Tra le mangrovie cambogiane, volontari in azione

Il racconto di Silvia Scholl dal campo di volontariato in Cambogia al quale ha partecipato nell’estate 2015. Il progetto si svolgeva in una comunità musulmana di pescatori e coltivatori di riso.

Phnom Penh, letteralmente “ la collina di Penh”, è il nostro punto di ritrovo per partire insieme agli altri volontari per 2 settimane di riforestazione di mangrovie in una comunità a sud del paese. Questo punto di ritrovo è una stazione degli autobus di una compagnia sconosciuta, infatti quasi nessuno ci sa dare indicazioni, io e Marco giriamo come dei pazzi, alla fine la troviamo, l’autobus sta per partire, ancora 5 minuti e sarebbero partiti senza di noi..iniziamo bene! Il gruppo è composto da 3 giapponesi, 2 taiwanesi, 3 francesi e io e Marco più la nostra camp leader cambogiana. L’associazione organizzatrice è CYA Cambodia Youth Action. Dopo un po’ di ore di tragitto, scendiamo su una strada statale diretta a Kampot e camminiamo tra le case del villaggio e i campi per raggiungere la comunità ospitante. Siamo a Trapaing Sangke, una comunità musulmana di pescatori e coltivatori di riso. La comunità è costruita su delle palafitte e un ponte di legno collega tutti gli ambienti: una cucina, una piattaforma per lavare piatti e pentole, i bagni, 2 stanzoni per riunirsi, 5 camere da letto triple e il molo. Il primo giorno abbiamo tutto il pomeriggio libero e quindi iniziamo subito con fare il bagno al fiume e con dei kayak ci lanciamo nella scoperta del luogo. Siamo, infatti, a breve distanza dalla foce del fiume.

La comunità è nata grazie all’impegno e la volontà di un gruppo di locali che vive di pesca e coltivazione ma con un’attenzione particolare ai fragili ecosistemi che li circondano. In particolare individuano nella pianta della mangrovia un elemento fondamentale della natura del luogo. La mangrovia, infatti, permette ai pesci di riprodursi tra le sue radici, creando per loro le perfette condizioni per favorire il ripopolamento ittico; è quindi preziosa per un popolo di pescatori.

La comunità è nata anche grazie al sostegno economico e logistico di alcune Ong tra cui principalmente l’italiana Action!Aid. L’unico che parla inglese in tutta la comunità è Roset, il figlio 16enne del capo del villaggio, che va al liceo e sogna di fare il dottore. Sulle palafitte di rappresentanza delle comunità vivono il capo villaggio e la sua famiglia. Poi numerosi campi di riso e saline ci dividono dalle case del villaggio, dove c’è anche una moschea.

Il lavoro durante il campo è vario e questo ci permette di fare sempre cose nuove. Iniziamo con due giorni di raccolta dei semi di mangrovia: più che semi sono dei fagioloni verdi e lunghi! Per arrivare in questi luoghi di raccolta andiamo con una barca per una mezz’oretta. All’inizio il mio bottino è veramente scarso, i semi si confondono tra le foglie e io non li vedo proprio; in più camminare su questo fango che sprofonda non aiuta, ma una cosa l’ho capita..chi cammina piano senza mettere troppo peso sprofonda di meno, delle serie” chi va piano, va sano e va lontano”. Tra l’altro sarò sola in mezzo a questa fanghiglia o ci saranno incontri con animaletti locali? Non ci pensiamo! Durante i primi pomeriggi noi volontari acquisiamo un’altra competenza indispensabile in Cambogia: coltivare il riso. No, l’albero con i cartoni di riso bianco Coop non esiste, il riso è fatica. Prima si pianta in un campo, dove è tutto ammassato, poi si strapianta con tutte le radici e si ripianta in un altro campo “allagato” con una distanza di 50 cm tra pianta e pianta, poi verrà colto con un macchinario e si leveranno ad ogni chicco i vari stati protettivi. Capiamo subito perché le mondine avevano la schiena curva! Il lavoro è duro ma stiamo coltivando il campo di una donna ricoverata in ospedale, che altrimenti avrebbe perduto il suo lavoro e mandato all’aria la possibilità di coltivare riso per questo semestre, quindi ci sentiamo tutti veramente utili in quest’attività. 

Dopo due giorni cambiamo attività: iniziamo a produrre i vasetti con sacchetti di plastica e fango, dove infiliamo i nostri semi di mangrovia e queste baby piantine vengono messe nella “nursery” delle mangrovie, dove sono costantemente nell’acqua e dove cresceranno circa 6 mesi. Il pomeriggio abbandoniamo il riso ed iniziamo a prepararci per l’insegnamento dell’inglese ai bambini e ragazzi del villaggio. Lina, la nostra camp leader, divide il gruppo in 3 classi a seconda dell’età. Noi pure ci dividiamo in gruppi di 3 o 4 come insegnanti. Io sono con Ting (Taiwan) e Miki (Giappone) nel gruppo dei ragazzi tra i 10 e i 14 anni. Quanto è difficile insegnare una lingua..in un’altra lingua!!

L’inizio è duro, soprattutto per Florant, Chaiki e Hèléne che hanno i bambini di 6-8 anni. Alcuni di noi sono un po’ avviliti…servirà tutto questo? 12 anni di scoutismo alle spalle e un’inguaribile positività mi dicono che alla fine del campo rideremo di tutto questo, ma è brutto vedere gli altri volontari così negativi. Ad ogni modo dalla seconda/terza lezione le cose iniziano ad andare bene, capiamo che per farli stare attenti dobbiamo puntare su tanti giochi che li possano interessare; siccome non sappiamo una parola di Cambogiano disegniamo e mimiamo tutte le parole che non capiscono..sembra un corso di teatro o disegno creativo! Nel weekend libero il gruppo si divide: Florent e Hèléne vogliono andare nella vicina Kampot e noi 9 andiamo a fare una giornata di mare a Sihanoukville e a visitare il parco nazionale di Ream anche se purtroppo sotto la pioggia (non ci dimentichiamo che siamo nella stagione dei monsoni). Al ritorno dal fine settimana troviamo al campo due australiane che rimarranno con noi per 5 giorni; gli proponiamo di collaborare con noi nelle varie attività. In questi giorni oltre ai corsi d’inglese il pomeriggio, continuiamo con i vasetti, ripariamo il tetto della nursery, facciamo il nostro cartello con scritto il nome del gruppo, i nostri nomi e il numero di piante piantate.

Inizia la fase 2.0 delle mangrovie: prendere le piante di circa 6 mesi, messe da volontari precedenti, e andare a piantarle nel mare. Sempre con le barche andiamo vicino alla destinazione finale ma il fondale è basso e la barca va lasciata prima. Ci siamo portati dietro un kayak, lo riempiamo di piantine, leviamo i vasetti di plastica che, ormai inutili, e camminiamo per un quarto d’ora per arrivare al luogo indicato. Le piante vanno messe ad una distanza di 1 metro tra di loro. Ma bisogna sempre lasciare due file libere per far passare le barche o le canoe. Il primo giorno va tutto bene, ma il secondo giorno la marea si è alzata e l’acqua che arrivava alle caviglie arriva alla vita (si, sono bassa), per piantare le mangrovie quasi metto la testa sott’acqua! Pianti le mangrovie… ma non le vedi, all’inizio facciamo un casino, due mangrovie vicine, una sopra all’altra, ci camminiamo quasi sopra… poi iniziamo un metodo logico di metterci tutti in fila e piantarle rimanendo sul luogo dove le abbiamo piantate finchè non c’è più nessuno dietro di noi che ci possa inciampare sopra e poi andare avanti così…ora funziona meglio.

Due settimane volano, si avvicina la fine, ormai mi sveglio tranquillamente alle 6.30, non posso fare più a meno dei noodles a colazione, mangio piccante peggio di un calabrese, e alle 12 e alle 18.30 ho seriamente fame..ma soprattutto mi sono abituata a questo luogo, ai suoi tempi, alle session di “shooting stars” sdraiati la sera sul molo, agli altri volontari con cui si è creato un bel gruppetto affiatato. Un giorno viene anche organizzato un altro evento sempre dell’ong CYA con ragazzi di varie provincie del paese, la sera ci troviamo in mezza ad una festa sulla palafitta con pop cambogiano e un budino che ci manda tutti al bagno!

Gli ultimi giorni ci occupiamo della manutenzione delle piante di mangrovia piantate da gruppi di volontari precedentemente, controllando che non siano storte, che il bamboo di appoggio sia sempre legato alla pianta e levando i cumuli di alghe. Poi ci lanciamo nella costruzione di una piazzola di sosta per i pescatori, una sorta di “autogrill “; infatti i pescatori hanno degli orari assurdi (non ho mai capito perché, ma il momento migliore per pescare è la sera o la mattina prestissimo) e usano queste piazzole per riposarsi di tanto in tanto. Ne costruiamo una con delle enormi canne di bamboo e io e Marco rispolveriamo le legature quadrate fatte in campi e campi scout!

E’ triste ma è tempo di andare, salutare questo posto, musi lunghi, ma quanti volti, colori, odori, cibi, usanze nella mia testa, ho l’impressione di aver preso più di quanto ho dato. E poi tante domande : Chi pianterà le nostre 3096 piantine tra sei mesi? La signora tornerà a coltivare il suo campo di riso? Roset diventerà un medico? I “miei” alunni impareranno a fare una conversazione in inglese? Vedremo 😉