Il 17 aprile 2016 si svolgerà il referendum popolare contro le trivellazioni. L’impegno civile dello SCI
L’impegno civile dello SCI in difesa delle risorse naturali in quanto beni comuni costituisce per noi una scelta prioritaria che si è tradotta in questi anni nell’adesione alla campagna referendaria sull’acqua pubblica, nel sostegno alle principali lotte portate avanti a livello territoriale in Italia e all’estero: dal movimento No TAV alla campagna Patagonia sin represas (Patagonia senza dighe).
Siamo solidali con tutte le esperienze di gestione delle risorse naturali che, sfidando i modelli imposti dall’alto, prevedono un ruolo centrale delle comunità locali, una minore impronta ecologica ed un’economia che offra risposte adeguate ai bisogni reali della popolazione. Per questa ragione abbiamo organizzato campi di volontariato con i movimenti No TAV e No MUOS in Italia, così come in Cile presso una comunità mapuche il cui territorio è messo in pericolo dalla costruzione di varie dighe, esponendo al rischio di espulsione le comunità locali.
Il referendum del 17 aprile tocca tutti questi aspetti, per noi fondamentali.
“Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”
Questo è il testo del quesito referendario. Una domanda secca e semplice, con un contenuto strettamente politico che ci interroga e ci mette dinanzi al giudizio delle generazioni che verranno. Quale futuro vogliamo scegliere?
Il passato e il presente sono già stati scelti per noi, con politiche volte allo sfruttamento delle risorse naturali fino a farle scomparire, a favore di una crescita consumista volta all’imposizione di un unico modello di vita mirato all’ottenimento di benefici economici per le elites minoritarie. Il referendum del 17 aprile, come quello del 2011, ci chiede se vogliamo andare in un’altra direzione.
Quale direzione? Una direzione che porti all’abbandono di scelte economiche legate allo sfruttamento di combustibili fossili, a favore dell’utilizzo di energie rinnovabili che sia in armonia con l’ambiente circostante e le comunità locali. È di questi giorni la notizia che lo scorso mese di febbraio è stato il più caldo di sempre rispetto alla media registrata nel periodo 1951-1980 per lo stesso mese. Un aumento di temperatura che deriva dall’amplificarsi dell’effetto serra, causato da gas quali l’anidride carbonica e altri che provengono da massicci processi di estrazione e produzione industriale.
Nel prossimo mese si sentiranno spesso le parole “naif” e “buonisti”, ma è davvero naif e buonista voler provare ad agire sulle cause che hanno portato alla distruzione dei territori in cui viviamo? A noi sembra solamente la cosa più pratica e realista da fare, consapevoli che immaginare altri mondi possibili presenta un percorso lungo, tortuoso e incoerenze residuali. Vogliamo tirarci davvero indietro di fronte ad una sfida così importante? Il peggio è stato fatto, la devastazione dell’ambiente e, di conseguenza, delle persone è dinanzi agli occhi di tutte/i.
Una sfida così difficile non può essere affrontata da soli, soprattutto se il governo ha scelto la prima domenica utile per legge per indire il referendum, nel tentativo di non far decollare una campagna referendaria di massa. Un governo le cui politiche economiche puntano nettamente ai combustibili fossili, una direzione che lega le trivellazioni a largo delle coste italiane ai mai celati intenti bellici per tutelare i giacimenti sulla sponda meridionale del Mediterraneo: questo referendum e il futuro intervento in Libia sono legati dal medesimo tema. Sostenendo il primo potremo esprimere il nostro rifiuto per il secondo. Lo si può fare solamente creando una rete di solidarietà attiva in tutta Italia e che agisca sui territori.
La nostra posizione è dunque chiara. La risposta al quesito referendario non può essere che una: sì!