Conquistato dalle lotte femministe, lo sciopero non è una scelta neutra, e non a caso è stato scelto come strumento di rivendicazione per questo 8 marzo: ci permette di riconoscere una violenza maschile strutturale che attraversa tutti gli spazi produttivi e riproduttivi, sia pubblici che domestici e di cura.
La giornata di sciopero indetta per l’8 marzo si inserisce in un percorso iniziato in Argentina a Giugno 2015 sotto la bandiera “Ni una menos”, dove tante donne si sono riunite per denunciare il femminicidio in corso ed esigere attivamente una trasformazione radicale della società. Con la complicità dei governi, la violenza di genere viene rafforzata dalle politiche neoliberiste, razziste e classiste, che mettono le donne in una situazione di vulnerabilità sociale ed economica. La Women’s March, tenutasi negli Stati Uniti il 21 gennaio scorso, è stata l’ultima di tante altre grandi giornate di mobilitazione di donne organizzate in quest’ultimo anno, dall’Argentina al Brasile, dalla Polonia alla Germania, dalla Turchia all’Italia. In uno scenario di crisi globale, la chiamata allo sciopero in Italia della Campagna “Non Una di Meno” risponde ad una rivendicazione trasversale, per cui si denuncia lo sfruttamento delle economie informali, precarie ed intermittenti femminili.
Le donne, protagoniste del processo economico riproduttivo, forniscono le condizioni che permettono il funzionamento di quella sfera dell’economia invece detta produttiva. Un ruolo imposto dal patriarcato radicato in ogni società che, assorbito dal sistema capitalista, ha portato con sé l’istituzionalizzazione dello sfruttamento femminile attraverso la superficialità delle politiche per la parità di genere. Queste non hanno portato ad altro se non ad un inasprimento della precarietà femminile.
Questa è una sfida politica: uno sciopero globale che nasce dalla volontà di rompere le barriere classiste e coloniali tra le donne; uno sciopero internazionale organizzato dal femminismo intersezionale che rivendica l’autodeterminazione di donne, transessuali, lesbiche, intersex, mamme, migranti, sex workers, lavoratrici tutte.
Lo sciopero femminista si riprende lo spazio pubblico e serve a smascherare le diverse facce della violenza maschile: quella che si subisce nella propria casa, ogni giorno nelle strade, negli spazi ricreativi finanche ai luoghi di lavoro; quella che esclude le donne dal linguaggio, quella che vieta il diritto di decidere sul proprio corpo e criminalizza i movimenti migratori. La stessa violenza di chi concepisce come unica famiglia possibile quella composta da due persone, un uomo e una donna.
Questo 8 marzo scioperiamo anche noi perché ci riconosciamo negli obiettivi, nei contenuti e nei metodi di questa chiamata internazionale. Riconoscendo la lunga strada che abbiamo ancora da percorrere, la nostra associazione lavora quotidianamente per trasformare la società a favore dell’autodeterminazione degli individui, e lo facciamo portando questi contenuti attraverso lo strumento del volontariato nelle nostre attività locali e internazionali.
L’8 marzo interrompiamo quindi l’attività produttiva e riproduttiva, rifiutiamo i ruoli imposti dal genere dentro e fuori dai luoghi di lavoro. “Se le nostre vite non valgono, allora anche noi ci fermiamo”.
Buon sciopero a tutte e tutti!
Le collaboratrici e i collaboratori del Servizio Civile Internazionale