Tre settimane in Paradisola: testimonianza da un campo a Zanzibar

Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza di Giacomo Bartolucci, volontario partito la scorsa estate per un campo di volontariato a Zanzibar, in Tanzania.

Finita la laurea magistrale ho avuto come la sensazione di aver imparato troppo, quasi fossi stato infarcito di nozioni. Mi sembrava che tutte le attività per cui fino a quel momento mi ero speso con tanta passione si fossero ridotte a qualcosa di schematizzabile con una freccia, un flusso che partendo dall’esterno puntava inesorabilmente verso di me.

Ho sentito forte l’impulso di invertire questa dinamica unidirezionale e ho cominciato ad informarmi sulla possibilità di fare un’esperienza di volontariato.

Presto mi sono reso conto che esiste una zoologia infinita di associazioni, missioni e realtà con cui è possibile partire, e che c’è il rischio di arruolarsi in un un progetto di cui magari non si condividono appieno scopi e metodi. Per questo mi sento davvero fortunato ad aver conosciuto lo SCI Italia, associazione in cui mi sento pienamente rappresentato, anche a livello ideologico.

Dopo vari cambi di programma ho deciso di partire alla volta di Zanzibar per un progetto coordinato dall’associazione ZAYDO, che prevedeva due attività principali: raccogliere e piantare semi di mangrovia al mattino e insegnare lingue straniere alla comunità locale in una specie di scuola serale. Così, dopo un safari di cinque giorni nell’entroterra tanzaniano, il 13 agosto sono atterrato sull’isola per l’inizio del campo.

Appena sceso dall’aereo sono stato assalito da una folla di persone che mi hanno strappato la valigia dalle mani e mi hanno scortato fino all’uscita, pretendendo poi una mancia. Ho così potuto constatare fin da subito che il problema principale a Zanzibar non è la distanza culturale, come ci aspettavamo, ma l’opposto: la maggior parte degli abitanti dell’isola è abituata ai turisti e conosce gli occidentali fin troppo bene. Questo causa anche situazioni abbastanza scioccanti, più avanti ho incontrato un masai che si faceva chiamare Valentino Rossi. Ci si sente considerati banconote viventi e a volte si ha questa frustrante sensazione anche con alcuni volontari tanzaniani.

Per il trasporto dall’aeroporto al villaggio dove si è svolto il campo, per esempio, ci hanno chiesto una cifra spropositata (poi però ho scoperto che il costo era specificato nell’infosheet, per cui non fate come me e leggete attentamente quel foglietto illustrativo!) e anche i tour che ci hanno proposto non erano così low cost come sostenevano. Ad ogni modo, cercare di capire perché volontariato e turismo risultano così inestricabilmente legati e studiare come comportarmi di fronte a questa evidenza è stato fonte di riflessioni importanti e crescita personale. Arrivati alla casa dove saremmo stati ospitati (deliziosa e in condizioni nemmeno troppo preoccupanti) ho conosciuto il resto dei volontari locali e gli altri sette volontari internazionali, provenienti da Italia, Spagna, Portogallo, Belgio e Ungheria. Siamo stati presentati ai capi del villaggio e, successivamente, il discorso del presidente di ZAYDO ha dato ufficialmente inizio al campo.

Il solo vivere in comunità in un posto del genere e con un assortimento così variegato di persone è fantastico. Per ragioni di costi non abbiamo potuto fare la spesa e cucinare insieme, però abbiamo avuto la fortuna di poter mangiare tutti i giorni squisiti piatti tipici preparati direttamente dalle fantastiche volontarie locali. Con mia immensa sorpresa ho anche trovato un ukulele, regalato a ZAYDO da qualche precedente volontario dal cuore grande, per cui ho cominciato fin da subito a cantare, giocare e ballare con i bambini che venivano a trovarci. Dato che ho una propensione naturale per questo ruolo di scemo del villaggio, ho pensato che anche durante le lezioni serali nella scuola sarei stato assegnato al gruppo dei più piccoli. Invece i volontari hanno preferito che mi occupassi dei teenager, cosa che all’inizio mi ha un po’ spiazzato. Poi però ho cominciato a seguire Sharif, un ragazzo che fa l’arbitro di calcio e vuole imparare l’italiano. Nonostante il sottoscritto non sia un appassionato di pallone, ci siamo divertiti cantando “Uno di noi, Sharif uno di noi” per ripassare i numeri e i pronomi personali, e «Perché perché, la domenica mi lasci sempre sola… », di Rita Pavone, per i giorni della settimana. Con lui è nato un rapporto meraviglioso e continuiamo a scriverci, rigorosamente in italiano, anche ora che sono tornato in Europa.

Anche l’attività di tutela ambientale è stata molto interessante: la mangrovia è una pianta davvero affascinante, cresce in riva al mare e assorbe acqua salata. Come ci ha spiegato una signora che abitava nei pressi della spiaggia, la sua funzione di difesa contro l’erosione delle coste è fondamentale. Inoltre il groviglio di radici offre riparo ai pesci, che ci depongono le uova.

Quando per qualche festività o inconveniente tecnico non ci siamo potuti dedicare all’insegnamento a scuola né a piantare semi di mangrovie abbiamo concordato con i volontari di ZAYDO alcune attività alternative, come ripulire le spiagge (che ne hanno davvero bisogno) o pitturare la scuola. Ho apprezzato molto queste variazioni, hanno fatto sì che l’esperienza risultasse più completa.

Il gruppo è diventato ogni giorno più coeso, complici anche momenti di svago ben organizzati e serate culturali divertentissime. Gli unici attriti sono sorti con uno dei coordinatori tanzaniani che, forse incapace di gestire il senso di responsabilità, nella seconda metà del campo ha cominciato ad avere improvvisi sbalzi di umore e a comportarsi in modo poco trasparente. Anche se è stato stimolante cercare di trovare i codici giusti per interagirci e fare da mediatore tra lui e volontari europei molto meno comprensivi, l’atmosfera è diventata un po’ tesa. Durante l’ultima settimana, però, il soggetto in questione è dovuto partire anticipatamente per un altro campo al Dar el Salaam ed è stato sostituito da volontari più esperti, così gli animi si sono distesi e l’esperienza si è conclusa serenamente.

Non è vero che in Tanzania tutto procede Pole Pole (“piano piano”). Certo in alcune giornate le ore si dilatano a dismisura ma ci sono anche occasioni in cui il tempo sembra contrarsi, tanto si addensano le esperienze. Il suo flusso qua è semplicemente alterato, forse distorto proprio dalle stesse forze naturali che in Africa si manifestano così platealmente. Allo stesso modo vengono stravolti progetti e aspettative, chi ci è stato ne esce rinnovato.

Zanzibar è un porto strategico che da sempre raccoglie e unisce persone provenienti dai Paesi più disparati, forse proprio per questo si rivelato il luogo perfetto in cui partecipare ad un campo di volontariato internazionale.