Pubblichiamo la prima parte del racconto di Agnese, Alberto, Ekaterina, Francesca, Marco e Martino, una delegazione di attivisti e attiviste del Servizio Civile Internazionale in visita in Libano dal 28 aprile al 2 maggio 2018. Da Beirut a Tripoli, passando per il campo profughi di Tel Abbass, fino a Minyara per conoscere l’esperienza della scuola di Malaak e ancora a Beirut nel campo di Shatila.
Da questo viaggio è nata l’idea di portare un campo di volontariato internazionale presso il campo di Tel Abbass, dal 15 al 25 luglio 2018. Qui la scheda completa del campo. Per partecipare al campo, è obbligatorio aver preso parte agli incontri di formazione di I e II livello. Per chi non ha potuto farlo, si richiede di partecipare obbligatoriamente alla formazione di I e II livello che si terrà a Bologna, dal 29 giugno al 1 luglio. Per informazioni, contattare nordsud@sci-italia.it.
Sabato 28 Aprile – Avvicinamento graduale
Atterriamo… Rifornimento d’acqua, cambio soldi, acquisto di una SIM libanese e siamo pronti a cominciare la nostra esplorazione. Fuori dall’aeroporto, un tassista ci convince che sia una buona idea raggiungere la nostra destinazione sul suo furgone da 8 posti.
Carichiamo le valige e saliamo sul taxi. Ci viene dato subito un assaggio dell’incredibile stile di guida che si tiene sulle strade libanesi: usciti dall’aeroporto evita un incidente con la prima macchina che incontriamo, accosta per chiedere informazioni senza badare al motorino che sta stringendo sulla destra e effettua sorpassi quando non c’è palesemente lo spazio per passare.
La via che porta verso il quartiere Hamra ci permette di vedere le prime caratteristiche della città: a palazzi moderni e abbastanza sfarzosi si contrappongono casermoni e condomini fatiscenti e le moschee, da cui svettano i minareti, si alternano alle bianche chiese dei cristiani maroniti.
Finalmente arriviamo a destinazione, ci sistemiamo e ci prepariamo a raggiungere Alice in un ristorante dove fanno cucina tipica libanese. Per raggiungere il ristorante ci affidiamo questa volta ad un “service”: un taxi meno costoso e sopratutto con il conducente meno interessato al fatto che siamo in 6 con soli quattro posti disponibili. Ci stringiamo ed è lì che facciamo il nostro primo incontro inaspettato. Il loquace guidatore è armeno. Gli armeni sono solo uno degli innumerevoli gruppi nazionali o religiosi che compongono la popolazione di Beirut. Dallo specchietto retrovisore pende una bandiera rossa, arancione e blu e subito cominciamo a parlare dell’Armenia e delle proteste che in quei giorni animavano l’opposizione al presidente dai modi autoritari e dittatoriali. Noi chiediamo, lui racconta e dice la sua. L’autista è fieramente armeno, ma è anche libanese. Non è strano. Lui è solo il primo esempio della popolazione del Libano, molto variegata e dalle identità più disparate.
Veniamo lasciati davanti a Radio Beirut, nel quartiere “occidentale” della città, dove macchine di lusso, luci, locali, musica americana, sushi e turisti animano la strada.
Il primo giorno è stato tranquillo, con un avvicinamento graduale alla realtà libanese, rimanendo però in contesti ancora molto vicini alla nostra esperienza quotidiana.
Domenica 29 Aprile – I siriani in Libano
Oggi dobbiamo andare a nord, a Tel Aabbas, a circa 5 km dal confine della Siria. In quell’area ci sono numerosi campi profughi di siriani, che ormai da 7 anni sono in fuga dalla guerra che devasta il loro paese. Andremo in un campo per vedere la situazione al suo interno e conoscere i volontari italiani di “Operazione Colomba”, presenti in loco da diversi anni.
Ci dividiamo in due gruppi, i primi raggiungeranno Tel Aabbas con uno dei furgoni che fanno da collegamento tra Beirut e Tripoli (città poco più a sud di Tel Aabbas), mentre il secondo gruppo andrà in macchina con Gaia per fermarsi a comprare medicinali da portare ai bambini e alle famiglie del campo.
Iniziamo il viaggio e Gaia ci spiega quali sono le condizioni dei siriani in Libano. Non sono riconosciuti come rifugiati e non hanno neanche i documenti a posto per vivere in Libano regolarmente. La loro condizione è peggiorata negli ultimi anni, da quando il governo libanese ha smesso di regolarizzare l’ingresso dei siriani nel proprio territorio.
Dallo scoppio della guerra in Siria si sono moltiplicati i campi profughi e le condizioni dei siriani non sono certo andate migliorando. I profughi siriani sono 1/4 della popolazione totale libanese, non hanno praticamente diritti e se anche riuscissero a trovare un lavoro, per legge, possono svolgere soltanto mansioni molto umili, come quella del contadino, del muratore o del raccoglitore di rifiuti; tutte le altre professioni sono negate. Questa situazione così drammaticamente complessa per le famiglie siriane è peggiorata con il clima politico montato in questo periodo di elezioni, le prime dal 2009: sembra infatti che tutti i partiti, anche quelli più aperti e meno conservatori, sottolineino la necessità di allontanare i siriani per risolvere i problemi del paese.
Arrivati al campo di Tel Aabbas veniamo accolti da Alessandro e Matteo, due volontari di Operazione Colomba, e subito siamo circondati da ragazzi che vogliono conoscerci. Alessandro ci porta in un punto sopraelevato rispetto alle tende da cui è possibile vedere quasi tutto il campo e conferma le parole di Gaia rispetto alla condizione dei siriani in Libano.
Ci racconta che Operazione Colomba è attiva in questa zona dal 2013 e che le attività dei volontari sono le più disparate: accompagnano le persone all’ospedale, le seguono nelle pratiche legali, ne condividono la vita quotidiana e le difficoltà del campo, si relazionano con le persone esterne, spesso diffidenti e impaurite, e molto altro. Alessandro dice che uno dei loro compiti è quello di “ascoltare il dolore delle persone”, di conoscere le loro storie, di dargli importanza, di ascoltare le loro paure, di conoscerne le sofferenze, per aiutarle a reggerne il peso. Un lavoro importante, molto faticoso, ma che esprime un incredibile senso di umanità.
I siriani sono ancora una minoranza, c’è ancora molta paura e diffidenza da parte della popolazione autoctona. Ci sono stati infatti atti violenti nei loro confronti e delle strutture del campo: hanno cercato di dare alle fiamme la scuola del campo profughi e pochi giorni prima del nostro arrivo il governo libanese ha cercato di ottenere l’abbattimento di alcune baracche, considerate troppo vicine alla strada. Tra le tante attività, Operazione Colomba riesce a far venire a Tel Aabbas un medico che, regolarmente, visita gli abitanti di questo campo e di quelli vicini (è raro per i rifugiati poter disporre di un medico).
Ci hanno preparato un pranzo favoloso, veniamo trattati come ospiti d’onore. Si chiacchiera, si parla del Servizio Civile Internazionale e dell’esperienza di una casa famiglia, risuonano nell’aria numerosi shukran (grazie) rivolti ai bambini, alle ragazze e alle donne che continuano a portare cibo, acqua e tè in abbondanza. Finiamo di mangiare e veniamo assaliti dai bambini e dalle bambine: è tempo di disegni sui fogli e sulle braccia, di origami e di giochi, di abbracci e di presentazioni.
Dopo facciamo il giro del campo, i bambini ci seguono, c’è chi si fa portare in braccio e chi si fa fare delle foto, noi osserviamo con attenzione l’ambiente: i murales, le tende, la scuola a cui hanno cercato di dare fuoco qualche tempo fa; chiediamo, fotografiamo e prendiamo appunti. Matteo ci fa da guida e ci spiega come è nato il campo, delle prime tende e baracche costruite sotto gli ulivi per cercare riparo dal sole, dell’ostilità del governo libanese e dei rapporti non sempre facili tra gli abitanti.
In questo, che è solo uno dei tanti campi profughi della zona, vivono in condizioni critiche circa 200 persone. Ci sono problemi di accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici. Qui le persone convivono ogni giorno con il carico emotivo di chi è fuggito dalla guerra, col desiderio di tornare a casa e la tremenda consapevolezza dell’impossibilità di farlo.