RaccontiamoSCI: Tent of Nations – Racconto di un primo viaggio in Palestina

Arianna Assanelli volontaria e attivista del Gruppo regionale SCI-Bologna e del Gruppo Comunicazione SCI-Italia…ci racconta insieme all’amica Francesca quest’esperienza non solo di volontariato, ma di viaggio, amicizia, conoscenza e impegno!

 


 

 

Arrivate a Betlemme nel pomeriggio del 4 Agosto 2019 con l’autobus 231, che da Gerusalemme ci ha portate al di là del muro, ci siamo dirette verso il Bunk Surfing Hostel, un piccolo ostello a conduzione famigliare dove, per la prima volta dall’inizio del viaggio, abbiamo sentito parlare dell’occupazione. Nei giorni precedenti, durante i quali abbiamo visitato Tel Aviv, Gerusalemme e dintorni, le conversazioni con le persone del posto erano state decisamente più dei tentativi di dialogo che dei veri e propri confronti: si era trattato soprattutto di racconti personali e autoreferenziali, descrizioni dei confini prive di espressione politica anche se ovviamente i silenzi, la pretesa di neutralità, erano (e sono) posizionamento politico di per sé. Quello che ci ha stupite della conversazione col ragazzo dell’ostello a Betlemme è stato che, sempre partendo dalla sua storia personale, ci ha voluto fornire una visione politica, ha condiviso con noi un’opinione nei confronti dell’occupazione, tema sul quale fino a quel momento era sempre regnato un silenzio fortemente ipocrita e quasi imbarazzato, una necessità di fare finta di nulla.

Nei giorni precedenti una guida con la quale siamo andate a visitare Masada, Ein Gedi e il Mar Morto ci ha spiegato la divisione in aree (A,B e C) del West Bank, terra palestinese, riconosciuta anche a livello internazionale come tale, ma nella sostanza controllata, militarmente e/o politicamente, da Israele. Attraverso un’opera sistematica e illegale di occupazione di questa zona infatti, Israele costruisce colonie e distrugge interi villaggi, espropria famiglie e rade al suolo case, frammentando il territorio rendendo così  difficoltose le relazioni di ogni tipo, sociali, economiche e politiche. Si tratta di un regime di apartheid, di un sistema di segregazione quotidiano e strutturale che punta a sottomettere il popolo palestinese distruggendo l’esistenza dello stesso in quanto tale. L’obiettivo è l’annientamento del tessuto relazionale, culturale, politico ed economico palestinese. In Israele spesso si tace di questa questione e, se invece se ne parla, perlomeno per quelli che sono stati i nostri incontri, questa situazione viene sovente presentata come un dato di fatto, come una mera suddivisione territoriale, senza che vengano esplicitate le ragioni politiche alla base, senza che venga riconosciuta la situazione di potere e di oppressione. 

Abbiamo però anche potuto vedere coi nostri occhi e abbiamo provato a cogliere con le nostre esperienze come il popolo palestinese resista e lotti. Durante i dieci giorni di campo SCI presso Tent of Nations, una fattoria a conduzione famigliare nelle colline a sud-est di Betlemme, abbiamo vissuto quotidianamente in un luogo esempio di resilienza e opposizione a un sistema coloniale come quello israeliano. La famiglia Nasser continua a resistere ai tentativi di espropriazione ed espansione sionisti, attraverso la presenza di volontari/e internazionali che aiutano la famiglia a tenere alta l’attenzione sulla loro condizione e sulla questione palestinese in genere, a coltivare la terra così da utilizzarla e riempirla per rendere più difficile l’accaparramento delle terre, e tramite una lotta quotidiana nei tribunali portata avanti da anni. 

Completamente circondata da colonie israeliane, Tent of Nations è raggiungibile solo a piedi – la strada che una volta portava a Betlemme in soli dieci minuti è stata bloccata con un cumulo di terra dai coloni e dalle autorità israeliane, costringendo gli abitanti di Nahalin a percorrere ora quasi un’ora di strada. Nei giorni trascorsi a Tent of Nations ci siamo sempre di più abituate ai ritmi di lavoro nei campi, scanditi da pause durante le quali avevamo l’occasione di parlare con i membri della famiglia e con gli/le altri/e volontari/e, per apprendere, confrontarci e discutere dell’occupazione, delle forme di resistenza e di lotta, della quotidianità vissuta dal popolo palestinese. 

 

 

Durante il campo non sono mancate occasioni di viaggio nelle città palestinesi, rientranti nell’area A, momenti importanti di presa di coscienza diretta. Non solo per quanto riguarda le città, come per esempio Hebron, luogo che può essere considerato uno degli emblemi della colonizzazione israeliana, ma anche per quanto riguarda i viaggi stessi in autobus: negli spostamenti, passando per i check-point, la percezione di stare in un luogo oggetto di controllo, oppressione e violenza, sia visibile che psicologica, è fortissima e lampante. Al checkpoint di Betlemme, ad esempio, arrivati al posto di blocco militare, l’autobus accosta, si ferma e una serie di passeggeri scende per il controllo dei documenti: sono i e le palestinesi, costretti/e a scendere appunto dal bus, mettersi in fila e aspettare che prima di loro vengano controllati i cittadini Israeliani/le cittadine Israeliane e gli internazionali che possono comodamente restare seduti ad aspettare durante il controllo dei documenti. Ogni giorno donne e uomini palestinesi che devono attraversare il confine per ragioni di lavoro, famigliari o altro si ritrovano a fronteggiare trattamenti discriminatori propri di politiche razziste e securitarie. La discriminazione nei confronti delle donne e degli uomini palestinesi è infatti sistemica: d’altro canto, non mancano però lotte ed esperienze di solidarietà, nella quale non mancano esempi di resistenza e autodeterminazione, e Tent of Nations, a modo suo, ci ha dato la possibilità di conoscerne uno.

Arianna e Francesca

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