi con le braccia in alto in segno di resa urlavamo di essere disarmati. Urla e terrore. Gli agenti attoniti. La radio era in onda e tutto il mondo stava ad ascoltare. La nostra fortuna. Nessuno di noi ha subito in quel preciso istante violenze. Poco dopo l’arrivo di una deputata del partito della Rifondazione Comunista, l’unica a cui è stato acconsentito di penetrare lo stabile, con qualche giornalista straniero entrato di straforo. Nessun mandato ci èstato mostrato, nessuna spiegazione, nulla. Dalla finestra potevamo vedere con chiarezza giornalisti, un Senatore di Rifondazione Comunista strattonato dalle forze dell’ordine perchè chiedeva di penetrare nella scuola DIAZ per accertarsi dell’incolumità di chi ivi fosse presente. Diritto negato con la violenza, come ai legali presenti sul luogo. Tutto il mondo stava vedendo. Solo urla, solo ambulanze con giovani massacrati. Nessuna notizia sul dove fossero condotti. Sgomento. Con chiarezza, per lo stesso motivo di cui prima, potevo vedere un soggetto in borghese, completo scuro, guidare le forze dell’ordine. Egli tutto aveva visto e comandato. Egli entrava ed usciva dalla scuola DIAZ mentre né ai politici, né agli avvocati, né ai giornalisti fu concesso ciò. Pertanto ne concludo che egli tutto sappia. Con certezza lo vidi accendere una sigaretta sul piazzale, entrare ed uscire ripetutamente. Altresì vidi un soggetto, anch’egli in borghese ma con il tricolore sulle spalle, giungere in Via Battisti. Per un attimo pensai che si trattasse o del Prefetto o del Sindaco del Comune di Genova, dovendo questi indossare il tricolore in qualità di pubblici ufficiali. Anche tale soggetto pertanto era a conoscenza dell’accaduto, avendolo visto discorrere con l’uomo misterioso in “nero” di cui prima. Poco dopo la ritirata delle forze dell’ordine. Poche parole ancora. Entrammo nella scuola DIAZ e fu solo sgomento. Sangue ovunque. Particolarmente impressionato fui da denti rinvenuti in una pozza di sangue, congetturalmente all’altezza in cui vidi il corpo della giovane rovinare sotto i colpi dell’agente. Tessuti molli, simili a tessuti di orecchio, poco vicino. Non sono un patologo pertanto, previe dichiarazioni mendaci, affermo solo che si è trattato di immagini orribili. Corsi per tutta la scuola alla ricerca di superstiti. Nessuno. Negli scantinati una pozza di sangue, una gonnellina bianca, una maglietta a fiori e un ombrellino pieghevole. Ancora una volta solo una congettura nei miei pensieri. Ancora una volta ho paura dei miei pensieri. Spero non le sia capitato ciò che immagino. Nessuno dei computer era integro. Tutti distrutti, monitor compresi. Tutto distrutto.
Immediata un’indiscrezione: il Prefetto, si diceva, aveva affermato che il sangue presente era frutto di ferite subite dagli ospiti nei giorni precedenti l’incursione, feriti che per altro non si erano recati per le adeguate medicazioni. Falsità. Il sangue caldo non lo si può dimenticare. I denti strappati non li si può dimenticare. I tessuti corporei strappati non li si può dimenticare. Per una volta sono grato ai giornalisti della ricca documentazione fotografica.
Se le parole servono a descrivere il reale e a ridurne la complessità, questa volta di parole non ne ho più.
Contro ogni classismo, contro ogni sessismo, contro ogni razzismo.
Emanuele Achino
E’ solo una questione di merendine
di Stefania (Roma)
Decidere di andare a Genova. Una decisione difficile, ma presa. La costruzione, per settimane, di un pensiero chiaro e condiviso, di un�azione di gruppo. Spiegare a mia figlia di quattro anni perch� vado a Genova: le faccio l�esempio di una iniqua ed arbitraria distribuzione di merendine. Lei ha capito.
Sono partita con ancora addosso un po� di paura, ma tranquilla. La grande manifestazione dei migrantes ha aggiunto gioia ed allegria all�incontro di lotta. Ha quasi addormentato la paura.
Poi inizia l�incubo. Le cariche gratuite della polizia venerd� mattina mentre ballavamo in una piazza. I black, comoda scusa per cariche insensate, sarebbero arrivati solo qualche ora dopo.
Fumo di lacrimogeni e faccia bagnata dalle lacrime. Grazie ad Adli per il suggerimento delle cipolle: niente come le cipolle contro i lacrimogeni.
Nonostante le cariche ingiustificate, le fughe, i vani tentativi di muoversi per la citt�, la fatica di coordinare anche un gruppo di Pink nel tentativo di raggiungere Piazzale Kennedy, un incontro ravvicinato con i black bloc, nonostante questo, venerd� fino al primo pomeriggio la situazione non � insopportabile.
Poi la notizia dell�uccisione di un ragazzo, le cariche sempre pi� spesse e pi� vicine. La paura che aumenta (anche se l� per l� non te ne accorgi). Si fa sempre pi� chiaro il quadro sui black bloc e su come vengano utilizzati dalla polizia. Siamo sperduti, increduli, incazzati. Stanchi.
Dopo estenuanti tentativi e lunghe pause riusciamo a raggiungere piazzale Kennedy. Gli elicotteri continuano a girare sulle nostre teste. Fuoco appiccato al palazzo l� fuori. Come sar� domani? Dovremo contare ancora morti?
L�incubo l�indomani � ancora pi� insopportabile. Schiacciati verso la fine del corteo, caricati su due fronti, sul terzo c�� il mare, decidiamo di avventurarci per le stradine verso il centro. Non riusciamo a raggiungere nessun�altra parte di corteo. In compenso vediamo diverse persone ferite. Hanno lanciato lacrimogeni dall�alto, dai palazzi o dagli elicotteri. Hanno picchiato di brutto. La paura di incontrare black bloc in fuga e la paura di trovare dietro l�angolo poliziotti in vena di usare il manganello. Alla fine raggiungiamo la piazza dove finiva la manifestazione. Per sgombrare gli ultimi arrivati la polizia pensa bene di lanciare qualche altro lacrimogeno.
La puzza � arrivata ai polmoni.
Distrutti, riusciamo alla fine a partire.
Stazione Termini. Domenica. Ore 7.15. Silenzio, fresco. Ho lasciato il gruppo. Sola, vorrei buttarmi per terra e piangere. Non ci riesco. L�incubo prende le sue forme. Compro i giornali e leggo dell�assalto notturno alla scuola Diaz. Penso alle persone che ho incontrato l�. Capisco le motivazione del blitz. Schifo, rabbia, impotenza. Finalmente piango, da sola, seduta per terra alla stazione termini.
Sto per tornare dai miei figli. Come glielo spiego quello che � successo? Che di distribuzione di merendine in quei fottutissimi tre giorni non abbiamo avuto modo di parlare? Che trovo insopportabile il silenzio di questa stazione? Che quando sento l�elicottero che vola sulla spiaggia ho l�istinto di fuggire o di buttarlo gi�? Che mentre loro erano al mare, la storia ha voltato pagina e forse � tornata indietro?
Andare oltre
di Sylvia (Modena)
Sono stata a Genova da giovedì sera fino a domenica mattina e oggi mi sento troppo male per poter tranquillamente riprendere il lavoro e la vita quotidiana. Mi sento sconvolta quando leggo sui giornali che altri che hanno manifestato come me sono stati torturati dalla polizia con calci, schiaffi e con una violenza psicologica inaudita. Basta citare dei quotidiani come la Repubblica del 25 luglio �01 pagina 4: “Molte ragazze sono state minacciate di stupro” , “All’arrivo (nel carcere di Alessandria) siamo stati tutti picchiati e manganellati come “di prassi” “�.. sentire queste cose dovrebbe farci riflettere TUTTI perch� un giorno potrebbe toccare a noi o a qualsiasi persona che ha avuto la “sfacciataggine” di manifestare o di esprimere la propria opinione come cittadino/a di un paese cosiddetto democratico.
Ho partecipato al corteo di sabato con il mio gruppo di affinit� della Rete di Lilliput solo che a un certo punto sono stata male e ho dovuto uscire dal corteo. Sono stata accolta in casa di una famiglia genovese dove sono rimasta per alcune ore visto che fuori stava iniziando una guerrilla urbana. Penso di essere stata molto fortunata perch� se avessi dovuto contare sul “aiuto” della polizia sarebbe stato meglio scappare.
La polizia non ha assolutamente fatto niente per proteggere i manifestanti dal cosiddetto Black Block che tra l’altro ha dei siti in rete (www.infoshop.org) dove si distanzia da qualsiasi vandalismo gratuito contro persone o macchine private. Mi chiedo come mai non sono state bloccate gruppetti di delinquenti che giravano tranquillamente per il centro di Genova e sapevano perfettamente muoversi nel labirinto della citt� vecchia? Mentre noi eravamo continuamente in fuga o da questi o dalle cariche violenti della polizia.
Spero veramente che la gente non continui la propria routine come se niente fosse. Bisogna che apriamo gli occhi e ci rendiamo conto che sono stati violati dei diritti cittadini e umani fondamentali.
(Quando luned� ho cercato di coinvolgere una Associazione di Modena che stava organizzando una serata di concerto di fare un appello per il sit in di marted� mi hanno risposto che non si poteva fare perch� si trattava di una affermazione politica. Devo dire che non sono d’accordo perch� si tratta invece di diritti violati che ci toccano tutti e tutte a prescindere dalle nostre convinzioni politiche o di partito.)
Spero che ci siano spazi per riflettere insieme e andare oltre. Intendo che la cosa pi� importante � coinvolgere pi� persone e fare luce su tutto per far s� che non possano pi� succedere eventi come quelli di questi ultimi giorni.
E soprattutto pensare modi diversi per affrontare le situazioni�.. penso per esempio a una mia amica che mi ha raccontato che a Belgrado tanti manifestanti mettevano dei fiori sui poliziotti!
Violenza e Non violenza
di Arianna (Pisa)
In questi giorni non si � fatto altro che parlare delle giornate di Genova e la tensione e’ rimasta alta…volevo sapere se i vols dello sci stanno tutti bene e a casa, spero che quelli che mi hanno visto li’ mi rispondano. Io non ho partecipato agli scontri e non li ho neanche visti per mia fortuna, ma so di gente di Pisa ferita alla testa dai lacrimogeni. le considerazioni che mi vengono da fare sono tante, forse la pi� importante per me � che non bisogna rompere il movimento per differenze di vedute o di prassi, ma semmai dialogare con i violenti e soprattutto evitare qualsiasi forma di intolleranza e di esclusione che acutizzerebbe soltanto le loro ragioni, ragioni che spesso condivido, pur rimanendo nonviolenta.
Spero di aprire un dibattito, o di entrare in quello gi� famoso ed esistente nello sci sul conflitto e sulla violenza/nonviolenza.
Non arrendersi
di Olga (Roma)
Ci� che � accaduto a Genova in questi giorni � episodi di cui siamo stati sicuramente protagonisti per la nostra presenza, ma soprattutto �spettatori per caso� � mi spinge non a riportare ci� che ho visto, bens� ci� che ho provato:
la sensazione che si prova dinanzi ad un bimbo che muove i primi passi e che, abbandonato il girello, casca e si fa male; la consapevolezza che se ci fosse stato un �adulto� ad accompagnarlo per mano gli avrebbe forse evitato tanto dolore; la certezza che, caparbio, quel bimbo si rialzer� per non barcollare mai pi�.
Il �bimbo�, lo capite, � questo movimento la cui COESIONE � nata in questi giorni e �l�adulto� che gli ha negato la mano, sono quei partiti con �esperienza di piazze� che avrebbero potuto evitargli qualche ingenuit�, causa di tanto dolore.
Le affollate citt� d�Italia, ieri, ci hanno fatto capire che il movimento � caparbio e che ce la far�.
Io mi RIVOLGO a quanti possono dare una mano, umilmente, e senza l�arroganza che proviene da una passata militanza;
Io mi RIVOLGO a quanti hanno solo pensato di esserci, ma alla fine hanno rinunciato sottovalutando la forza dei numeri!
Ai primi dico: �scendete di nuovo in campo, prendete la Vostra �esperienza� da troppi anni appesa ad un chiodo come le Vostre scarpette di calcio!
Ai secondi dico: non delegate pi� ad altri, assolvendoVi perch� ��..sono gi� tanti!� Uno in pi� � una forza incredibile!
Non trovate giustificazioni apparentemente valide per dissociarVi: si trovano sempre tante cose da �criticare� in ogni movimento, ma come potr� esso migliorare e crescere senza il confronto con altre idee se Voi scegliete di stare alla finestra?
E allora i 100.000 di Milano, i 50.000 di Roma, i 20.000 di Bologna, sono POCHI!!
Non � obsoleta la frase �Il popolo unito, mai sar� vinto!�.
Provate a pensare cosa potranno mai fare di fronte ad una moltitudine sproporzionata di gente: Nulla, se non arrendersi!
Aspettiamo anche te la prossima volta
Vorrei che si smettesse di parlare di violenza, di distruzioni, di attacchi e difese
di Roberto (Milano)
Vorrei che finalmente si iniziasse a parlare di perch� 200.000 ( e forse +) persone si sono mosse per contestare il G8. In TV o sui giornali a quanti manifestanti � stato chiesto da venerd� in avanti? Era chiaro che si voleva che finisse cos� per oscurare messaggi che possono essere + “pericolosi” alla lunga, quali contestare un sistema economico in cui il 20% della popolazione mondiale detiene l’80% della ricchezza, in cui 8 persone si riuniscono e decidono (per conto delle grandi imprese transnazionali) per tutto il mondo, in cui l’attivit� prevalente dei cosiddetti mercati finanziari � la speculazione a breve termine sulle valute che porta gli stati pi� poveri alla bancarotta e i loro popoli alla miseria. Questi grandi potenti si fanno belli di fronte all’opinione pubblica distribuendo le briciole della loro ricchezza. Gi� l’anno scorso su pressione del movimento Jubelee 2000 era stata promessa la cancellazione del debito pubblico per 20 fra gli stati + indebitati. Ad oggi solo a 11 di essi � stata accordata. Agli altri sono state proposte condizioni inaccettabili. Probabilmente vi starete chiedendo: e io concretamente che ci posso fare? La domanda � legittima. Essere informati prima di tutto.
Visitare una bottega del commercio equo e solidale (www.altromercato.it) . Acquistarne i prodotti (la qualit� fra l’altro � spesso eccelsa). Ai produttori nel sud del mondo va una percentuale significativa del prezzo di vendita e sono tutelate le garanzie dei lavoratori. Aprire un conto bancario presso la Banca Popolare Etica (www.bancaetica.com), rinunciando al massimo guadagno, ma avendo la garanzia che i soldi raccolti vengano investiti in progetti a fini sociali e non in attivit� speculative che portano un sacco di introiti alla banche e qualche frazione di interesse in pi� a noi…
Utopia? No, reale come le migliaia di persone al mondo che ogni giorno muoiono di fame o malattie facilmente curabili. Reale come il morto (forse dovrei dire morti, non si sa niente di un’altra persona che � stata colpita)
di Genova. Gi�, perch� a Genova c’� scappato il morto. Venerd� mi � venuto in mente uno dei film della serie di Peppone e Don Camillo in cui un gruppo di giovani parte in vespa per una manifestazione nel capoluogo. Alla sera c’� una vespa in meno che ritorna…. Ecco, io ed il ragazzo ucciso, per quanto distanti anni luce nelle forme di protesta, � un po’ come se avessimo fatto il viaggio assieme. Quel ragazzo non � morto venerd� perch� gli ha sparato un altro ragazzo con la divisa da carabiniere. E’ stato ucciso in precedenza da chi (politici, giornalisti, persone comuni) ha voluto accentuare lo scontro, da chi ha reclamato violenza.
Gli episodi di efferata violenza da parte di forze dell’ordine (quale ordine?), del famigerato black block (ma chi sono veramente?) ed altri ci sono stati. Io non ne sono stato testimone diretto, ma in allegato potete trovare un paio di testimonianze significative.
Ribadisco per� il concetto iniziale: parliamone, incazziamoci, reclamiamo giustizia, ma contemporaneamente proseguiamo il viaggio che ci ha portato a Genova.
Baci a chi mi d� baci
Carezze a chi mi d� carezze
Abbracci a chi mi d� abbracci
Aqu� estamos
La nostra arma sono le idee
di Neria (Milano)
Non sappiamo come sfogare la nostra rabbia, ci ritroviamo, scendiamo nelle piazze, abbiamo gli occhi perennemente colmi di lacrime, le botte, i soprusi sono dentro di noi. Rivediamo le strade incendiate, strade in cui è evidente il segno di un’aggressione, scarpe sparpagliate a terra. Cosa sta succedendo? Dove siamo?
Anche chi come noi che, per pura casualità non è stata direttamente coinvolta negli scontri, si sente come scarnificato picchiato, violato. Violato nel proprio senso di democrazia e pacifismo. Anch’io mi sento un buco in fronte, mi sento lo stesso buco in fronte di Carlo morto per caso come poteva accadere a qualsiasi di noi che era a Genova.
Sono contenta di non essermi ritrovata sola al mio ritorno a Milano quando siamo scesi dal treno siamo stati accolti dagli applausi di chi è venuto ad accogliere i sopravvissuti di Genova, sono contenta che ci sia stata una reazione forte e di solidarietà in questa Milano di destra. Eravamo 15.000 domenica, 30.000 lunedì, 120.000 martedì non ci siamo fatti intimorire, la gente è scesa nelle piazze malgrado la paura. Questa è una vittoria, abbiamo dimostrato che non è la forza delle armi che ci può rinchiudere, che ci può tappare la bocca. Vogliamo essere in tanti armati di idee e la forza di essere in tanti per continuare a difendere il nostro diritto di lottare per la democrazia e contro i soprusi di questa economia, che rende schiavo il mondo.
Qualcun altro in questo momento deve avere paura di noi : movimento contro la globalizzazione.
Genova: volontari internazionali in corteo
di Franco
Coordinavo presso Genova tre campi, nelle date del G8. La nostra esperienza al corteo di sabato, nel terzo troncone e vicini ai neri, dai quali ci siamo progressivamente e prudentemente distaccati (avevo promesso si volontari dei campi una partecipazione pacifica e “sicura” e sostanzialmente, salvo le lacrime artificiali di alcuni, lo � stata), � risultata diversa da gruppetto a gruppetto ma complessivamente non aggiunge niente alle esperienze ben rappresentate in Agenzia 132.
Anche le nostre riflessioni non sono state molto diverse, nella loro variegata molteplicit�, da quelle espresse. Concordano nella testimonianza di una strategia della polizia (carabinieri, polizia, guardia di finanza!, corpo forestale!!???) troppo assurda per essere casuale, diretta secondo me certamente e con successo mediatico ad una valutazione del GSF nonch� pure ad un suo screditamento politico. Mi astengo qui da ulteriori commenti. Nel campo dell’Alta Valle Scrivia si � avuta la partecipazione dei contadini e la presenza del baffuto e riconoscibilissimo Bouvet (ma io ho potuto parlare solo con il capo degli agricoltori baschi, presente pi� sere). Infine cito una prossimit� occasionale quanto drammatica agli eventi del venerd�.
Simona, una dei quattro agricoltori che aiutavamo, era amica di “Carletto”, il ragazzo ucciso, che conosceva da tanti anni. La sorella lo era ancora di pi� e pi� vicina a lui nel periodo recente, lo aveva visto la stessa mattina della tragedia, raccomandandogli di non andare coi neri, inutilmente. Due o tre ore dopo era morto e Simona ne era rimasta scioccata e inconsolabile per giorni.
Per dire infine che tutto questo vivevamo da una distanza di pochi chilometri e di pochi minuti da Genova ma in una dimensione ambientale cos� radicalmemte diversa, nei paesini disabitati dove ci trovavamo e vivevamo in modo assai primitivo, che accentuava il senso di straneamento dalle cose e dalla realt�, di assurdit� dei suoi connotati, che i fatti di Genova, per un certo verso, hanno comunque indotto in molti di noi.
Le testimonianze seguenti non ci sono state inviate direttamente da volontari SCI, ma sono arrivate tramite altre fonti. Alcune di esse stanno girando nella rete, altre sono commenti di iscritti alla mailing list.
Avevate promesso il rispetto delle forze dell’ordine
di Tommaso
Avevate promesso di manifestare in modo ordinato se le autorità vi avessero lasciati liberi di manifestare il vostro dissenso.
Avevate promesso di emarginare le frange violente che si fossero presentate a Genova.
Avevate promesso il rispetto delle forze dell’ordine.
Alla resa dei conti abbiamo che non c’è stato nessun ordine ma al contrario c’è stato un “disordine mortale” e addirittura che le forze dell’ordine sono state aggredite ingiustamente mentre facevano il loro dovere, non avevano scelta come invece l’aveva coloro che tiravano pietre e sfasciavano tutto quello che trovavano. Inoltre oggi si viene a sapere, dopo le irruzioni nella vostra sede che li facevate dormire con voi e li rifornivate di materiale, quindi c’era tra voi e i Black Blocks una sorta di connivenza.
Penso che non ci siano parole per descrivere la faccia tosta che avete dimostrato e che hanno dimostrato di avere i vostri ridicoli portavoce. Vorrei chiedere al sig. Agnoletto se è a conoscenza del nome di colui che ha permesso che tutto quel materiale pericoloso, poi utile per aggredire le forze di polizia, entrasse nella vostra sede di Genova. Oppure se è giustoche il diritto a manifestare venga espresso distruggendo una città intera e gettando nella precarietà migliaia di famiglie la cui unica colpa è quella di abitare in quella zona o di avere li parcheggiata la macchina. Ovviamente da parte mia c’è dispiacere che un ragazzo addirittura più giovane di me sia stato ucciso, ma ricordiamo, evitando facili strumentalizzazioni come sono soliti fare gli uomini della sinistra e soprattutto gli elementi del “popolo di Seattle”, che Carlo Giuliani non è stato ucciso mentre esercitava liberamente il suo diritto a manifestare pacificamente contro il G8 ma è caduto mentre tentava di infierire su un carabiniere ferito alla testa e al ginocchio, insieme ad altri teppisti che stavano sfasciando l’automobile su cui il carabiniere era intrappolato. Si sta parlando di un giovane di 20 anni ferito e terrorizzato che spara alla cieca per difendersi da un’aggressione il cui comportamento magari non capisce nemmeno. Perchè ricordo che coloro che hanno distrutto Genova avevano la possibilità di scegliere tra la pace e la guerra e hanno fatto la loro scelta mentre le forze dell’ordine hanno reagito, con reazioni umane, durante l’esercizio del loro dovere senza poter scegliere se esserci oppure no. Bisognerebbe che il sig. Vittorio Agnoletto facesse un mea culpa insieme a tutti coloro che lo hanno sostenuto fin dall’inizio, per aver iniziato da tempo con inutili pretese quel processo iniziato con la violenza verbale e conclusosi con quello che abbiamo davanti agli occhi. Tutto quello che è avvenuto a Genova è servito solo ed esclusivamente ad avere dato una certa popolarità a persone come Vittorio Agnoletto e i suoi collaboratori (dei quali ai tempi di Seattle non si sentiva parlare) e i quali non hanno pensato alle possibili soluzioni da adottare per ottenere il risultato da loro sperato cioè manifestare pacificamente contro le decisioni dei grandi della Terra. Infatti se ciò che importava era far pensare la gente mediante cortei e manifestazioni pacifiche sollevando dubbi nella coscienza delle persone perchè non si è pensato di farlo lontano da Genova?
Proprio perchè l’eco che i media avevano dato al Genoa Social Forum era talmente grande che il dissenso sarebbe stato ugualmente sotto gli occhi dell’opinione pubblica. Non lo si è fatto perchè ciò che si cercava era pubblicità e lo scontro. L’idea di altri (tute bianche) di forzare i blocchi della polizia ed entrare nella zona rossa sono il chiaro segnale di ciò che ho detto. E dopo che erano entrati nella zona rossa che facevano? Dove volevano andare e a fare cosa? Tutti escamotages.
Spero che lo sfogo di un giovane che ritiene la globalizzazione iniqua quando diventa ingiustizia e non giusta a priori, che si è trovato impotente di fronte alle immagini televisive, abbia presto una risposta da coloro che per me fanno parte del gruppo dei responsabili di ciò che è avvenuto (Agnoletto, Mantovani e altri) in modo che questi ultimi cerchino di fronte ad un’opinione pubblica sempre più a loro contraria di spiegare le loro motivazioni. Qualcuno deve rendere conto alla gente.
Io ero a Genova. Quante menzogne…
Da Carla di Pinerolo (una collega di scuola dell’infanzia del tutto al di sopra di ogni sospetto)
C’ero anch’io il giorno della manifestazione e confermo quanto scritto sotto. E’ stata una esperienza inimmaginabile. I poliziotti ci hanno attaccati con lacrimogeni e manganelli: eravamo tantissimi/e, seduti a terra: stavamo aspettando, perch� il corteo si era fermato. Eravamo inermi e indifesi/e. E’ avvenuto in un attimo. Anch’io ho ricevuto una manganellata. Ho visto e soccorso un ragazzo sindacalista francese colpito al braccio da un candelotto lacrimogeno. Aveva una ferita profonda e, dopo l’intervento di un medico che ho trovato tra la gente spaventata, ho dovuto cercare un’ambulanza perch� era necessario il ricovero in ospedale. Una ragazza del nostro gruppo di Pinerolo � stata aggredita talmente violentemente che, dopo averla colpita ripetutamente con il manganello buttandola a terra, le hanno tirato 5 calci in faccia, rompendole la mandibola. Ricovero urgente in ospedale. Anche lei era l� pacificamente, priva di alcuna difesa. Ho visto feriti, gente che si � sentita male a causa dei lacrimogeni, gente che gridava e piangeva. Eravamo tutti l� a manifestare in modo nonviolento. Pi� che il dolore fisico mi � rimasta una ferita profonda “dentro”.
Dove stiamo andando? Amici/amiche mie, teniamo bene gli occhi aperti. un abbraccio.
Carla
1. Via Po a Torino, passeggiando in attesa dell’appuntamento delle 6. Solo e senza scopo, vedo una ragazza al bar, con un’altra amica. Ma s�, � proprio lei: una compagna di corso, si � laureata ieri. Mi fermo: come va, che fighe le vacanze, dove vai, io sto andando a Genova.
AH. Pausa, poi la conversazione riprende, Poco, non c’� molto da dire. Ciao, ciao, buone vacanze, mi allontano.
2. Leggende urbane e mediatiche, tutti ne parlano ma nessuno sa nulla. Seduti sul lungomare dopo un pranzo a base di tonno e pane, chiacchieriamo con alcuni ragazzi di radio Sherwood di Padova. Si parla di Messico, indios e problemi di convivenza ed emarginazione sociale; si passa al G8, le tute bianche, la zona rossa. Non si sa nulla di preciso, ci si aspettano scontri ma nessuno ha intenzione di farsi o fare male. Leggende che forse sono vere, di cecchini nelle case, pronti ad intervenire in caso di terroristi o estremisti. Si parla dei cattivi, questi fantomatici anarchici insurrezionalisti, internazionalisti, chiss� cosa o chi li identifica cos�, per noi sono parole, come quando uno ti spiega delle differenti correnti del death metal e tu ascolti annuendo assente. Si parla dei mezzi di comunicazione, di questo comunicato delle BR (o chi per loro) che dice “Interverremo al G8 con i nostri metodi”.
Con questo messaggio, vero o falso che sia, tutto � legittimo da parte dei poliziotti.
I poliziotti: questa � l’unica certezza di quello che ci sar�. Sono tantisssimi, li abbiamo visti lungo il viaggio, praticamente ad ogni stazione. Ci hanno portato a Genova, qui siamo controllabili e controllati, tutto � organizzatissimo. Il concerto di Manu Chao ieri sera, stasera i Modena City Ramblers; gli autobus speciali per portarci ai campeggi. Noi dormiamo in un polisportivo, con due tendoni enormi pieni di gente che si riposa, ognuno col proprio sacco a pelo. Tutto ordinato e pulito. Le voci corrono: gli anarchici sarebbero da noi, alla Sciorba, ma l� non c’erano; qualcuno dice che i fantomatici “cattivi” stanno al Carlini, dove dorme la maggior parte delle persone; ma nessuno ne sa veramente nulla.
Oggi 19 luglio abbiamo trascorso la giornata al centro delle conferenze, chiacchierando, ascoltando, ritrovando persone con interessi ed ideali comuni, scoprendo le differenze tra associazioni e gruppi, che pure si ritrovano qui per lo stesso motivo nostro. Questo � utilissimo, scambiare esperienze ed informazioni con altri gruppi, creare il famoso “popolo di Seattle”, raccontarsi i diversi modi di uscire dall’unica logica dei potenti, quella del denaro. Mentre scrivo c’� il vento di Genova alle mie spalle, alcuni ragazzi stanno pregando o qualcosa di simile in lontananza; sembra un raduno sommesso di persone, a met� tra un congresso e l’attesa prima di un concerto. Se la tensione c’�, non � qui; non tra la gente con cui si parla. Tra due ore comincia la prima manifestazione, ma tutto sembra liscio e tranquillo. Chiss� se � vero quello che mostrano in Tv, se ci aspettano scene di panico e di guerriglia urbana.
3. La mattina del terzo giorno, dopo il delirio di ieri. In mezzo tante cose, dalla manifestazione alla conferenza stampa di Agnoletto e Casarin, alla carrellata sui media a sentire e leggere commenti, infine un dibattito con tutti seduti per terra e un megafono che passa. Ora siamo sugli scogli, ancora; bonghi che suonano, ma sono solo dei ragazzi che provano sotto il sole di piazza Kennedy.
Un altro suono rispetto alle note cupe dei tamburi neri, questi anarchici o chiss� chi che ieri hanno dimostrato a modo loro: sfasciando la citt�. Diverso anche dal rimbombo dell’elicottero della polizia: non ha smesso un attimo di girare sopra di noi, solo per far sentire la presenza opprimente delle forse dell’ordine.
C’� stata molta rabbia alla notizia della morte di questo ragazzo; insulti all’elicottero, ai poliziotti che ci osservavano da lontano, controllando la situazione per far sentire la propria superiorit� strategica e militare.
Ieri non si capiva nulla. Siamo scesi dall’autobus per ritrovarci nel cuore del vandalismo anarchico, senza capire bene come si fosse arrivati a questo, poche ore dopo la belle manifestazione del 19. Tante conversazioni, tante opinioni; da tutte emerge che la polizia ha spezzato il gruppo, provocando piccoli focolai di protesta in varie zone, impedendo a tutti noi di ritrovarci per manifestare a modo nostro. Ci siamo ritrovati tutti coinvolti nella guerriglia urbana senza che nessuno potesse organizzare una protesta, con i fantssmi in nero liberi di sfasciare cose e simboli senza alcun intervento da parte della polizia. Le cariche ed i fumogeni le abbiamo viste e vissute anche in prima persona: gente che scappa, il panico che sale e sale finch� da un angolo, chiss� come, passa la voce che va bene, che ci si pu� fermare al sicuro da manganelli e scudi senza espressione. Il mondo ieri era diviso tra chi combatte e chi scappa. Bandiere dipinte di nero che girano in circolo, falangi organizzate di robocop blu. Chi scappa eravamo noi: giornalisti, pacifisti, manifestanti, genovesi. Alcuni signori di Genova ci hanno fermato. Commenti critici: “Non si pu� ridurre cos� una citt�, ragazzi; avete ragione, ma in questo modo tutto va perduto”.
E’ stato cos�: l’evento per i mezzi di comunicazione � accaduto, ecco i violenti, ecco gli anti-sociali, ecco i fascisti. Da una parte e dall’altra si � parlato solo degli scontri. E, in sottofondo, i tamburi neri in marcia con uno scopo preciso. Spostarsi, distruggere automobili; spostarsi ancora, spaccare vetrine. Indisturbati, padroni della citt�. Mentre la polizia caricava lontano dalla zona rossa, fino nel campo generale di piazza Kennedy. I fumi dei lacrimogeni hanno riempito la citt�, salendo lentamente.
Anarchici? Nazifascisti infiltrati? Vandali e basta? In realt� tutto quello che � passato, ieri, � stata la violenza; non c’� stata possibilit� di manifestare in altri modi. Ci hanno provato le ex Tute Bianche, i disobbedienti civili, con protezioni e avanzamenti, tutti abbracciati incontro alla polizia; ma la risposta � stata violentissima. Fino a sera sono proseguiti gli scontri, i consigli diffusi via megafono: non tornate nei campeggi in piccoli gruppi, ci sono poliziotti violenti ovunque, piuttosto dormite qui. Poi, la macchina organizzativa � ripartita e con gli autobus siamo tornati tutti a casa.
Bene, questo � il poco che abbiamo visto. Dall’interno l’impressione � quella di un’enorme confusione, in cui ognuno legge gli avvenimenti a modo suo. Visioni di parte, critiche e recriminazioni. Il popolo di Genova si � conosciuto, ha scoperto che c’� un’anima nera che appare solo a volte, organizzata e precisa nello spaccare oggetti e nel creare disordine. Come per rovinare tutto il pacifismo e la bont� che emerge da tutti gli altri, quelli che sono qui, sommessi, per manifestare, esserci, entrare pure nella zona rossa, ma senza rischi. La sensazione � quella di essere pedine di un gioco di ruolo, qualcuno incrocia le anime dei partecipanti ad una battaglia mettendo uno contro l’altro i gruppi nemici, lasciando stare chi danneggia le cose per colpire in modo durissimo le persone. Ragazzi che sono qui per cambiare qualcosa; chi la prossima volta si chieder� se vale la pena di rischiare la vita per un’idea.
4. Subito dopo il primo ed unico incontro ravvicinato con la polizia, e non � stato bello.
Sono arrivati con le camionette in velocit�; eravamo in pochi, forse 30. Non stavamo manifestando: camminavamo solamente, per raggiungere piazza Kennedy. Sono arrivati velocemente, alcuni ragazzi sono scappati su per una stradina; li ha inseguiti una camionetta, sparando un lacrimogeno ad altezza uomo. Ero a 15 metri, dietro di loro; avevo le mani alzate.
Poi � arrivata una seconda camionetta che ha cominciato a sparare lacrimogeni verso di noi, sempre ad altezza uomo. Mi sono riparato dietro un pilastro, c’era anche una ragazza, gridavamo. I poliziotti sono passati al nostro fianco, blu con caschi e tute, sembrava un videogioco; per un istante ho avuto la pazza speranza che non ci vedessero. Ne � arrivato uno dall’altro lato, ci ha sparato del gas al pepe in faccia; eravamo abbracciati, senza nulla in mano. Ci hanno tirato fuori di l�, erano tantissimi, forse 10. Ci hanno chiesto i documenti; io continuavo a gridare che non avevamo nulla di strano addosso, ho tirato fuori il portafogli, uno � scomparso con le nostre carte d’identit� in mano. Ci hanno detto di stare in ginocchio, poi con la faccia a terra; ma eravamo in vista di un sacco di manifestanti, un poliziotto ha detto “non qui, non qui” e ci hanno spostato dietro il pilastro, dove nessuno vedeva. Per un istante ho avuto nella testa un’immagine di tortura, ma ci hanno semplicemente lasciato l� in ginocchio, senza dire nulla. Dopo qualche minuto ci hanno spinto fino ad una via laterale, io continuavo a dire “i documenti, i documenti” e loro spingevano e tiravano; si vedeva che ci avrebbero volentieri trattato peggio. Ci hanno messo in fila di fianco ad altri; erano tedeschi, tutti con la faccia pulita come noi. Marzia, la ragazza, era in panico; il suo ragazzo cercava di consolarla, anche io le stringevo la mano.
Un tipo senza uniforme ci ha parlato, chiedendo dove andavamo. Non ci voleva pi� vedere a Genova, la sera stessa. Gli ho risposto che, senza offesa, ma io vado dove mi pare. Non ha risposto, ha ancora aspettato prima di ridarci i documenti, ripetendo che non ci voleva pi� vedere. “Noi poliziotti facciamo la parte dei cattivi e voi dei buoni”. Sarcasmo. Poi ci hanno lasciato andare.
Tutto lecito? Non esattamente: hanno sparato lacrimogeni ad altezza uomo, hanno caricato dei ragazzi come me con la camionetta; in genreale il resto lo posso ancora capire: l’esasperazione, la voglia di menare. Ma se questi sono cos� con gente come me che non pu� fargli nulla, chi li controlla se si incazzano sul serio? Eppure non � ancora colpa loro, se c’� qualcuno che dovrebbe saltar fuori � chi ha organizzato e preordinato cos� chiaramente una strategia della violenza: impedire le manifestazioni anche se pacifiche, pararsi di fronte alla gente grazie a quelle teste di cazzo del Black Block. Cos�, pace per tutti, si possono colpire senza pericolo quelli indifesi.
5. Luned�, sono passati ormai due giorni dai fatti di Genova e abbiamo trascorso questo tempo davanti alle televisioni, sui giornali, confrontando le impressioni ed opinioni. Tanto parlare del morto, Carlo; tante polemiche del Governo e dell’opposizione, tante immagini di vetrine sfondate, nessuno che parla delle 200.000 persone che hanno sfilato pacificamente, n� delle proposte portate avanti. Proposte concrete, contro il debito, i monopoli farmaceutici, le speculazioni finanziarie. Forse perch� se ne � parlato prima di questi tre giorni, di certo non in abbondanza; ma ora tutto sembra essere passato in secondo piano per lasciare il posto alla violenza e ad una polemica apparentemente sterile (Governo gi�, governo su; intanto Bush dal Papa, sorrisi-sorrisi, anche se lui � quello della pena di morte, del “no” a Kyoto).
La sensazione diffusa � quella di una presa in giro, di una massa di 200.000 persone che sono andate a Genova in modo costruttivo per perdere il ruolo di protagonisti, schiacciati tra due gruppi di violenti. I Black Block da una parte, aiutati da chi si � lascito trascinare o provocare; la polizia dall’altra, convinta di poter passare impunemente sopra ad un sacco di diritti umani, almeno per tre giorni. Due gruppi militari o paramilitari; in mezzo tante persone, civili, intenzionate a manifestare pacificamente.
Non ho letto questo numero, 200.000, da nessuna parte in questi ultimi due giorni; non ho visto un’immagine del corteo, enorme, al quale abbiamo partecipato sabato. Forse la sera stessa � stato mostrato; ma ora � in corso l’incredibile processo di costruzione della storia ed interpretazione della verit� che porter� a ricordarsi di questi giorni per Carlo Giuliani e gli scontri, pi� che per l’enorme massa di persone presente a contestare il G8. Chiss� se senza la violenza si sarebbe effettivamente parlato di questa contestazione; chi “conosce il mondo”, come si dice, afferma di no. A noi resta l’immagine di una signora anziana affacciata alla finestra di casa, al terzo piano. Scandisce il tempo con le mani, sorride e saluta il corteo; tutti noi la applaudiamo dal basso e lei continua a sorridere, mentre una marea di persone sfila sotto casa sua.
La notte delle tastiere spezzate
di Pietro
Torno da Pavia, dove sono stato con Ornella a cercare Guillermo e i suoi compagni e compagne di Zaragoza sequestrati e torturati dalle forze dell’Ordine (?) alla scuola diaz e incarcerati fino a mercoledi sera ( alba di giovedi per molte e molti di loro). Non mi sono ovviamente ripreso del tutto e non ho ancora metabolizzato
l’orrore che ho sentito raccontare e che ho visto sui loro corpi tumefatti ( nessuno/a escluso ). Non riprendo n� ripeto le notizie sulle modalit� dei fermi, pestaggi con sedie e banchi, sveglia violenta e minacce dichiaratamente filo fasciste, molestie nelle corsie dell’ospedale, canzoncine “faccetta nera” emesse dai cellulari per non far dormire i feriti/e, due giorni senza cibo n� acqua ecc… i giornali si stanno occupando di questo. Preferisco raccontare la mia esperienza diretta di fronte alla questura di Pavia.
mercoledi mattina,
Dopo due giorni di ricerche telefoniche apprendiamo dai genitori di Guille che sta al carcere di Pavia con circa una quarantina di stranieri presi la “notte delle tastiere spezzate”, passatemi il termine visto che la espressione evolve cosi’ come la nostra comunicazione dissidente, non pi� matite degli studenti argentini ma PC. Mercoledi mattina decidiamo di prendere il primo treno per Pavia. Arriviamo alle 16.00 e ci dirigiamo verso il carcere emozionati e commossi per l’idea di riabbracciare il nostro amico e le altre e gli altri.
Di fronte al carcere ci informano che il giudice non sta confermando gli arresti perch� illegali e che presto potranno uscire tutti. Due spagnoli sono appena usciti, ma subito caricati su un cellulare e portati in questura per delle pratiche burocratiche, da una prima descrizione ci convinciamo che uno di questi potrebbe essere Guille. Ci precipitiamo in questura dove troviamo una cinquantina di persone della zona con qualche
parente e amico straniero che compilano liste e parlano con avvocati/e. Riesco a parlare per 10 secondi con Guille al cellulare dell’avvocata che mi dice “il peggio � passato ora sto bene”, scoppio in lacrime pensando al “peggio” senza una chiara idea di cosa volesse dire. Dentro la questura gli stranieri ( tutti maschi) sono tutti liberi, ci dicono avvocati e consoli inglese, tedesco, polacco che fanno la spola tra dentro e fuori per portare acqua cibo e tabacco. Manca il console Spagnolo, questo ci preoccupa non poco. Io sono direttamente in contatto telefonico col console spagnolo a Genova che sta facendo un buon lavoro e si sta occupando di altri due compagni di Zaragoza che stanno in ospedale a Genova.
Verso le 18.30 arriva il console spagnolo di Milano e tenta di portar fuori gli spagnoli presenti in questura, dovrebbero essere 5 o 6. Verso le 19.30 in maniera del tutto anonima un cellulare della PS esce dalla questura con le tendine abbassate in modo che non si veda l’interno. Riesco appena a notare una mano che si agita e una persona che cerca di salutarmi rincorro il cellulare e grido “guille guille!!! ” … non l’ho visto in faccia ma chiamando subito dopo l’avvocata che si sta occupando degli spagnoli ho la conferma che sono appena usciti 5 ragazzi di zaragoza, tra cui il nostro amico e che vanno a Malpensa per essere imbarcati
col volo delle 21.20. Informo lo Zio di Guille che sta a Madrid e lui chiede conferma al consolato.
Confermato! rimangono dentro due o tre ragazzi di zaragoza. Ornella ed io decidiamo di andare all’aereoporto, abbiamo bisogno di abbracciarlo, toccarlo. In treno verso malpensa ci rendiamo conto che � impossibile arrivare in tempo e le notizie sugli altri Zaragozani non sono tranquillizzanti. Decidiamo che la nostra presenza � utile a Pavia. Scendiamo dal treno e torniamo in questura a sostenere gli altri. Nel mentre le persone di fronte alla questura sono aumentate, ora siamo circa 70-80, giornalisti, compagne e compagni dei centri sociali lombardi, parenti degli strenieri, simpattizzanti e solidali che hanno sentito la diretta di radio popolare. Di nuovo in attesa … niente notizie. Da una vetrata laterale della questura vediamo una decina di tedeschi e inglesi che attendono, tutti hanno fasce, bende o ossa rotte, qualcuno zoppica vistosamente, altri dormono in terra. Alcuni compagni dei centri sociali e della CGIL fanno la spola tra dentro e fuori per darci notizie e portare dentro acqua e cibo, una poliziotta ci informa che l’acqua manca anche per loro.
Finch� alcuni poliziotti dalle spalle larghissime si mettono di fronte alle porte a vetri per impedirci di guardare.
Alle 22.00 ci informano che le pratiche burocratiche sono concluse, si sta solo aspettando le detenute dal carcere femminile di Voghera per liberare tutti e tutte insieme, non se ne comprende la ragione ma attendiamo fiduciose/i. Le ore passano, tra di noi si parla, ci si confronta sul da farsi. ogni minimo movimento di entrata e uscita viene preso come una novit� entusisamente, raramente si sentono urla o coretti “LIBERI! LIBERI !! ” … si cerca di organizzare una azione simbolica per quando arrivano le ragazze da voghera,
si decide di utilizzare gli strumenti e le percussioni per farci sentire… le ragazze non arrivano, non se ne comprende la ragione.
Nelle mie telefonate con l’avvocata percepisco che qualcosa non va dal suo tono di voce, sempre pi� alterata… parla di denunciare il questore, vede illegalit� che si aggiungono ogni mezz’ora all’illegalit� dell’intera situazione. Le 96 ore di detenzione preventiva sono scadute alle 22.00 ma compagni e compagne sono ancora dentro. Alle 24.00 circa mi chiama GUILLERMO !! � all’aereoporto di Madrid! sta bene e ci sono i giornalisti che lo attendono, non ha tempo di raccontarmi. La mia emozione non mi permette di fargli sentire l’applauso che sfocia spontaneo quando riferisco la bella notizia di fronte alla questura di Pavia….
Alle 1.30 circa arrivano le ragazze, accolte da urla e applausi, con loro un piccolo corteo di parenti e amici, giornalisti e rappresentanti di Amnesty International. Ornella all’arrivo delle ragazze � gi� dentro, volontaria di sostegno ai carcerati/e parla spagnolo e sostiene gli animi … anche lei � visibilmente scossa. Mi faccio intervistare da amnesty per dare i nominativi dei casi che sto seguendo mi dice che lei invia tutto a Londra e che da li manderanno qualcuno a Zaragoza a intervistare le circa 15 persone che sono state prese alla scuola.
ora siamo circa 60 70 qualcuno se ne andato stremato, altri sono arrivati con le ragazze da voghera. Parlo molto con i genitori di una ragazza spagnola – Guillermina – arrivata con un gruppo di berlino. sono disperati ma la madre riesce a entrare in questura per abbracciarla, 5 minuti. L’umanit� alberga anche l� dove ormai non ce la aspettiamo pi�!!
I “buoni” della digos cercano di comunicare e di non farci fare fotografie o riprendere video, anche loro sono visibilmente imbarazzati dalle cose che si sentono sui loro colleghi, non hanno argomenti … continua l’attesa.
ogni 5 minuti sembra che escano tutti. Alle 3 circa ci informano che li stanno liberando e che li portano all’aeroporto linate. Non per metterli in un aereo, non per non farceli vedere, non capiamo ma iniziamo ad organizzare le macchine che vadano li. Sale la preoccupazione per gli spagnoli e le spagnole visto che manca il console. Quello di milano non risponde, la segreteria ci da un numero di cellulare “per i casi urgentissimi”, staccato !!! Quello di Genova invece lo svegliamo nel sonno e si preoccupa di chiamare subito l’avvocata. Il trasporto dovrebbe essere effettuato dal Reparto mobile di Bolzanetto, i pi� fascisti e violenti, abbiamo paura che le violenze continuino durante il trasporto .. Decidiamo che un avvocato seguir� il pullmann fino a Linate. attesa… colletta, paste calde … attesa… alle 5.30 siamo circa 20 persone
applauso quando escono gli avvocati sono stati bravi!! il pullman esce tra rumori di tamburi e battiti di mani,
in macchina all’inseguimento verso Linate.
A linate li fanno uscire dall’autobus della Polizia :
SONO LIBERI ! i tre spagnoli vanno via col console di genova a riprendere il furgone e i compagni che stanno ancora all’ospedale di genova. noi andiamo a milano con 4 Catalani che hanno passato la notte con noi …
stremati, scioccati, impotenti di fronte a situazioni che avevamo visto sentito raccontare dai dissidenti chileni, argentini, spagnoli sotto le dittature…
in treno dormiamo male, pensiamo molto e immaginiamo come rispondre politicamente ..
nessuna idea! ciao
La salvezza è un poliziotto che batte in levare
di Alberto
Ho 37 anni, faccio il dirigente (dimissionario) in una multinazionale americana, e quella di sabato è stata la mia prima vera manifestazione. Come unico precedente al liceo avevo percorso circa 300m di corteo di protesta contro gli euromissili. Non so quanto sia facile confondermi con un black bloc. Ho ritenuto giusto e importante partecipare per gli stessi motivi per cui altre centinaia di migliaia di persone NORMALI marciavano accanto a me; ero tra le bandiere bianche dell’ACLI; quelle rosse della FIOM e quelle arcobaleno dei Beati Costruttori di Pace. Ho visto persone sulla sedia a rotelle, bambini in passeggino, anziani, preti. Ho visto genovesi rinfrescarci con secchiate d’acqua dalle finestre e vecchiette benedirci dalla finestra. Dopo due ore di tranquilla manifestazione ho visto fermare il corteo e comparire dal nulla un centinaio di disgraziati totalmente diversi da
noi, assolutamente riconoscibili, poich� armati di spranghe metalliche spesso appuntite, con caschi e maschere antigas sfilare in un silenzio di tomba ai lati di migliaia di persone terrorizzate, costrette da un’organizzazione demenziale a marciare tra la balaustra del lungomare a valle e vie blindate a monte, senza possibilit� di disperdersi. Qualunque manipolo ben organizzato dei famosi poliziotti in borghese infiltrati nella manifestazione avrebbe potuto isolarli e arrestarne una buona parte, anche perch� siamo stati costantemente sorvolati a bassa quota da due elicotteri muniti di telecamere, che abbiamo salutato con affetto e gratitudine per tutta la durata del corteo.
Invece i poliziotti, vestiti da cattivi di guerre stellari sono comparsi sul fondo del viale, in una nuvola di lacrimogeni. Io e quelli che erano con me ci siamo spostati per lasciar passare la carica, che tanto non ce l’avevano con noi… e invece no, ce l’avevano proprio con noi. Non con gli imbecilli con le spranghe ma con la ragazza che � caduta, che � stata calpestata da due file di poliziotti e malmenata dalla terza, e che � finita all’ospedale. Con un signore che urlava ai poliziotti “siamo dell’ACLI!!!!!”, che pi� lo ripeteva e pi� sonoramente veniva picchiato dai celerini, con me e Alessandra che ce la siamo cavata perch� abbiamo avuto la fortuna di capitare nel movimento “in levare” di un poliziotto che aveva suonato “in battere” buona parte delle persone che come noi si erano addossate alla balaustra del viale con le mani alzate urlando di non picchiarci. E’ stato realmente un massacro. Credetemi, credeteci. E’ stata la mia prima manifestazione: e nonostante i grandi rischi che d’ora in poi correremo tutti scendendo in piazza non sar� certo l’ultima. Vi invito a farmi compagnia. A presto.
Ricostruire ciò che il manganello ha distrutto
di Cristiano (Genova)
E’ finita. o meglio sono finiti gli scontri, i pestaggi, i lanci dei lacrimogeni, gli arresti arbitrari. E lentamente, molto lentamente si attenuano anche i rumori ed i suoni che hanno popolato la mia testa in questi giorni… se ne va il rumore dell’elicottero che per 2 giorni e 2 notti ininterrottamente ha stazionato su di me e su migliaia di altri compagni. se ne va il suono delle sirene, delle ambulanze e delle camionette. E se ne vanno anche i segni che gli uomini in divisa blu hanno voluto lasciarmi come ricordo….un bernoccolo in testa, un occhio nero e strisce scure sulla schiena, tutto questo provocato da manganellate, calci, pugni. Non ho intenzione adesso di raccontare la mia testimonianza perch� l’ho fatto nei giorni precedenti con avvocati, familiari, amici e giornali… grazie anche all’appoggio dei compagni che erano e che sono con me.
Ha testimoniato anche Arianna, la ragazza che � stata prelevata come me da un luogo pubblico e che come me � stata pestata con una ferocia inaudita alla quale prima avevo assistito. Ci sono dei sentimenti e delle sensazioni…per�… � fascismo allo stato puro e allora non pu� e non deve essere dialogo. Quello che vorrei adesso non � giustizia, ma vendetta pur sapendo che mi abbasserei ai loro stessi livelli e soprattutto che cadrei nell’abile trappola che stanno cercando di tendere a quelli che come me fanno parte di un movimento di cui hanno paura. Ho cercato e cercher� da ora in poi di spostare su un lato prettamente umano tutto ci� che Genova ha significato per me. Abbandonando per un attimo la politica e la militanza perch� ho bisogno di ricostruire ci� che la mano di un uomo ha distrutto a colpi di manganello. So che ne uscir� pi� forte, pi� motivato pi� consapevole di cosa vuol dire “Hasta la victoria” e forse un giorno, e mai ne avr� l’occasione, riuscir� a guardare negli occhi l’uomo che per una sua scelta di vita mi ha pestato e forse potr� provare piet� per lui. ma non adesso.
Lettera di Stefano Agnoletto
Cari amici,
allora io ero a Genova. Io ho visto. Non date retta ai giornali ed ai telegiornali. E’ stata una cosa pazzesca, un massacro. E’ difficile raccontare cio’ che e’ avventuto tra venerdi’ e sabato. Per farlo mi aiuto con quello che ho visto io e quello che hanno visto altri carissimi amici presenti a Genova. Vi prego di avere la pazienza di leggere e’ veramente la cronaca di un incubo che difficilmente sentirete sui grandi mass media.
1.Io arrivo Giovedi’ a Genova dopo la festosa manifestazione dei migranti, 50.000 persone. Ci sono i campi di raccolta, siamo tantissimi. Migliaia di persone assolutamente pacifiche, un clima meraviglioso (vi ricordate i campi scout?) si discuteva si cantava si stava bene insieme. Scout e militanti, volontari e professionisti e venerdi’ mattina iniziamo le piazze tematiche in una citta’ blindata: le varie associazioni si troveranno sparse nella citta’ per fare un assedio festoso con danze, performance e slogan alla famosa linea rossa.
A questo punto sul lungo mare arriva il famoso blak blok, alcuni di loro vengono visti parlare con la polizia, altri direttamente escono dalle loro fila. Parlano soprattutto tedesco. Iniziano a sfasciare tutto. Polizia e carabinieri stanno fermi. I Black block cercano di infilarsi nel corteo dei lavoratori aderenti ai COBAS e altri sindacati, di cui picchiano uno dei leader, vengono respinti a fatica. Poi i black block puntano sulla prima piazza tematica (centri sociali), piombano armati fino ai denti. La polizia li insegue, i manifestanti si trovano attaccati prima dai black e poi dalla polizia che a quel punto inizia le cariche violentissime.
I Black se ne vanno e piombano sulla piazza dove c’era la rete di Lilliput (commercio equo, gruppi cattolici di base, Mani Tese..ecc.). La gente facendo resistenza pacifica cerca di allontanarli. La polizia insegue: carica la piazza. La gente alza le mani grida pace! Volano lacrimogeni manganellate. Ci sono feriti. I Black se ne vanno e continuano a distruggere la citt�… 300-400 del Black Bloc vagano per Genova, chi li guida conosce perfettamente la citta’: il loro percorso di distruzione punta a raggiungere tutte le piazze tematiche dove ci sono le iniziative del movimento.. E’ impressionante. Si muovono militarmente, si infiltrano, i capi gridano ordini, gli altri agiscono. E a ruota arrivano polizia e carabinieri Intanto nella piazza tematica dove c’e’ l’ARCI e l’Associazione Attac ecc.:tutto va bene, nel primo pomeriggio si decide di andarsene dal confine con la linea rossa fino ad allora assediata con canti, scenette, ecc. La gente sfolla verso Piazza Dante, la polizia improvvisamente lancia lacrimogeni alle spalle,. Fuggi fuggi generale. Gli ospedali si riempiono di feriti. Molti pero’ non vanno a farsi medicare in ospedale: la polizia ferma tutti quelli che ci arrivano. E’ sera. La gente e’ sconvolta, molti inziano a essere presi dalla rabbia. Dei black improvvisamente non si ha piu’ notizia.
Alla cittadella dove c’e’ il ritrovo del Genoa Social Forum saremo diecimila. E’ arrivata la notizia della morte del ragazzo.
C’e’ paura, i racconti di pestaggi violentissimi si moltiplicano. Ragazzi e suore che piangono. C’e’ un sacco di gente ferita. Un anziano che piange con una benda in testa, � un pensionato metalmeccanico.
C’e’ Don Gallo della Comunita’ di San Benedetto. C’e’ la mamma leader delle Madri di Plaza de Mayo in Argentina, quelle che da anni cercano notizie dei loro figli desaparecidos: dice che e’ sconvolta per quello che ha visto con i suoi occhi, gli ricordano troppo l’Argentina della dittatura: non pensava fosse possibile in Italia
Intervengono mio fratello, Luca Casarini delle tute bianche e Bertinotti (l’unico politico che ha avuto il coraggio di correre) calmano tutti: ragazzi non uscite in piccoli gruppi, non accettate la sfida della violenza.
Si decide che la risposta sara’ la grande manifestazione del giorno dopo, saremo in tantissimi, pacificamente contro tutte le provocazioni e le violenze di black block e forze dell’ordine. Il senatore Malabarba racconta che e’ stato in questura. Ha trovato strani personaggi vestiti da manifestanti, parlano tedesco ed altre lingue straniere. Confabulano con la polizia e poi escono dalla questura. Scoppia improvvisamente un incendio in una banca vicino alla cittadella. Gli elicotteri ci sono sopra: per piu’ di 40 minuti non arriva ne’ pompieri ne’ niente. Di notte uno dei campi dove siamo a dormire, il Carlini, viene circondato dalla polizia. Entrate a perquisire, fate quello che volete. La gente piange: implorano di non essere ancora caricati. La polizia entra: nel campo non trova niente. 2. Sabato: la grande manifestazione, siamo veramente una moltitudine.
Il corteo parte, ci sono mille colori. Gente di tutto il mondo. Tutte le associazioni, il volontariato, i contadini, i metalmeccanici, i curdi, ….ecc. Canti, danze, mille bandiere. Piazzale Kennedy. Non ci sono scontri. Non c’e’ niente. Sbucano i black Block La polizia improvvisamente, senza alcun motivo, spacca in due l’enorme manifestazione. . Si scatena la guerra. Cariche dovunque, manganellate. Sono impazziti. La polizia carica i metalmeccanici della FIOM, i giovani di Rifondazione. Iniziano inseguimenti per tutta Genova. Chi rimane solo � inseguito, picchiato. Decine di persone testimoniano di inseguimenti e pestaggi solo perche’ riconosciuti come manifestanti. E’ picchiato dalla polizia un giornalista del Sunday Times (sul numero di oggi racconta la sua avventura…) In un punto tranquillo della manifestazione, sul lungomare, improvvisamente da un tetto vengono sparati lacrimogeni che creano panico. Usano gas irritanti, producono dermatiti, non fanno respirare. I Black Bloc? compaiono e scompaiono, nessuno li ferma. Attaccano un ragazzo di Rifondazione. Gli spaccano la bandiera e lo picchiano.
Attaccano a pietrate i portavoce del Genoa Social Forum. Spaccano vetrine ed incendiano. Sono armati fino ai denti: ma come ci sono arrivati nella Genova blindatissima? La testa della grande manifestazione � tranquilla, il Genoa Social Forum fa l’appello di defluire con calma, di non girare da soli per la citta’. Veniamo indirizzati verso Marassi dove ci sono i pulman di quelli arrivati la mattina. Siamo fermi li’. Non si puo’ andare avanti: a piazzale Kennedy e’ guerra. Siamo in tanti fermi, seduti per terra.
Improvvisamente partono i lacrimogeni. Fuggi fuggi generale. Si cerca di tornare verso la cittadella del Genoa Social Forum: passano camionette della polizia da dove urlano: vi ammazzeremo tutti!
La seconda parte del corteo non arriver� mai alla piazza dove era prevista la conclusione. Tutte le persone vengono caricate indistintamente sul lungo mare. Chi riesce scappa nei vicoli verso la collina, dove si scatena una vera e propria caccia all’uomo. Sabato notte, la manifestazione era ormai finita da alcune ore, la polizia irrompe nella Sede stampa del Genoa Social Forum. Picchiano tutti con una violenza impressionante. In particolare sono interessati alla documentazione (testimonianze, video, foto…ecc.) che raccontano quello avvenuto tra venerdi’ e sabato: sono molti attenti a distruggere tutto. Vengono distrutti tutti i PC e tutto il materiale che trovano, viene arrestato l’avvocato che coordina il gruppo di avvocati presenti a Genova.
Viene distrutto o portato via anche tutto il materiale che gli avvocati avevano raccolto per difendere le persone arrestate. Adesso non si sa piu’ neanche quante sono e quali sono le accuse. Durante la perquisizione, fatta senza alcun mandato, a parlamentari, avvocati, giornalisti e medici e’ impedito di entrare. Le famose armi comparse oggi in conferenza stampa ieri non si erano viste….rimangono i feriti e gli arrestati. Del black blok non si sa piu’ niente. Vi assicuro, due giorni da incubo: black block e forze dell’ordine hanno fatto un massacro e volevano farlo. Poliziotti e carabinieri erano stati montati in modo pazzesco, fin da venerdi’ mattina urlavano e insultavano.. Gli hanno veramente lavato il cervello. E poi oggi a sentire televisioni e leggere giornali: Dio mio sembra proprio un regime: dove hanno scritto la verita’ che tutti noi che eravamo li’ abbiamo visto? Divento poi matto a pensare che alcuni potranno ancora pensare: “voi contestatori, dite le solite cazzate…”
Non fatevi imbrogliare, abbiate il coraggio di mettere in discussione i vostri convincimenti sulle meravigliose forze dell’ordine italiane e sugli apparati democratici del nostro Stato. A Genova veramente e’ avvenuto qualcosa di pazzesco. Hanno inaugurato il nuovo governo…. Un’altra piccola cosa: sul giovane ammazzato. La sapete la prima versione della questura prima che comparissero i video? Ammazzato da un sasso lanciato da altri manifestanti……. Se pensate che molta della documentazione raccolta da testimoni e’ stata distrutta dopo l’irruzione alla sede del Genoa Social Forum di questa notte….ci rimangono le “sicure” versioni delle forze dell’ordine… Meditate e per favore fate girare, stampate, parlate, c’e’ bisogno di raccontare la verita’. A vostri amici, parenti, colleghi di lavoro.
Vi prego non voltatevi dall’altra parte. grazie
Stefano
P.S. Mio fratello e’ distrutto, mi ha detto: � pazzesco, sembra di essere nell’America Latina negli anni 70.
Forse neanche lui aveva capito fino in fondo con chi aveva a che fare e che governo e responsabili delle forze dell’ordine potessero arrivare a tanto.